Capitolo 38: Ripartire

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Le settimane successive furono una tortura.
Non mi potevo muovere, non potevo alzarmi per andare in bagno, non potevo camminare.
Avevo desiderio di tornare presto alla mia indipendenza, ma come mi aveva detto il medico si trattava di un percorso molto lungo.

Potevo però leggere i libri, quelli che mi aveva portato Marco.
Una cosa era certa: non aveva dimenticato i miei gusti in fatto di buone letture.
Divorai tre libri in una sola settimana, dal momento che, purtroppo,non avevo altro da fare.

Accendevo e spegnevo di continuo il televisore, ma erano sempre le stesse cose che facevano vedere.
Tra soap opera e telegiornali, avevo persino mal di testa.

Avevo anche smarrito il mio cellulare.
Nell'incidente avevo perso gran parte dei miei effetti personali e la cosa mi preoccupava abbastanza.
Avrei dovuto rifare tutti i documenti e probabilmente anche aspettare un bel pò per la patente di guida.
Mi sentivo persa e continuamente inutile.
Mi mancava un po' la vita dei social network, era pietoso sentirsi fuori dal mondo.

Mia madre veniva ogni giorno a farmi visita.
Mi portava qualcosa da mangiare e scambiava due parole con me.
Più che altro mi raccontava i pettegolezzi di tutto il circondario, ma almeno mi distraeva dalla noia dell'ospedale.

La Giusy si era sposata con Dario, che però aveva avuto una relazione con Francesca, la quale lo aveva lasciato per uno conosciuto in vacanza insieme alle amiche.
Tutte storie simili a questa e appartenute a gente di cui nemmeno ricordavo i visi.

Filippo aveva deciso di rimanere a vivere con il padre per un po'.
Marco sì èra licenziato dalla ditta per cui lavorava e si era preso un po' di tempo per stare con il figlio.
I soldi comunque non erano un problema, visto il cospicuo licenziamento con cui lo avevano liquidato.

La vita in ospedale era monotona.
Gente che entrava e usciva, infermiere che ormai conoscevo benissimo che cambiavano di turno ogni otto ore, medici poco disponibili a parlare di terapie e cure.

Mi fecero prendere pillole su pillole, senza perdere troppo tempo a spiegarmi per cosa fossero.
Passavo le mie ore a leggere e dormire, interrompendo la mia routine solo qualora qualcuno venisse per farmi visita.

Quatanta giorni passarono così.
Tra libri divorati, sonni lunghi e qualche faccia amica che mi faceva visita di tanto in tanto.
Mi portarono a fare delle radiografie un giorno, constatando che finalmente la fattura al bacino stava guarendo, ma femore e anca erano ancora parecchio lesionati.
In più, avevo perso gran parte del tono muscolare.
Mi sentivo un anziana acciaccata ogni volta che provavo a muovermi.

Qualche mattina dopo mi svegliai finalmente in forma, per lo meno fisicamente.
Avevo ormai perso il conto dei giorni. Da quanto tempo ero ricoverata in ospedale?
La noia stava lasciando spazio ad una pseudo depressione, faticavo a vedere miglioramenti.

L'infermiera era entrata nella mia stanza per consegnarmi la colazione.
Mi comunicò che avrei presto iniziato a fare un po' di riabilitazione.
Non vedevo l'ora di abbandonare quello stato.

Stavo ancora bevendo il mio the caldo, quando un ragazzo entrò in camera.
Aveva un camice bianco e una divisa comoda.
Portava i capelli neri, corti.
Aveva occhi scuri come la notte e indossava occhiali alla moda, che tutto sommato non stonavano sul suo viso. Doveva avere circa la mia età o poco meno, ma sembrava appena un ragazzino.
Era affascinante, non si poteva negarlo.
Mi venne incontro per presentarsi e stringermi la mano.

《Sono Christian e per un po' mi spiace per te, ma ti farò del male.》

Già la presentazione non mi piacque affatto.
Lo trovai quasi antipatico.
Percepì di essere stato sfrontato.

