Capitolo 49 : Attenta, Non Cadere

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La domenica mattina mi svegliai di buon ora, ma con un forte senso di confusione addosso.

Prima di andarsene Edoardo mi aveva pregato di impostare la sveglia presto. Sarebbe passato a prendermi alle prime luci del mattino per portarmi in quel posto misterioso che aveva accennato durante la serata.

Ero nervosa.
Se c'era una cosa che odiavo era esattamente quella, ossia le sorprese.
Dovevo sempre avere tutto sotto controllo, sapere dove si andava e a che ora si tornava.
Era snervante non sapere assolutamente nulla, sopratutto se il resto del mondo era al corrente dei progetti di Edoardo.

Mi arrivò un messaggio poco dopo, nel bel mezzo di una crisi di nervi.

"vestiti pesante, oggi farà freddino."

Certo, non era piena estate, ma io tutto questo freddo non lo sentivo.
Lo accontentai, indossando quello che di più pesante avevo, una sottospecie di tuta un po' anti estetica, ma caldissima.
Mi trovai più volte tra le mani dei vecchi maglioni che mi aveva regalato Marco, ma uno ad uno, con il sorriso sul volto, vennero riposti nell'armadio.

Non ero ancora pronta a buttarli, ma non ero nemmeno più in grado di indossarli.

I miei pensieri vennero scossi dal suono del citofono.
Non mi ero resa conto di quanto il tempo fosse passato in fretta facendo una rassegna del mio pessimo guardaroba.

Filippo gustava la colazione con la nonna al tavolo della cucina.
Aveva ancora gli occhi gonfi per via del sonno e i capelli tutti spettinati.
Indossava con orgoglio il suo pigiama con le pantofole coordinate.
Aveva di certo più stile di me, tutta bardata nella mia tuta nera.

Più diventava grande più mi sembrava Marco in miniatura.
Gli stessi occhi, le stesse espressioni.
Qualche volta queste similitudini mi procuravano dolore.

《Sbrigati Mary o quel ragazzo se ne andrà!》 mi incitò mia madre, intenta a preparare i suoi adorabili pancake.
Sarei rimasta a casa per mangiarne una tonnellata, ma qualcuno mi stava già aspettando con impazienza davanti al cancello.

Parecchia impazienza.

Decisi di mettermi le mie sneakers rosa.
Erano sempre orribili, ma avevano un suo significato.
Le avevo indossate la prima volta che avevo visto Edoardo in hotel, portavano con sè un ricordo bellissimo e doloroso allo stesso tempo.

Per lo meno, ovunque saremmo andati, mi sarei distinta bene.

Non si passa certo inosservate con un paio di tennis rosa fluorescente.

__________________________

Quello che mi trovai di fronte poco dopo mi lasciò senza parole.
Non solo non avevo l'abbigliamento adatto, ma sicuramente avrei avuto anche freddo.

Tantissimo freddo.

Edoardo mi aspettava appoggiato alla sua moto nera, sportiva e per niente comoda.

O così mi sembrò.

《Oggi ho pensato che l'auto non ci servisse 》 mi disse allungandomi un casco integrale nero.

Come conoscesse esattamente la mia misura non fui mai in grado di spiegarmelo, ma la azzeccò perfettamente.

Ero agitatissima.
Era forse una vita che non salivo su una moto e nonostante le avessi sempre adorate, mi avevano sempre fatto anche paura.
Più volte, da adolescente, avevo rifiutato di salirci
Avevo sempre pensato che qualora l'avessi fatto, avrei dovuto avere completa fiducia del guidatore.

E dopo l'incidente la paura si era triplicata.
Il non essere padrona di me stessa o del percorso mi agitava ancora di più.

《Puoi dirmi dove stiamo andando?》ero impaziente.
Non sarei mai stata in grado di nascondere la mia ansia.
Era esplosiva.

《Ti assicuro che ti piacerà, te lo prometto. Tu solo fidati, per favore.》

Edoardo mi aiutò ad infilare il casco.
Mi sentii stupida.
Aveva pensato a tutto, alle protezioni, al giubbotto.
Non avevo bisogno di altro, solo del coraggio di partire.

Non era cosa da poco.

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Il rombo del motore ci accompagnò lungo le strade di campagna.
Inizialmente mi sentii impaurita e fuori luogo, ma lentamente queste emozioni lasciarono spazio alla serenità di un viaggio senza obblighi o costrizioni.

Di tanto in tanto Edoardo mi accarezzava un ginocchio per accertarsi che stessi bene.
Delle volte ebbi come l'impressione che mi mancasse il fiato.
L'aria fredda tagliava di netto i nostri corpi come la lama di un coltello ben affilato, ma tutto sommato era piacevole.

Stavo bene davvero, talmente bene che finii per canticchiare una vecchia canzone che aveva segnato la mia infanzia.

Tutto era stupendo, il paesaggio, la brezza sulla pelle, il rumore della moto di Edoardo che procedeva senza fretta.
Era una giornata stupenda, non sarebbe piovuto e ci saremmo goduti questi attimi solo nostri.

