Capitolo 9: C'è sempre un "happy end"

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Il mattino successivo mi svegliai molto presto.

Filippo ancora dormiva nel suoi pigiamino blu, accanto a me. Controllai il telefono. Erano solo le sei e avevo ancora tempo.

Ormai le giornate si erano molto accorciate, novembre inoltrato rendeva il nostro grande giardino molto tetro e spento. Nulla a che vedere con gli alberi in fiore di maggio e l'erba verde che cresceva rigogliosa d'estate.

Avevo ricevuto un messaggio nella notte. Marco si scusava di non avermi raccontato tutto sul viaggio di lavoro. Il messaggio era arrivato alle tre circa.
'Londra non è dall'altra parte del mondo', pensai.

Quindi cosa ci faceva sveglio così tardi? Forse c'era un ora o due di fuso orario.

Lessi distrattamente il messaggio e osservai il mio bambino. Era davvero l'unica cosa che mi importava. 
Garantirgli la felicità, per me, era la missione. Non mi interessava il mio matrimonio, o meglio, sì forse lo avevo ancora a cuore, ma non per una questione sentimentale. Alla soglia dei trent'anni avevo smesso di credere al principe azzurro.

Piuttosto credevo di più al conto bancario in rosso, al portafogli al verde.

Qualche minuto dopo svegliai Filippo.
Si sedette a gambe incrociate sul letto, a braccia conserte osservandomi di sbieco.
Mia madre sarebbe passata verso le sette per portarlo a scuola, poi mi sarei vestita e avrei aspettato Edoardo per il caffè.
Puntualissima mia madre spuntò in casa dopo poco.

《Vai ora a recuperare la tua auto?》
Mi chiese senza salutarmi.

Che perfidia.

《Si, la mia auto è da Gigi sulla statale. Ha solo problemi con la candeletta, per tua sfortuna non è ancora da rottamare》

Avevo questa auto da circa otto anni, ancora prima di laurearmi. Ne ero seriamente affezionata.
Mi aveva portato ovunque, l'avevo guidata anche quando con il pancione non ci stavo più, a momenti le ho dato fuoco con una sigaretta.
È stata la compagna migliore di qualche notte brava con le amiche, con Marco e dei miei pochi viaggi.
Ma mia madre la detestava.

Diceva che puzzava di tabacco e di vergogne passate, di vomito e di muffa.
In effetti, quel macinino ne aveva viste davvero molte. E quando l'avevo acquistata per un migliaio di euro circa, aveva già percorso molta strada.

Non ero ancora pronta a cambiare, come sino a quel momento non ero mai stata pronta a cambiare vita.

Filippo aveva perso l'entusiasmo del primo giorno di scuola.
Mia madre sistemò il seggiolino sulla sua nuovissima auto, una berlina sportiva e accattivante. Pagata una follia, ma con il lavoro di mio padre poteva permettersi il lusso di una macchina così e anche di più, se solo avesse voluto.

Mio padre voleva che non lavorasse, ma mia madre, forte indipendente, ha sempre pensato che se in un futuro ci fossero stati problemi con il lavoro multimilionario, un piccolo sostegno in casa avrebbe fatto comodo.

Da molti anni la mia bisbetica madre gestiva una aziendina di pulizie, io ero bambina probabilmente quando con due amiche si creò il suo piccolo "passa tempo".
Essendone la titolare unica poteva gestire al meglio gli orari, ma non si era mai voluta togliere i guanti.
Il vero capo dice lei, è quello che ci suda per il suo lavoro e non fa fare ad altri quello che lui sa fare meglio.

Vagamente spocchiosa, ma realista.

Una cosa sulla mia famiglia andava riconosciuta.
Non si erano mai tirati indietro nel aiutarmi con Filippo, ma per contro non mi hanno mai prestato un solo centesimo.
Mia madre da vera matrona, dopo che rimasi incinta senza troppo girarci intorno, mi disse che mi sarei dovuta responsabilizzare in tutti i sensi. Soprattutto economicamente.
Mio padre non era d'accordo completamente, ma a casa i pantaloni li ha sempre portati mia madre fin da quando ero bambina, per cui finì esattamente come voleva lei.

