Capitolo 55: Amaro In Bocca

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La notte successiva il messaggio di Edoardo la passai a riflettere su quello che avrei dovuto fare.

Rispondere
Non rispondere
Mandarlo al diavolo
Incontrarlo

Tutte le varie opzioni si susseguivano vorticosamente l'una dopo l'altra nella mia testa e nessuna mi sembrava mai abbastanza giusta.
Certo, se avessi dovuto seguire il mio cuore gli avrei riposto immediatamente nel momento stesso in cui avevo ricevuto il messaggio, ma sarebbe stata troppo comoda.

Per lui, ma non per me.

Ero arrabbiata.
Prima di partire mi aveva fatto una promessa, ossia che per lo meno di tanto in tanto si sarebbe fatto sentire.
Invece era passato più di un mese e non avevo mai ricevuto sue notizie, come che da un momento all'altro fosse morto, sparito nel nulla.

Quella condizione mi aveva fatta soffrire e non poco, più volte avrei voluto cercarlo io per sentire come andassero le cose e come stesse sua sorella, ma ogni volta che tentai di provarci mi sentii stupida e fuori luogo, al punto da sbarazzarmi in fretta di quell'idea.

Era tornato in città e voleva vedermi.
Si sarebbe fermato poco, giusto il tempo di festeggiare il compleanno del padre e poi sarebbe ripartito, il che mi fece immediatamente pensare che quell'incontro non sarebbe valso a nulla. L'ennesima aspettativa senza nessun fondamento logico.

Eppure una parte di me (forse la più cocciuta o la più stupida), ci teneva a vederlo e a chiarire alcune cose.
Soprattutto a ricevere delle risposte adeguate ai perché, alle motivazioni del suo trattamento nei miei confronti.

Presi coraggio e solo dopo aver bevuto una bollente tazza di caffè e aver acceso una sigaretta, risposi al suo messaggio.
Accettai di vederlo, ma non a casa mia. Ogni volta che eravamo stati tanto vicini eravamo finiti con il fare l'amore e non era questa la soluzione ai nostri problemi. Era bellissimo, ma non indispensabile.

Edoardo si trovò d'accordo e mi salutò lasciandomi con un appuntamento nel tardo pomeriggio nel bar sulla statale, quello dove avevamo preso il primo caffè insieme, il giorno in cui la mia auto era andata in panne e lui si era offerto di accompagnarmi.
Pensai che la scelta ricaduta su quel luogo non fosse assolutamente causale, ma mi obbligai a pensare che si trattasse solo di un bar come un altro.

Per tutta la giornata alternai momenti di pura ansia a raptus di nervosismo.
Avevo preparato nella mia mente tutto un bellissimo discorso che gli avrei fatto, consapevole che probabilmente una volta che ci saremmo trovati occhi negli occhi, lo avrei di sicuro dimenticato.
Scelsi di parlare di questo incontro solo con Marika, la quale ovviamente non ne fu entusiasta.

La mia più cara amica sapeva esattamente cosa mi aveva fatto passare  Edoardo con la sua assenza, temeva che questo incontro mi riportasse a raschiare il fondo di nuovo e a doverla dire tutta, lo pensavo anche io. Edoardo non era ancora uscito dal mio cuore, incontrarlo sarebbe stato come infilare una lama in una ferita ancora aperta e squarciare di nuovo una carne in fase di guarigione.

Mi iniziai a preparare che ancora mancavano due ore al nostro incontro.
Avevo deciso che mi sarei mostrata splendida, che non gli avrei dato da intendere che per tutto il tempo in cui lui era stato distante, io avessi sofferto.
Volevo lasciarlo un po' senza parole, o meglio, speravo in questa sua reazione. Sarebbe ripartito con un bel ricordo, oppure con un po' di amaro in bocca. Entrambe le opzioni mi piacevano.

Pochi minuti prima del nostro incontro mi sfiorò l'idea di inserire la retromarcia. Era come se tutte le certezze su di me, su di noi, stessero vacillando. D'un tratto mi osservai allo specchio e mi chiesi se quella che vedevo ero realmente io, così truccata e pettinata di tutto punto, vestita come dovessi andare ad un galà.

Tolsi il trucco e mi infilai un paio di jeans qualsiasi. La vera me non aveva bisogno di sembrare qualcun'altro, non dovevo dimostrare più nulla a nessuno.

Sarei stata splendida a prescindere, i miei occhi avrebbero certamente brillato anche senza chili di ombretto.