Non mi accorsi del tempo che passava.
Finii anche per non rendermi nemmeno conto di dove stessimo andando.
La mia mente fu rapita dalla sensazione di benessere.
Mi stavo fidando, me la stavo godendo e dopo molto tempo mi sentii finalmente rilassata.
Nessun pensiero, nessuna paura, solo la voglia di condividere.

Qualche ora dopo mi resi finalmente conto della meta del viaggio.

Venezia.
Edoardo mi stava portando a Venezia.

Fin da piccina avevo sognato Venezia, ma per un motivo o per un altro, non si era mai creata l'occasione per andarci.
Nonostante non vivessi così lontano, non ci ero mai stata.
Era una di quelle esperienze che mi era sempre mancata.

Alla sola idea mi emozionai.
Mia madre di sicuro c'entrava qualcosa in tutto questo e una parte di me non smise per tutto il resto del viaggio di ringraziarla mentalmente.

Il nostro rapporto dopo la scomparsa di papà stava cambiando, ci stavamo riscoprendo più in sintonia di quanto pensassi.
Era sempre la solita cinica, ma con qualcosa in più.

Era tornata ad essere mia madre.

Edoardo si era già preoccupato di prenotare il traghetto per portare me e la moto fino sul litorale.
La temperatura si stava finalmente alzando, la fredda brezza mattutina stava lasciando spazio ad un piacevole tepore di mezza stagione.

Salimmo sul traghetto e l'agitazione mi riprese di nuovo.
Si trattava di un brevissimo viaggio per arrivare fino al lido, ma questa cosa dell'effetto sorpresa stava iniziando a torturarmi ancora.

《So che forse avresti voluto vedere Piazza San Marco, ma la costa a mio avviso, non ha eguali.》

In realtà a me non importava nulla, stavo già osservando l'orizzonte in trepidante attesa. La natura sapeva essere bellissima così, anche senza girovagare nel centro di Venezia. Stavamo per arrivare in un posto intimo, tutto per noi. Quello sarebbe stato senza eguali.

Dall'alto, sull'imbarcazione, il mare somigliava ad un tappeto.
La giornata migliorava ancora e fui costretta pure a togliermi il giubbino.
Avevo caldo per via di una moltitudine di fattori.
Edoardo non smise di osservarmi per tutto il tragitto. Non seppi mai esattamente a cosa stesse pensando, ma il suo sguardo lasciò da intendere che fosse perfettamente a suo agio con me.
Mi venne da sorridere quando ricordai che quello era a tutti gli effetti il nostro primo appuntamento. Ci conoscevamo da oltre un anno, ma non avevamo mai fatto nulla di simile.

La piccola imbarcazione attraccò al molo per permetterci di scendere con la moto.
Edoardo guidò cauto fino a che, davanti ad un pontile, spense la due ruote.
Il sole alto di mezzogiorno si rifletteva sullo specchio d'acqua, pensai di non aver mai visto nulla di più romantico e rilassante, fino a quel momento.

Con Marco era capitato di fare piccole gite, ma con lui niente aveva avuto questo sapore.
Quel giorno non c'era nulla che non andasse, i capelli di Edoardo leggermente mossi dal vento, i suoi occhi verdi costantemente nei miei.
Era tutto come lo avevo sempre immaginato, insieme a lui.

《Ho prenotato in un ristorante qui vicino, ma prima ti va di fare due passi sul pontile?》 Mi prese per mano, come fossimo una coppia. Non ebbi altra scelta.

Ci incamminammo mano nella mano, passeggiare sospesi sull'acqua era qualcosa di magnifico e terrificante allo stesso tempo.
Un uomo anziano si voltò nella nostra direzione sorridendo, lo salutammo educatamente prima di arrivare in fondo al pontile.

Il panorama era sensazionale, da restare senza parole.
D'un tratto tutto sembrò scivolare, me compresa.
Appoggiai male un piede, sbadata come sempre, rischiando di perdere l'equilibrio. Edoardo al mio fianco si comportò esattamente come se lo aspettasse.

Mi prese saldamente per i fianchi per impedirmi di cadere in acqua.
Se fosse successo, se fossi caduta, sarebbe stato davvero un bel guaio.

《Ehi, stai attenta! Dove guardavi?》 sorrise quando fu certo che fossi al sicuro.

Mi sentii una stupida.
Si era riproposta una scena già vista, così simile a quel giorno in hotel. Inciampai in quel groviglio di fili e lui fu l'unico ad aiutarmi.
La vergogna si impossessò di me, esattamente come successe un anno prima.

Scoppiai a ridere e lo strinsi in un abbraccio.
Lui rimase per un attimo con il naso a respirare il profumo dei miei capelli senza parlare, poi rise di gusto insieme a me.
Nella disavventura scampata per un pelo, trovammo qualcosa di goliardico su cui scherzare insieme.

《Andiamo a mangiare, ho fame.》 comunicai con i rantoli allo stomaco. Non avevo nemmeno fatto colazione, iniziava a diventare difficile gestire l'appetito.