Pagammo tutto io e Marco a rate, il matrimonio, i mobili, il mutuo, gli affitti.
Questa cosa mi insegnò a non chiedere mai nulla alla mia famiglia, se non un aiuto pratico per la gestione di Filippo.

Mentii a mia madre quella mattina. Mi chiese come sarei andata da Gino e di getto risposi che mi avrebbe accompagnato Marika.
Non avevo voglia di mormorii e consigli indesiderati, commenti acidi e insolenti.

La amavo, ma per certe cose non riuscivamo proprio ad andare d'accordo.
Il mio stile di vita, i miei capelli castani e piatti, il colore delle mie tende non le piacevano mai.

Men che meno avrebbe accettato che Edoardo mi accompagnasse. Avrebbe fatto di tutto per tornare a prendermi in meno di mezz'ora e avrebbe spinto per accompagnarmi personalmente.
Così scelsi di mentire volutamente, per una giusta causa.
Una onestissima causa.

_______________________

Erano ormai le otto passate, mi stavo preparando.

Effettivamente era ora di cambiare colore dei capelli, pensai guardandomi  nello specchio del bagno.

Ero stranamente agitata.
Non mi capitava da molto di sentirmi così, Edoardo e la sua personalità mi mettevano parecchia soggezione, era un uomo molto sicuro di sé.
Poco dopo suonò il citofono.
Infilai i miei comodi scarponcini e scesi le scale.
Quando aprii la porta non ebbi un solo fiato da spendere.
Edoardo era come sempre splendido, nei suoi jeans neri e giubbotto di pelle. Aveva dato un po' di gel nei capelli mossi e mi fissava senza parlare. I suoi occhi verdi erano incantevoli alla luce del mattino.
Il motore dell'auto era acceso, segno che saremmo andati subito via.

《Sei già pronta, non me lo aspettavo. Sono in anticipo? Scusami, mi trattengo poco, ti accompagno, un caffè al volo e poi Elisabetta mi aspetta per arredare la casa nuova.》

Aveva già detto tutto lui.
Forse troppo.

Non so come mai, ma mi sentii trasalire.

Pensai alla sua perfetta ragazza, magra e parecchio più giovane di me e mi venne un po' il nervoso.

《Tranquillo sai, anche io ho da fare. Un caffè veloce al piccolo bar sulla statale e ti lascio alle tue faccende!》
Smorzai io.

Gli sorrisi.

Ma speravo con il cuore che non capisse quanto in realtà ero dispiaciuta che non potesse restare più a lungo.

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Salimmo in auto e ci dirigemmo verso Gigi, un simpaticissimo meccanico non distante dall'hotel. Edoardo lo aveva chiamato immediatamente e lui senza pensarci troppo, era andato a recuperare la mia auto nel parcheggio dell'hotel, aveva sin da subito capito il problema e si era sincerato con Edoardo che mi avrebbe fatto il lavoro per un buon prezzo.
Gigi al nostro arrivo era sulla soglia, cercava di togliere un po' di unto dal viso, peggiorando solo la situazione.

Mi consegnò le chiavi e dopo aver pagato, Edoardo mi disse che mi aspettava al piccolo bar lì vicino.
Avevo fame, non avevo fatto colazione e ormai erano le nove passate, la tensione se ne era andata e il piccolo mostro nel mio stomaco si era svegliato.

Parcheggiai in modo maniacale davanti al bar, Edoardo mi aspettava con le mani in tasca vicino all'entrata.

Non era il momento delle fantasie... Forse.

Gli feci un cenno con la mano e andai verso di lui. Era inutile, il suo fascino non si poteva non notare.
Entrammo in quello che sembrava un pub.
Effettivamente alla sera si trasformava esattamente in questo. Era un locale all'americana, con i tavoli e le panche di legno scuro. Veramente carino. Non sapevo nemmeno che esistesse un posto così, e poi poco distante da casa mia.
Edoardo mi invitò ad ordinare.
Un bel cappuccio caldo e una brioches erano l'ideale per placare il mostro.

