Vanità delle vanità by SimoneFar (Italian)

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Vanità delle vanità

By SimoneFar


Quando il suo piede toccò il pavimento, Pyotr fece una leggera smorfia. La gravità era appena superiore a quella terrestre, ma comunque la differenza gravava sulla sua caviglia arrugginita dagli anni e dal lungo tempo passato in sospensione criogenica. Oltretutto, gli era stata fornita una corta tunica di una qualche tela sintetica, ma niente scarpe. Atterrando sulla pianta nuda, il piede gli aveva trasmesso lungo tutta la gamba impercettibili, fastidiose vibrazioni.

Con cautela, l'artista scivolò fino a un divanetto e ci si mise sopra, semi-sdraiato, la schiena puntellata contro un angolo e le gambe a ciondoloni per terra. Subito, rilassandosi, un brivido lo colse. Una tripla doccia di acqua più ultrasuoni non gli aveva lavato via dalla pelle la sensazione di bruciatura chimica del gel ammortizzante in cui era stato sdraiato per tutta la durata del suo sonno di stasi. Gli sembrava di sentire tutto il suo epidermide sfrigolare, come mangiato da una qualche sostanza chimica. Sperò fosse solo un'impressione.

Guardò il salottino. Nonostante tutto, l'Impero Automatico aveva fatto un buon lavoro, mettendogli a disposizione una stanza confortevole, con supporto vitale quasi corretto (la gravità era per l'appunto un po' eccessiva e c'era uno strano odore di menta nell'aria) e l'ambiente risultava addirittura gradevole: il divanetto era comodo, di un bel colore borgogna, con rifiniture in filo d'oro, mentre sulle parenti intorno a lui erano appesi dei video su cui scorrevano immagini di campagne e panorami mozzafiato tipicamente terrestri. Il silenzio, di contro, era perfetto. Difficile dire che ci si stava muovendo nello spazio.

La porta opposta al lato da cui era entrato si aprì e un cilindro di metallo alto poco più di un metro entrò, muovendosi precariamente su una corona di minuscole ruote, nascoste sotto la sua corazza. Era evidente che l'essere meccanico, in quella stanza, era persino più a disagio di lui nell'orientarsi. A un certo punto urtò un angolo del divano e parve sul punto di rovinare a terra. Una volta ritrovato l'equilibrio, rivolse verso Pyotr un occhio elettronico di colore blu acquamarina.

- Io sono EMM-deuce-41, le avevo detto, durante il nostro ultimo colloquio, che mi avrebbe trovato sulla nave. - disse una voce proveniente dal cilindro, appena umana.

Pyotr annuì. - Aveva detto che potevo chiamarla solo Em, giusto?

- Corretto, immagino le sia più agevole.

Durante tutta la trattativa che aveva portato a quel viaggio, Em era apparso a Pyotr come una sagoma umanoide sullo schermo, appena abbozzata, dello stesso color acquamarina dell'occhio elettronico che era montato sul cilindro. Pyotr però sapeva che né quello né il simulacro di metallo che aveva davanti erano la vera forma della Macchina. Em, probabilmente, come molti altri suoi simili, esisteva nello spazio di archiviazione cibernetica della nave. Le intelligenze artificiali raramente usavano istanze meccaniche per interagire con il mondo, sia perché le trovavano scomode sia perché rallentavano le interazioni anche tra loro. La navicella su cui si trovavano, come tutti i vascelli dell'Impero Automatico, era equipaggiata di una memoria quantica in cui le entità che dovevano viaggiare caricavano loro stesse e lì rimanevano, occupandosi anche di spedire input di comando a tutti i sistemi di volo. Em, evidentemente, aveva riversato sé stesso in quel cilindro per facilitare il suo dialogo con il suo ospite umano. La cosa non sembrava piacergli particolarmente.

- Abbiamo viaggiato dunque per sei giorni? - chiese Pyotr.

- Esattamente, nessuna anomalia ha turbato la nostra previsione di volo. Abbiamo abbandonato la nave interstellare Ganesha già da un paio d'ore e ci stiamo avvicinando con volo interplanetario al pianeta Arrowo, dove il logoteta l'aspetta.

