Capitolo 37: Dolore all'anima

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Rimasi nel mio limbo per diverso tempo.

Nel mio stato catatonico percepivo, ogni tanto, qualcuno che veniva a farmi visita, ma faticavo spesso a riconoscere le voci.

Dopo che l'infermiera liberò nel mio corpo quel potente sedativo, alternai momenti di sonno a momenti di semi coscienza, nei quali potevo a malapena comunicare.

Mia madre arrivò in ospedale qualche ora dopo, insieme a Marco e Filippo.
Ero nel mio letto bloccata e intubata, quando senza troppo badare alle raccomandazioni dei medici, piombò nella stanza.

《Mary! Figlia mia! Ma che hai fatto! Oh mio Dio...》

Mia madre piangeva a dirotto, potevo sentirla anche se avevo gli occhi chiusi.
La sua voce era rotta di dolore.
Aveva appena perso mio padre e per un soffio, aveva davvero rischiato di perdere anche me.

Marco al suo fianco parlava a Filippo cercando di fargli capire la situazione.
Ero grata che ci fosse, nostro figlio stava attraversando un momento molto complicato dopo la morte del nonno e doveva sentirsi molto confuso, osservandomi distrutta e piena di contusioni in quel letto di ospedale.

《Mamma.. Ti svegli? Io devo andare a scuola domani, chi mi porta se tu sei qui? E a mangiare la pizza?》

Il mio cuore soffriva, ma non riuscivo a rispondere a Filippo.
Gli occhi continuavano ad essere pensanti, la voce si strozzava nella gola.

Qualcuno mi sfiorò la mano.
Avevo chiaramente sentito un tocco leggero, probabilmente quello di un bambino.
Mi teneva forte le dita e di tanto in tanto le rilasciava, parlando soffusamente con i propri accompagnatori.

Mia madre e Marco discutevano del mio ricovero e sui danni dell'incidente accanto alla porta.
Mi ero davvero fatta un gran numero di lesioni e fratture.
Il bacino si era rotto, danneggiando anche l'anca e la gamba sinistra.
Avevo diverse vertebre incrinate, una commozione cerebrale e ancora dovevano stimare il danno al midollo spinale.

Un rottame.
Ma ero ancora qui, potevo ancora sentire la voce di mio figlio.
Era l'unica cosa che contasse davvero.

Un medico entrò nella stanza poco dopo, informando la mia famiglia del mio bisogno di riposare.
Di conseguenza avrebbero dovuto lasciarmi sola.

Ero dispiaciuta per il fatto che fossero obbligati ad andare via, ma non potevo replicare.
Li udii salutarmi e abbandonare la camera.
Mia madre prima di uscire mi baciò  sulla fronte, implorandomi di guarire presto.

___________________________

Le giornate successive si susseguirono nello stesso modo.
Mia madre veniva a farmi visita, ogni tanto da sola o con Filippo.
Marco veniva più volte al giorno.
Mi portava dei libri, come se io li potessi leggere, in quello stato.
Continuava a ripetere e ripetermi di essere distrutto, gli si spezzava il cuore a vedermi in quello stato.
Era a pezzi, ma io lo ero di più.

Vennero a farmi visita anche i miei più cari amici.
Marika subito dopo l'incidente, accorse in ospedale con Mario.
Sicuramente, conoscendola, si sarà sentita tremendamente in colpa.
Se avevo fatto quel terribile incidente non era colpa di nessuno.
Non poteva certo sapere che sarebbe finita così.

Dopo diversi giorni, i medici decisero di sospendere le massicce dosi di antidolorifici.
Il mio corpo aveva risposto bene alle terapie antibiotiche, per fortuna avevo ormai già scongiurato il rischio di entrare in setticemia.
Dopo l'incidente e le varie operazioni d'urgenza, il rischio di infezioni era davvero altissimo.
Per giorni la febbre non scese mai sotto i trentanove gradi.
Il mio corpo stava lottando, a modo suo.

Finalmente aprii gli occhi.
La stanza in cui mi avevano volutamente messo in coma farmacologico era piccola, ma confortevole.
A fianco del letto c'era una poltrona reclinabile e un tavolino, al di sopra libri e fiori.
C'era anche un mobiletto con una televisione.
Provai a muovermi, ma non mi fu possibile.

Il mio corpo era attaccato a tubi e tubicini di ogni tipo, al braccio avevo un ago piccolo e stretto, conficcato in profondità e tenuto saldo da un cerotto.
Probabilmente aveva fatto da tramite per nutrirmi negli ultimi giorni di coma forzato.

Respiravo ancora con la mascherina.
Di riflesso la tolsi dal viso e respirai autonomamente.
Era faticoso, ma sempre meglio che sentire quel pezzo di plastica sulla faccia.
Accanto al mio corpo, vidi un pulsante.
Doveva essere per forza quello delle emergenze.
Mi sforzai molto per premerlo.
Sentivo l'impellente bisogno di far sapere a tutti che ero sveglia.
Provavo dolore, ma molto meno rispetto a quello che avevo provato quando l'infermiera mi aveva sedata.
Lo potevo sopportare.