Senza dire altro ci incamminammo verso il misterioso ristorante sulla spiaggia, posto di cui Edoardo mi aveva parlato poco prima di scendere dal traghetto.

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Sbuffai.
Non di noia o per via della stanchezza. Avevo mangiato davvero troppo.

Edoardo non aveva badato a spese.
Quando fu il momento di pagare inscenò un teatrino molto ridicolo e io fui costretta a farmi da parte.
Il pranzo gli costò un occhio della testa e io mi arrabbiai del fatto che non avesse voluto smezzare.

Parlammo di tutto, della mia situazione lavorativa e di Filippo, della nuova relazione di Marco.
Edoardo rimase sempre in silenzio ad ascoltarmi, ma notai nei suoi occhi una strana espressione.
Arrivai a credere che qualcosa non stesse andando esattamente come aveva sperato.

Sulla strada del ritorno non mi sfiorò mai. Non mi accarezzò mai il ginocchio come aveva fatto durante il viaggio d'andata.
Ormai mi era chiaro che quella gita non fosse stata organizzata a caso.
Era stata una giornata cosi perfetta che trovai illogico terminarla con una brutta notizia.
Ero comunque pronta a tutto.

Forse.

Scendemmo dalla moto in silenzio.

Per quale motivo, in poco più di due ore, sei cambiato tanto? 》
Stavo lentamente spegnendomi come una candela.

Si appoggiò alla due ruote. Tenne gli occhi bassi e iniziò a parlare, a farfugliare discorsi apparentemente contorti.

《Come sai, io e Elisabetta ci stiamo separando. In famiglia non l'hanno presa troppo bene. Ho ricevuto una proposta. Mia sorella vuole aprire un negozio in Canada e vorrebbe me per aiutarla nel progetto. Mi ha chiesto di partire la settimana prossima. Sono combattuto, perché avrei bisogno di allontanarmi un po' da qui. I lavori all'Hotel sono finiti. Vorrei per un po' staccare la spina da questo ambiente, ma ci sei tu in questo ambiente e non so se ne sarei in grado. Andarmene cosi, ora. Non è una scelta facile.》

Rimasi in silenzio ad ascoltare ogni sua parola.
Mi sembrò come se tutto attorno il tempo si fosse fermato e l'unica cosa in movimento fosse il mio cuore.
Stava esplodendo.

Era stato un viaggio d'addio?
Forse stavo esagerando.

《Se vuoi andare, dovresti farlo.》 mi trovai incapace di dire altro.

Edoardo continuò ora a guardare me, ora a fissare il vuoto.
Si vedeva che era combattuto.

《Lo so, dovrei... Ma qualcosa mi dice di non farlo. Forse è perché sento di amarti davvero, se tu mi dicessi di restare, io non me ne andrei.》

Mi sentii investita da troppe responsabilità.

Non fermai Marco ai tempi quando ancora era mio marito, come avrei potuto fermare Edoardo?

Scossi leggermente il capo.
Non doveva restare per me, avrebbe dovuto farlo, se lo voleva davvero.

《Non ho ancora deciso, comunque. Ci sto pensando. Mia sorella lo vuole sapere entro dopodomani, poi se deciderò di trasferirmi, comprerò il biglietto aereo.
Volevo solo che tu lo sapessi per prima.》

Posai un sguardo verso le mie finestre, le luci di casa erano accese.
Mia madre e Filippo dovevano essere già rincasati.
Con le mani tremolanti di chi sta per avere un attacco di panico, posai il casco e il giubbotto sulla moto di Edoardo.
Non avevo più niente da dire in merito a qulla faccenda, se non quello che avevo già detto. Cercai solo di mantenere la calma, lo dovevo a me stessa.

《Ora devo rientrare. Filippo e mia madre sicuramente inizieranno a chiedersi che fine io abbia fatto. Riguardo al viaggio, devi fare quello che ti sembra giusto per te.》 Gli replicai.
Mostrai un sorriso di circostanza, ma in realtà dentro, urlavo.

Edoardo fece per avvicinarsi con l'intento di salutarmi con un bacio, ma io indietreggiai. Dovevo masticare bene la cosa.
Tutta quella storia mi stava facendo male, non volevo che lo capisse, ma mi era difficile nasconderlo.

《Ci sentiamo, ok?》cercò di sincerarsi che non sparissi. In realtà, era il mio unico intento.

Lo ringraziai per la bellissima giornata e in tutta fretta mi richiusi il portone alle spalle.
Sicura del fatto che se ne fosse andato, mi lasciai scivolare a terra sotto l'androne del palazzo e mi concessi di piangere prima di salire in appartamento. Sarei rientrata come sempre, sorridente, come non fosse mai successo nulla.

Non gli avrei mai chiesto di scegliere o di restare per me.
Ancora una volta qualcosa si era frapposto tra noi, doveva essere il destino a volerlo.

Era chiaro che non meritavo di essere felice.
Ancora una volta, ero caduta letteralmente con il sedere a terra.

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