Pyotr avrebbe voluto vedere la grande astronave interstellare dell'Impero Automatico. La tecnologia dell'Impero era molto superiore a quella umana, un vascello umano anche molto veloce, per lo stesso tragitto, avrebbe impiegato anni. Purtroppo lui era stato caricato su quella piccola navicella, addormentato prima che questa venisse imbarcata sul Ganesha e risvegliato solo a trasvolata conclusa. Evidentemente non era destinato a vedere molto più di quel salotto, della flotta delle Macchine.

- Come... mh... respirerò su Arrowo? - L'Impero tendeva a installare i suoi insediamenti su mondi privi di atmosfera.

- Come le ho specificato, il logoteta è leggermente discosto dai nostri standard quindi per questo non ci saranno particolari problemi.

- Cosa intende?

Alcuni dei video alle pareti scivolarono in ricettacoli nella paratia, rivelando dei veri e propri oblò. Fuori da essi, oltre a ampie porzioni spazio nero, c'era la curva di un mondo, di un azzurro splendente.

Per lo stupore, Pyotr si avventò sull'oblò più vicino e vi premette sopra la faccia. Gli astronomi, nel corso degli anni, catalogando i corpi celesti, avevano scoperto che la galassia aveva poca fantasia e che solo poche tipologie di pianeti esistevano effettivamente. Un pianeta di un azzurro di quel genere, con striature di bianco e aree verdeggianti al suolo, necessariamente comprendeva un equilibrio di azoto, ossigeno e anidride carbonica adatto alla vita umana.

- Un pianeta abitabile?

- E' stato correttamente segnalato all'Unione Umana. Ma oggettivamente è troppo lontano dalla vostra attuale zona d'interesse per uno dei vostri insediamenti. Per questo Logoteta lo ha preso per sé.

Le Macchine prendevano il controllo dei pianeti unicamente per le risorse che vi potevano trovare dentro. Una volta insediati cominciavano a scavare e a convertire qualsiasi cosa avesse un valore in mega-strutture e altre macchine. Un patto sottoscritto secoli prima, quando l'Impero Automatico era divenuto indipendente dalla razza umana, sanciva che ogni pianeta abitabile venisse segnalato agli umani e a loro consegnato. Comunque fosse, le Macchine non se ne facevano nulla di mondi del genere. L'atmosfera e la vita rendevano difficili le attività di sfruttamento e loro stessi erano consapevoli che se avessero trattato un pianeta abitabile come trattavano tutti gli altri ne avrebbero distrutto inevitabilmente l'ecosistema. In qualche modo l'eventualità gli era sgradevole.

- E cosa se ne fa Logoteta di un pianeta abitabile? - si trovò quindi a chiedere l'artista.

- Vede quella specie di macchia grigia, non lontano dal mare, sulla punta di quel continente?

- Si.

- E' la sua base operativa.

- Una... base operativa?

- La prego, aspetti di incontrare il Logoteta.

In quel momento, una lieve scossa indicò che stavano entrando nell'atmosfera.

La base operativa del Logoteta era un gruppo di edifici giganteschi dalle forme geometriche squadrate e comprendeva anche un piccolo spazioporto dove l'astronave poté scendere agevolmente.

Durante tutto il processo di discesa Em non parlò, mentre la luce del suo occhio acquamarina lentamente di spegneva. Grazie a quel poco che sapeva delle procedure delle Macchine, Pyotr intuì che il suo accompagnatore stava spostando la sua coscienza dai sistemi di memoria dell'astronave ai sistemi di memoria del palazzo. Concluso il viaggio era infatti inutile che l'Intelligenza rimanesse confinata in quello spazio quando poteva usare l'archivio cibernetico del logoteta, evidentemente più vasto e accogliente. Una volta completato l'atterraggio e spenti i motori, infatti, l'occhio elettronico trovò nuova luce. - Possiamo scendere. - annunciò.