_________________________

La musica riempì il piccolo abitacolo della mia auto, ma non allo stesso modo la mia testa.
Il viaggio fino al bar lo ricordai a malapena, talmente mi sorpresi essere assorta nella mia mente. Guidai per abitudine, senza mai prestare davvero troppa attenzione.

Parcheggiai l'auto e mi accorsi che Edoardo era già arrivato.
Era seduto sulla sua berlina nera e leggeva distrattamente qualcosa al cellulare. Quando si accorse di me al suo fianco, intravidi una strana ombra sul suo viso.

Non era felice.

《Non siamo bravissimi a rispettare gli orari degli appuntamenti.》 scherzai, osservando il mio orologio da polso. Eravamo arrivati tutti e due molto in anticipo rispetto all'orario che avevamo pattuito in mattinata.

Forse avevamo più voglia di vederci di quanto credessimo.

Non mi abbracciò, non mi baciò e non si perse in sorrisi festaioli.
Ci incamminammo silenziosamente fino all'ingresso del bar. Edoardo mi invitò a sedermi e aspettare, avrebbe pensato lui alle ordinazioni. Seguii alla lettera le sue parole e attesi che tornasse al tavolo. Quando fu di fronte a me accadde quello che temevo: dimenticai tutto.

Tutte le mie più ferree raccomandazioni finirono in brodo di giuggiole, tutto il discorso che mi ero preparata. Scordai la rabbia, il caos, il nervoso.
Edoardo indossava una felpa sportiva blu e un banalissimo paio di jeans, ma lo trovai affascinante, come sempre. A malapena riusciva a guardami negli occhi, a differenza mia che, invece mi stavo nutrendo del verde smeraldo del suo sguardo.
Ero come rapita, in estasi e questo non mi permise di inscenare la parte dell'attrice per cui mi ero preparata nel corso della mattinata.

Una volta seduti e con le nostre ordinazioni davanti, Edoardo iniziò a parlare. Tentò di giustificare la sua assenza più volte, ma io ero persa nei miei pensieri e a fatica ero in grado di seguirlo.
Il lavoro lo aveva completamente assorbito, sua sorella lo teneva in negozio fino a tardi la sera e quando tornava finalmente alla sua stanza d'albergo, sveniva sfinito sul letto senza nemmeno mangiare.

Erano scuse e io lo sapevo.
Più volte nel bel mezzo del suo discorso mi trovai a pensare che se una persona volesse esserci, nel bene e nel male, il tempo e il modo li avrebbe trovati, sempre. Non volevo giustificarlo, ma la parte più istintiva e prepotente di me era comunque felice del fatto mi avesse ricercata e stesse almeno provando a spiegarsi.

L'idea che restasse così poco mi aveva messa di nuovo un agitazione.
Ci sarebbe stato un ennesimo arrivederci e non sapevo se l'avrei sopportato di nuovo. Avevo già sofferto abbastanza della sua assenza.

Dopo un paio d'ore tra silenzi ed imbarazzi, Edoardo mi comunicò che aveva appuntamento con Elisabetta per chiarire alcune cose in vista della separazione. Al solo sentire quel nome mi si ribaltò lo stomaco. Edoardo non sapeva del nostro incontro di qualche settimana prima e non lo avrebbe dovuto sapere, mai.

Fu in quel momento che mi spiazzò di nuovo, come solo lui sapeva fare.

《Come ti dicevo, mio padre festeggia il compleanno al ristorante di Fausti domani sera, forse sarà un po' fuori luogo chiedertelo... Ma ti andrebbe di venire? Ci saranno tutti quelli che hai conosciuto durante il lavoro all'Hotel e io ne sarei entusiasta.》

Mi tremarono le gambe.
Era un invito gradito, ma d'altra parte mi sarei sentita a disagio, soprattutto per via del padre di Edoardo.
Temevo sapesse del nostro rapporto clandestino, che lo avesse sempre saputo.
Rimasi vaga, non gli dissi nulla e decisi di non accettare immediatamente. Mi sarei presa del tempo per pensarci, chiedermi se ne valesse la pena. Edoardo sembrò un po' deluso, ma del resto non avrei potuto saltellare dalla gioia per via del suo invito. Era più importante restare con i piedi per terra.

Ci salutammo così, con quella strana richiesta e con tutti i miei dubbi annessi, a metà tra la convinzione che sarei andata al compleanno e il terrore che se avessi accettato l'invito, non sarei più stata in grado di dimenticarmi definitivamente Edoardo.

Per il mio bene avrei dovuto dimenticare, ma ero sicura sarebbe stata l'ultima cosa che avrei fatto.





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