《Sono il tuo fisioterapista. Mi chiamano il motivatore e ce il suo perché. All'inizio mi odierai. Io non accetto suppliche, sono consapevole che saranno giorni difficili, ma se seguirai il mio percorso, in pochi mesi sarai come nuova. Ma dovrai collaborare.》

Mi guardò con gli occhi di uno che sapeva esattamente come e cosa fare. Uno che sapeva il fatto suo.

《Ho studiato il tuo caso, oggi iniziamo con qualcosa di semplice a letto.》

Abbassò lo schienale e si mise di fronte a me.
Tolse le coperte adagiandole sulla poltrona, per poi concentrarsi sulle mie gambe.
Una alla volta le afferrò e iniziò prima a massaggiarle, poi ad alzarle leggermente dal letto.
Il dolore fu immediatamente lancinante.

《Mi fanno malissimo.》

Christian non distolse lo sguardo dalle mie gambe, continuò a muoverle, come non mi avesse nemmeno sentita.

《Lo so, ti sto solo scaldando un po' i muscoli. È molto tempo che sei ferma, non posso fare altrimenti.》

Mi ricordai di quando da bambina guardavo Heidi dalla nonna.
Alla bambina paraplegica facevano le stesse cose, ma poi alla fine lei camminava.
Mi rincuorai e sorrisi per via di quel buffo ricordo.

Christian continuò per qualche minuto a muovere gambe e braccia, ma il dolore non voleva proprio abbandonarmi.

《Avanti, stai andando bene. Resisti un altro pò. Il prima possibile ti metterò sulle tue gambe, ci puoi giurare.》

Sicuramente doveva essere uno molto sicuro di sé, non c'era il benché minimo dubbio.
Il suo atteggiamento non rispecchiava affatto i lineamenti del suo viso.
Sembrava un angioletto, ma in realtà era un demonio senza scrupoli.

La seduta terminò con me in lacrime, ma con il  motivatore parecchio soddisfatto.
Ripose le coperte sul letto prima di andarsene e lasciarmi l'appuntamento per il giorno successivo.

Non si perse in grandi complimenti, si limitò solo a ricordarmi che c'era ancora molto da fare.
Mi sembrò che un camion mi avesse stirata.

In realtà un camion mi aveva già stirata, o meglio, mi aveva fatto fare lo stampino contro un cavalcavia.

Marco venne a trovarmi nel pomeriggio.
Ne approfittò per portarmi qualche altro libro e dei fiori freschi.

《Come va oggi? Mi sembri migliorata.》

Gli raccontai del motivatore e del dolore che avevo provato in mattinata, del fatto che fosse uno stronzo, ma che lo avevo sopportato al mio meglio solo perché speravo di tornare in piedi nel minor tempo possibile.

Marco mi spiazzò con una notizia inaspettata.

《Sai, ti devo dire una cosa. Mi ha contattato quel tuo ex collega. Il tuo amico, come si chiama. Edoardo. Mi ha solo detto di essere molto preoccupato per te e che vorrebbe io ti stessi vicino. Mi ha lasciato un po' interdetto, sinceramente.》

Distolsi l'attenzione dalla trama del libro che stavo leggendo per dare credito al mio ex marito che sembrava quasi geloso.

《Io e Edoardo non siamo amici. Siamo stati a letto insieme un paio di volte prima che si sposasse. Ecco tutto.》
Vomitai la verità, ero così stanca di mentire a tutti.

Marco mi sembrò molto stupito, quasi preso in contropiede.
Non so perché glielo avessi detto, forse speravo di fargli tanto male quanto lui ne avesse fatto a me confessandomi di avermi tradita solo un anno prima.