Pyotr seguì EMM-deuce-41 lungo la passerella di piastrelle color ambra che portavano fuori dallo spazioporto. Fuori dalla navicella notò che si era sbagliato nel valutare che il centro operativo del logoteta era composto di strutture squadrate. Ora che poteva vederle da vicino notava che sì, la forma complessiva dei palazzi che aveva davanti era quella di un cubo con accanto due piramidi, ma ognuna di queste sagome era creata da un intreccio complicatissimo di tensostrutture e giunti, una fitta rete di acciaio che senza partire da un punto preciso esplodeva e si sviluppava in maniera frattale fino a formare la figura finita. La sola idea del disegnare un progetto del genere fece venire a Pyotr le vertigini, fissare il cuore del cubo gli dava impressione che tutto fosse in perenne movimento, come se la matematica e la geometria, sforzate al massimo, stessero scricchiolando per tenere tutto in piedi. Il suo occhio d'artista riconosceva la bellezza dei palazzi eppure vi vedeva anche un difetto di fondo, come una nota sorda. Chiunque aveva disegnato quelle imponenti fantasie lo aveva fatto rispettando intricate regole matematiche che inducevano vertigine, ma non era riuscito a fare niente di più. Non era riuscito a mostrare niente di più. Per quanto tutto fosse bellissimo, mancava di una fiamma che gli ardesse dentro, un sentimento, era tutto solo una stupenda carcassa morta.

Gli interni del cubo, il palazzo dentro cui lo condusse Em, non erano da meno rispetto al suo aspetto esterno. I soffitti erano altissimi, retti da colonne della larghezza di diversi metri, in marmo rosso, sormontate da capitelli di marmo nero finemente intagliati. Il pavimento era di un materiale simile all'avorio, compatto come pietra, ma allo stesso tempo lucido e i vari arredi che si vedevano, arredi che erano inutili alle macchine, ma che sembravano essere stati inseriti come indispensabili, sfoggiavano i materiali più preziosi: legno, oro, argento.

Per la prima volta da quando era partito Pyotr si rammaricò che le Macchine non gli avessero consentito di portare vestiti suoi e gli avessero permesso di coprirsi solo come quella patetica tunica. La nudità, come la sciatteria, non erano un problema per le intelligenze artificiali, ma lui si sentiva comunque umiliato a muoversi conciato in quel modo.

- Dove siamo andando, Em?

- Mi perdoni, ma il logoteta voleva vederla subito, non poteva ritardare oltre l'annuncio della sua venuta.

Il lungo percorso che stavano seguendo portava a una grande sala. Mentre lui avanzava al centro poté notare almeno due dozzine di altre istanze di Macchine ai bordi. Alcune erano dei cilindri o delle figure anonime come Em, ma altre sembravano molto più complicate. Certe gli ricordavano il corpo di animali, altre erano ornate con pezzi di metallo unicamente decorativi che cercavano di riprodurre le forme di oggetti terrestri come navi o piante. Altri sembravano solo degli ammassi di metallo, ammassi dove però ogni pezzo era stato messo insieme inseguendo una qualche idea di armonia.

Nessuno si avvicinò a lui, ma tutti gli occhi bionici disponibili gli si puntarono addosso. All'incirca al centro della grande sala il suo accompagnatore gli ingiunse di aspettare e lui allora si mise in piedi, composto, cercando di sistemarsi la tunica. Nel giro di pochi secondi il logoteta arrivò.

Logoteta AR-Thaum-818 era una fiamma sfolgorante. Il suo corpo era la riproduzione di un corpo umano, precisa nei minimi dettagli. Le sue mani avevano ognuna cinque dita dove ognuna sembrava potersi piegare alla giusta giuntura, le sue gambe, snodate all'anca, al ginocchio e alla caviglia, gli permettevano di avere una camminata molto credibile e imperiosa. Le sue spalle, larghe, alloggiavano le corrette giunture per farlo gesticolare con le braccia che poi si piegavano graziosamente al polso e al gomito. E tutta la sua corazza, tutto ciò che si poteva vedere del suo corpo, la sua pelle metallica, tutto ciò che era sagomato sopra i servo meccanismi che gli permettevano di muoversi, tutto era in oro zecchino.