Spinsi forte quel piccolo bottone, fino a che un uomo di mezza età e un infermiera non giunsero nella stanza.

《Finalmente si è svegliata! Come si sente? Ha dormito parecchio Marie Anne!》

Osservavo quei due tizi armeggiare con quella che molto probabilmente doveva essere la mia cartella clinica.

《Dovrà passare molto tempo con noi, purtroppo. So che preferirebbe essere in vacanza, ma la veda solo come una piccola pausa dalla vita di tutti i giorni. La faremo tornare come nuova!》

L'infermiera staccò il respiratore al mio fianco che, nel frattempo, aveva continuato a funzionare a vuoto.

《Se la sente di mangiare qualcosa, da sola?》

Accennai un debole assenso con il capo e l'infermiera uscii di corsa dalla stanza per rientrare poco dopo con una tazza di the e dei biscotti.
Allungarono il vassoio sul mio letto per permettermi di mangiare, aiutandomi a sollevare il letto.
Odiavo sentirmi così dipendente dagli altri, ma non c'era altro modo.

《Quando avrà recuperato abbastanza le forze, inizierà a fare un po' di riabilitazione. Ora è ancora molto presto. Il danno al bacino è ingente, dovrà rimanere diverse settimane a letto. Quando sarà pronta, la seguirà Christian, il nostro fisioterapista. Fino ad allora, si riposi.》

Dopo aver bevuto il the ( che era terribilmente amaro e freddo), decisi di rimettermi a riposare seguendo fedelmente il consiglio del medico.
Mi sentivo ancora parecchio stanca, nonostante avessi dormito per giorni.

Fuori dalla porta della mia stanza udii due voci distinte.
Una era del medico che era appena stato a farmi visita e una era di un uomo, che in un primo momento non riuscii a riconoscere.
Parlavano della mia situazione.
Il secondo uomo chiese se poteva vedermi per un momento, il medico gli disse di trattenersi il meno possibile.

Era Edoardo.

Entrò nella stanza senza fare troppo rumore.
In mano teneva un mazzo di rose e un piccolo peluche fatto ad orsetto.
Finsi di dormire per non dover affrontare una conversazione dolorosa con lui.
Non ne avevo proprio le forze.

Si sedette sulla poltrona al mio fianco e mi prese la mano.

《Sono uno stupido.
Sono un cretino, lo so.
Se quel giorno non ti avessi lasciata correre via, se avessi scelto di non sposarmi, se tu non fossi venuta, ora non saresti qui.》

Continuò il monologo.

《Mi sento un infame, Mary.》

I miei occhi si sforzarono di restare chiusi. Li avrei lasciati volentieri riempirsi di lacrime, ma mi imposi di non farmi vedere piangere, mi obbligai nel non aprirli.

《Non ho avuto il coraggio di venire, fino ad ora.
Mi sento responsabile di tutto questo, del fatto che per colpa mia hai rischiato di morire.
Dopo l'incidente sono venuto fino alla porta del reparto almeno venti volte, ma Marika e Mario mi invitavano ad andarmene poichè non saresti stata in grado di sentirmi. Forse non puoi nemmeno adesso.》

Mi strinse la mano più forte e io sentii dolore.

《Spero un giorno, di essere perdonato da te, Mary.
Spero che capirai perché ho fatto questa scelta. Non voglio più che tu soffra per me, per noi.
Sono stato un vero cretino, non ho seguito il mio cuore e adesso è tutto irrecuperabile.
Quando ti ho detto che ti amavo ero sincero...
Non avrei mai potuto mentire sui miei sentimenti per te, e anche ora li sento.
Ti ho persa, ho scelto volutamente questo, sono pentito.
Quando ti sveglierai, non saprai mai che sono stato qui, crederai che non me ne importi nulla e forse sarà più facile dimenticarmi.》

Si alzò in piedi con l'intenzione di andare via.
Ero tremendamente combattuta se parlargli o lasciarlo andare.
Una parte del mio cuore non accettava l'idea di perderlo in modo definitivo, mentre l'altra sperava che uscisse dalla mia vita per permettermi di tornare a vivere serenamente.

Si voltò un'ultima volta nella mia direzione. Percepii di nuovo i suoi occhi su di me.

《Non smetterò di pensarti Mary.
Sto vivendo una vita forzata che non voglio, ho lasciato che gli altri decidessero per me. Ora scelgo di uscire dalla tua vita per sempre, non posso più permettermi di ferirti ancora. Sei viva solo per miracolo.》

Mi trovai seriamente a pensare di rompere il silenzio e parlare, dirgli di rimanere.
Gli avrei detto che lo amavo da morire, di non lasciarmi ancora, ma quando sentii cosa aveva scelto per noi, il fatto che non lo avrei mai più rivisto, rimasi in silenzio.
Accettai la sua scelta, anche se mi fece un male cane.

Edoardo uscì dalla stanza, probabilmente anche dalla mia vita.

Un altra volta, l'ennesima,  quella che sarebbe stata per sempre.

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