《Un pò lo avevo immaginato, sai. Che dopo di me avessi avuto delle relazioni.
In fondo, come poteva essere altrimenti. Sei così una bella donna, intelligente. Solo io sono stato un cretino.》

Ecco, sei già il secondo che si sente un cretino in così poco tempo e sceglie di comunicarmelo solo dopo aver fatto la cazzata.
Uno per avermi tradita, e uno per essersi preso gioco di me e poi sposato lo stesso.
Si, siete dei cretini.

《Va beh, adesso non parliamone più. So che vai alla grande con la tua nuova ragazza. E dovresti essere contento. Volta pagina.Io l'ho già fatto.》

Marco accenno un sì con il capo, ma abbassò lo sguardo.
Evidentemente un po' lo avevo ferito rivelando quella notizia così shockante con tanta naturalezza.

《Hai ragione, ora ti lascio leggere in pace. Vado a prendere Filippo da tua madre e lo porto al cinema, così si distrae un po'. Domani viene con me a farti visita. Ha detto che gli manchi.》

Anche lui mancava terribilmente a me.
Ma volevo mi vedesse poco in quello stato, poiché poi piangeva e Marco era obbligato a portarlo via di fretta per non farlo soffrire oltre.

Qualche giorno dopo, venni svegliata da Christian.
Era sopra di me con il viso a pochi centimetri dal mio.
Poteva sembrare una cosa romantica, in realtà stava semplicemente cercando di togliermi il lenzuolo dal viso con ben poca delicatezza.

《Oggi andiamo in palestra. Ti alzerò piano perché potrebbe girarti la testa. Per un po' andremo in sedia a rotelle. È ora di abbandonare i massaggi a letto. 》

Christian mi sollevò con estrema facilità e mi mise a sedere.
Come mi aveva preannunciato, la testa iniziò a girare come una trottola.
Mi tenni stretta alla sedia per un po', finché la pressione non tornò ad uno stato accettabile.

La palestra era davvero immensa per essere quella di un ospedale.
C'erano attrezzi di ogni tipo, naturalmente a scopo medico.
Christian mi sollevò di nuovo e mi fece sedere su un materassino morbido, parecchio alto.

Iniziammo la seduta riabilitativa con qualcosa di semplice.
Ero nervosa.
Mi faceva muovere le gambe, le braccia, stringere delle palline, sollevare qualcosa di leggero.
Il dolore rispetto ai giorni precedenti era diminuito, ma ero molto debole.
Mangiavo davvero poco ed ero dimagrita parecchio, non avevo praticamente energie.

Dopo ogni esercizio mi sentivo esausta.

《Stai andando bene, adesso aumentiamo un po' il tiro.》

Christian provò a mettermi in piedi.

Dapprima sentii le gambe cedermi, ma Christian si mise al mio fianco per sorreggermi. Mi tenne per il busto, ma senza stringere.
Tentai un paio di passi, ma si rivelò davvero faticosissimo.

《Non ce la faccio a continuare. Mi devo sedere...》

Le gambe non mi reggevano più.
Mi lasciai scivolare a terra.
Christian mi accompagnò dolcemente fino al pavimento per impedire che mi facessi altro male.
Si abbassò e mi prese in braccio.
Sembrò non faticasse affatto, nonostante io fossi un peso morto.
Mi sedette sulla sedia a rotelle e mi aiutò a sistemare le pedane.
Sembrò anche  deluso.

《Sono stato fin troppo ambizioso. Per oggi può bastare, sei stata brava lo stesso, ma prometti che mangerai di più.》

Mi riaccompagnò in stanza in silenzio.
Adagiò la sedia a rotelle vicino al muro e con estrema facilità mi risollevò per mettermi a letto.

《Grazie. Sei gentile.》

Era stupido da parte mia, ma non sapevo che altro dirgli.
Ero imbarazzata ogni volta che mi toccava, anche se sapevo fosse solo un  medico.

《Non mi devi ringraziare. Sto lavorando. Ringraziami solo quando finalmente starai in piedi in autonomia. 》

E senza dire altro, lasciò la stanza.
Mi trovai di nuovo a vagare tra miei pensieri, sino a giungere a quell più impuri.

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