Oro. Un metallo stupido per costruire il corpo di una Macchina, troppo malleabile, troppo suscettibile agli urti. Quando le macchine si creavano un'istanza di metallo si assicuravano che gli permettesse di esercitare una certa forza, così da lasciargli il controllo della situazione. L'oro rendeva un requisito del genere impossibile da soddisfare. Se anche i motori sottesi alla mano del Logoteta gli avessero consentito una stretta di cento chili, le sue dita si sarebbero deformate orribilmente appena avesse provato a imprimerla. Logoteta AR-Thaum-818 era quindi un bellissimo manichino, inquietante per la flessuosità dei suoi movimenti, un affascinante giocattolo, ma un essere inutile.

Il suo volto era una maschera, sempre d'oro, occhi naso e bocca semplicemente abbozzati, quest'ultima piegata in un ghigno scherzoso. Sicuramente quel pezzo era stato realizzato come riproduzione di una maschera vera, ma il risultato rendeva l'insieme ancora più grottesco.

- Sono felice che tu sia potuto venire qui, Pyotr, tagliatore di gemme. E' vero che sei il più grande artista umano del tuo campo? - lo salutò il Logoteta.

Pyotr, in segno di rispetto, si piegò leggermente in avanti. - Non posso dirlo io, Logoteta, ma molti lo sostengono.

Tutt'intorno all'artista le Macchine emettevano un ronzio eccitato, che dipendeva dai piccoli movimenti che facevano, come anche dal continuo assestarsi dei loro obiettivi. La visita dell'umano, evidentemente, li eccitava, li incuriosiva, anche se probabilmente non li spaventava.

- Devi scusare tutto questo cerimoniale. - nel dire queste parole, Logoteta allargò le braccia per prendere tutto, le mani gli si appesero morbide in fondo ai polsi, come se fossero state prive di peso, aggraziate. - Non avrei mai potuto farti venire qui senza permettere ai miei amici di guardarti almeno una volta. Spero tu non lo trovi irrispettoso.

Logoteta AR-Thaum-818 era evidentemente abituato a parlare con gli umani, la sua grammatica e la sua scelta delle parole era studiata per stemperare l'usuale rudezza dei modi dei membri dell'Impero Automatico. Probabilmente erano i suoi incarichi diplomatici ad avergli permesso di costruire la sua reggia privata.

- Vedo tutti con piacere, Logoteta.

- Ora, però, seguimi in un ambiente più privato e lascia i miei ospiti a EMM-Deuce-41. Vieni.

Pyotr raggiunse AR-Thaum-818 nella sua posizione. Avvicinandosi poté notare che non solo la sua corazza era tutta d'oro, ma su di essa vi era una raffinata teoria di incisioni a figure astratte, che si intrecciava con una complessità non dissimile da quella che l'artista aveva già visto nel disegno degli edifici. Mentre alle loro spalle Em si impegnava a intrattenere la bizzarra corte del Logoteta, loro due attraversarono una piccola porta e così si trovarono in una stanza molto più raccolta, dominata da un tavolo. Sul tavolo c'era qualcosa, coperto da un panno di velluto scuro.

- Se non avessi pensato che i tuoi servigi mi erano indispensabili, tagliatore di gemme, non sarei venuto a cercarti fino nel cuore dei reami umani. L'Impero Automatico e la tua razza, però, sono buone amiche da tempo immemore e quindi ho deciso di fare questo tentativo per soddisfare un bisogno che è per me sempre più pressante.

- Dite, logoteta.

Le dita d'oro si strinsero intorno al panno di velluto scuro e lo sollevarono, rivelando un blocco scarlatto alto come il braccio di Pyotr e altrettanto profondo. Nonostante la pietra non avesse ancora subito nessun processo di pulitura e levigazione, era tanto pura che già rifletteva la luce restituendola scarlatta in rapide onde. Pyotr, che aveva dedicato la sua vita alle pietre preziose e da esse, forse, aveva ricevuto parte della sua anima, rimase sconvolto dalla visione. - E'... è stupendo, Logoteta.