《Elisabetta non mangia mai le brioches. Dice che sono ipercaloriche e piene di burro...》

Scoppiai a ridere, ma poi me ne pentii subito.
Edoardo mi stava a guardarmi un po' stupito, ma non avevo proprio potuto contenermi.

Io che mi faccio limitazioni sul cibo? Mai, piuttosto qualche chilo in più, ma mai avrei fatto la fame. Sono a tutt'ora troppo ingorda, mi rammentai.

Ero pronta ad addentare il mio cornetto al bancone, quando mi chiese di sederci un momento.

Ma non aveva fretta? Pensai.

Ci accomodammo ad un tavolo nell'angolo del locale. Tutta la sala era impregnata di uno strano odore di tabacco stantio, ma non ci feci troppo caso. Ero affamata.

《Allora, cosa si dice dell'hotel?》

Intervenni io quando lo vidi annoiato, o pensieroso, che dir si voglia.

《Dai! non parliamo di lavoro cavolo. Questo hotel mi sta privando della vita!》

Stava sorseggiando il suo caffè guardando il paesaggio grigio fuori dalle piccole finestre in legno del pub.

《Ok ok, hai ragione... Dimmi un po' di questa casa nuova.》

Ero sempre la solita curiosa invadente, mia madre su questo aveva ragione.

Ma Edoardo non si sentì intimorito.

《Abbiamo preso casa poco distante dal centro. È un bel appartamento, adatto per due persone senza figli. Magari un giorno invito te e tuo marito a cena, così la vedi...》

Non pensavo affatto di andare a casa di Edoardo con Marco, ma la trovai una curiosa richiesta.

《Grazie, sei gentile ma, se posso... Come mai hai detto senza figli? Non vuoi averne?》

《No, non per ora.
Non sono pronto a fare il padre. Sto bene così. Elisabetta è giovane, abbiamo tempo.
Non farò l'errore di tanti.》

Rimasi a fissarlo, con gli occhi spalancati.

L'errore di tanti? Io allora dovrei pensare che Filippo per me era frutto di un sbaglio?

Evidentemente se ne accorse subito di aver parlato a sproposito e corresse il tiro.

《Scusami, non mi riferivo a te. Non sono bravo con le parole. Intendevo dire che ognuno nella vita ha i suoi progetti e scopi e se ha chiaro di non volere diventare genitore, fa bene ad aspettare. Se anche a me fosse successo, ora sarei un padre sereno, credo. E non pentito. Ma ho sempre prestato attenzione... È un passo importante per me, non una cosa da poco.》

Di questo ne fui felice. Era un ragazzo serio, voleva dire.
Ma poi la mia curiosità riprese il sopravvento.

《Parlami della tua famiglia, ti va? Tuo padre mi sembra fantastico.》

Mi osservò un attimo spiazzato o forse infastidito, ma ero certa che anche in quel contesto confidenziale, avesse la risposta pronta.

《Mio padre non è niente di quello che hai visto. È un pazzo! Lavora da tutta una vita e non ha intenzione di fermarsi, ambizioso e meticoloso.
Però è un tale rompi coglioni.
Un po' come me.》

Si mise più serio e io pensai di aver appena mosso un vespaio.

《Mia madre è morta tre anni fa. Aveva il cancro, lo abbiamo saputo che era ormai troppo tardi. Era una donna fantastica, adorabile. Sempre pronta per gli altri. Ci ha lasciato un bel vuoto.
E ho una sorella, Elisa. Più grande di me. Vive in Canada da molto tempo. E non di meno, ho un cane. Il mio migliore amico al momento!》

Non sapevo cosa dire.
In un attimo capii il motivo del suo attacco in auto. Aveva perso la madre e chiaramente ne soffriva molto.
Realizzai di essere stata davvero stupida a pensare che c'è l'avesse con me.

Brava, hai sempre un gran tatto pure tu insomma!

《Beh... 》 replicai 《... hai vissuto qualcosa di molto intenso e doloroso. Mi spiace averti coinvolto in quel discorso infelice ieri.》

Mi sembrò di scorgere uno sguardo molto più rilassato e fui grata che finalmente mi avesse spiegato come mai avessimo avuto quella divergenza durante il viaggio in auto.