- E' berillio rosso. E' stato trovato su una luna di questo sistema. Non importa quanti pianeti la mia gente abbia scavato, mai è stato trovato qualcosa del genere. Devi sapere che le Macchine da anni producono diverse pietre, anche preziose, in laboratorio. Ma il miglior risultato ottenibile non è nemmeno paragonabile a questo miracolo della natura.

Seguendo un istinto irresistibile, Pyotr appoggiò la mano sulla gemma e la sfregò con energia, come se la potesse levigare con la sola forza delle dita. Gli infiniti riflessi all'interno del blocco, le sfaccettature di ogni strato della sua struttura cristallina, tutto sembrava porgli una domanda a cui lui sentiva l'urgenza di rispondere.

- Tu sei un tagliatore di gemme. - affermò AR-Thaum-818.

- Si...

Il Logoteta si mise una mano sul volto e sganciò l'irriverente maschera che portava, appoggiandola sul tavolo. - Ho bisogno di un viso, tratto da questa pietra.

Pyotr si trovò a fissare due obiettivi elettronici, incastonati in una piatta lamina di metallo. Sotto la maschera d'oro, la struttura nuda di Logoteta appariva di materiale meno nobile. - Un viso?

- Ho studiato per anni la struttura umana così da poterla riprodurre con tutta la sua grazia e il suo fascino in una macchina. Il risultato dei miei sforzi è questo corpo in cui ora mi vedi. Ho usato l'oro perché sono consapevole che il suo luccichio a sua volta è fonte di incredibile magnetismo. Nonostante questo, quando ho di fronte occhi umani come i tuoi, so che questi non vedono altro che un pezzo di metallo semovente, privo di tutta la bellezza che io sto cercando di ricreare. Sono certo che ciò dipenda anche dalla patetica maschera che indosso. Il viso, per un umano, è gran parte della sua umanità. Ho bisogno che questo viso sia unico nel suo genere e per questo sono riuscito a impossessarmi di questo blocco di berillio, ma ciò non basta. Se io mettessi mano alla pietra per forgiare la mia faccia il risultato sarebbe certamente deludente.

- Perché dite questo, Logoteta?

- Una cosa che ho imparato dai miei studi è che i volti umani, per quanto costituiti su uno schema simmetrico, in realtà possiedono diverse impercettibili asimmetrie. Queste asimmetrie, in modo che non riesco a misurare, conferiscono realtà al viso, sono parte della sua capacità di apparire vivo. Purtroppo il mio modo di pensare non può sfuggire alla più completa e precisa simmetria, per cui non mi è possibile introdurre nella maniera corretta questo tipo di differenze. Non ho bisogno semplicemente di riprodurre un volto umano in questo blocco rosso, tagliatore di gemme. Ho bisogno di un'opera d'arte.

Pyotr, con le mani sempre attaccate alla gemma, rifletté sulla richiesta. - Lei vorrebbe che io forgiassi il suo volto?

- Esattamente.

- Non è possibile.

- Perché?

- Per fare una cosa del genere dovrei comunque basarmi su un volto già esistente. Visto che non abbiamo intorno altri umani, probabilmente la persona che dovrei usare sarei io. Il risultato finale, quindi, non sarebbe il suo volto, Logoteta, ma una copia del mio.

- Se lo scopo del tuo lavoro fosse una riproduzione, potrei darti ragione, ma tu stai creando per darmi una faccia. Poco importano le somiglianze, io la porterò come parte del mio corpo.

Pyotr pensò al Logoteta che vagava per il palazzo con addosso una faccia che somigliava a lui e rabbrividì. L'idea lo inquietava terribilmente. Nonostante questo, però, la possibilità di lavorare quella magnifica gemma per realizzare qualcosa di tanto ambizioso lo tentava. Poco sarebbe importato se AR-Thaum-818 fosse andato in giro per millenni con la sua faccia. Sarebbe andato in giro, soprattutto, col frutto del suo lavoro, probabilmente col suo capolavoro. Nessun altro committente, per quanto prestigioso, avrebbe mai potuto ordinargli di plasmare la carne di un essere artificiale.