《Non ti preoccupare.
Anzi, scusami ancora, sono stato sgarbato. Non ti conosco e non sono nessuno per fare osservazioni sulla tua vita. 》

Su questo non avevo dubbi.. Ma gliela perdonai.

Parlammo di molto, di tutto. Dei nostri studi, della famiglia, della torta di mele della madre che gli mancava tantissimo e del padre ossessionato dal grigio. Grigio su ogni cosa: muri, mobili, abbigliamento. Si faceva vanto persino dei capelli grigi.

Mi raccontò di come aveva conosciuto Elisabetta in discoteca, di come era stata procace e di come lui non le aveva resistito, anche se caratterialmente erano i due poli opposti di una batteria.

Di certo, il polo positivo non era lei a mio parere.

Io gli raccontai di Marco e dei suoi progetti lavorativi, della nostra casa e del mio sogno di andare in Canada fin da quando ero piccola e guardavo le serie TV con mio nonno sul divano.

Evitai di parlare male di mia madre, anche se avevo un tremendo bisogno di sputare un po' di sano rancore per come mi trattava, ma Edoardo non era la persona giusta a cui raccontare i perché e i come io e lei andassimo così poco d'accordo ultimamente.
Il cappuccino era congelato, sintomo che avevamo fatto tardi.
Edoardo estrasse il telefono.

Merda. Sette chiamate perse.
Elisabetta sarà infuriata.
Scusa, sono in ritardo, devo correre o quella mi torturerà per giorni!》

Il tempo era volato.

Nessuno dei due si era reso conto delle ore che passavano, chiacchierare era una cosa davvero piacevole per entrambi.
Ero quasi dispiaciuta che fosse già venuto il momento di andarsene.
Ci salutammo, lo ringraziai per la mia auto e lo vidi sparire sulla statale, così velocemente come ci eravamo incontrati.

_________________________

Poco dopo, persa nelle pulizie di casa, lo squillo del telefono mi riportò alla realtà.
Non facevo altro che pensare a lui e alle cose che ci eravamo raccontati.
A come era stato semplice chiacchierare di tante cose senza badare al tempo che passava.
Eravamo stati confidenti e complici per qualche ora ed era una sensazione che non provavo da molto tempo, ormai.

Era un WhatsApp di Marco.
Mi informava che aveva acquistato il biglietto di ritorno e che nel fine settimana rientrava a casa.

Erano già passati quasi dieci giorni, pensai, e non me ne ero proprio accorta.

Con gli impegni lavorativi, Filippo e Edoardo nella testa, ero davvero confusa.
Non mi potevo capacitare del perché lo pensassi così spesso, anche senza volere.
Mi ripetevo che ero una donna sposata, che non potevo pensare a certe cose, che non potevo immaginare di frequentarlo o conoscerlo meglio, ma soprattutto che in meno di sei mesi lui sarebbe sparito dalla mia vita, quando in estate avessimo inaugurato l'Hotel una volta per tutte.

Ma volevo ringraziarlo e così distrattamente e senza pensarci troppo gli scrissi un SMS.

"Edoardo, grazie per l'aiuto e per la bella chiacchierata. Spero che non ci siano stati problemi con Elisabetta e che abbiate scelto un bel arredo. Alla fine non ti ho nemmeno pagato il caffè...Scusa per il disturbo che ti ho creato, alla prossima. Mary."

Attesi per un po' la risposta e nel frattempo andai a prendere a scuola Filippo.
Preparammo con entusiasmo la casa per il ritorno del padre. Filippo voleva a tutti i costi fare uno di quegli striscioni di ben tornato, io lo assecondai, ma nel mio cuore non avevo la sua stessa euforia.

Non ricevetti nessuna risposta.
La sera un po' dispiaciuta spensi il cellulare e mi misi a dormire.
Era il mio "happy end", il punto di fine a questo viaggio mentale che mi ero fatta.
Era stato bello provare di nuovo per un po' la sensazione di farfalle allo stomaco.

Ma era ora di tornare alla solita, cara e vecchia routine.

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