Staccò la mano dal berillio come se scottasse. - E' molto... ambizioso.

- Ho fatto attraversare le stelle al più grande artista vivente per questo.

Pyotr si guardò intorno cercando avidamente una sedia, senza riuscirci. Le Macchine non ne usavano e lì non si trovavano nemmeno quei pezzi di mobilio che, evidentemente, erano unicamente un ornamento per l'ambiente. Vedendolo in difficoltà, però, AR-Thaum-818 gli si fece vicino e lo sostenne, prendendogli le spalle con un braccio. Nonostante fosse tutto metallo, il suo tocco apparve gentile. - Sei in difficoltà, tagliatore di gemme?

Lui annuì senza parlare.

EMM-Deuce-41 entrò nella stanza come se qualcuno lo avesse chiamato, sebbene Logoteta non aveva emesso alcun suono. Tutte le Macchine presenti nel palazzo erano connesse anche perché fisicamente, le loro coscienze albergavano assieme nello stesso archivio quantico. Il padrone di casa parlò con tono accondiscendente. - Io non ho fretta, Pyotr. Ho predisposto per te un ambiente dove ristorarti, cercando di renderlo il più possibile accogliente per un umano. Potrai rimanere mio ospite quanto vorrai e farò in modo di fornirti ogni piacere tu richieda. L'unica cosa che può fermarmi, lo sai, è la mia abissale ignoranza in ciò che interessa alla tua razza. Quando avrai deciso cosa fare, torneremo a parlare.

- Grazie, Logoteta. - rispose riverente l'artista, dopodiché si incamminò dietro il cilindro ronzante di Em, mentre quello gli spiegava come funzionava il palazzo.

Con in mente gli spazi angusti e goffi predisposti nell'astronave che l'aveva portato su Arrowo, Pyotr non si sarebbe mai potuto aspettare la raffinatezza delle stanze che erano state preparate per lui. In qualche modo, semplicemente, il Logoteta aveva dovuto spingere un po' oltre la sua ossessione per l'aderenza alle cose umane e così, invece di creare un luogo che era solo fintamente umano, ne aveva creato uno che era perfetto per la vita di un principe in carne e ossa.

Gli era stata assegnata una camera da letto, un salotto e una enorme stanza da bagno in cui trascorse lungo tempo, rilassandosi in una vasca di acqua bollente. Aveva a disposizione un lungo elenco di cibi che si potevano sintetizzare su Arrowo e Em stesso lo aveva lungamente interrogato chiedendogli quali fossero le passioni che poteva impegnarsi a soddisfare, se avesse avuto la pazienza di attendere il tempo necessario. Senza imbarazzo, la Macchina puntualizzò che sarebbe stato possibile ottenere anche una donna, una volta concessole il tempo di arrivare dallo spazio umano.

Pyotr non voleva nulla, una volta che fu riuscito a liberarsi di Em e rimanere solo si accontentò della bottiglia di liquore amaro che aveva trovato nella stanza da letto. Era desideroso di stordirsi, non tanto per il viaggio o per sopravvivere alla grandezza degli onori che gli venivano fatti, ma per smetterla di pensare al blocco di berillio e al volto del Logoteta.

Era un artista. Questo significava che tagliare le pietre non era solo un lavoro per lui, ma una continua sfida in cerca di perfezione. Gli era stata messa davanti la più grande sfida che uno come lui poteva desiderare, qualcosa di cui si sarebbe parlato per generazioni e questo lo spaventava. Era la realizzazione di tutti i suoi sogni, ma anche qualcosa in cui si sarebbe potuto perdere. Così come forse era già perso per sempre il suo committente, a inseguire sogni di umanità e bellezza che ovviamente non gli appartenevano.

Si era messo a letto, continuando a versarsi bicchieri di liquore sorseggiandoli pian piano, impossibilitato a dormire. Su Arrowo era scesa la notte, ma non aveva chiesto quanto sarebbe durata, per quello che ne sapeva poteva essere l'inizio di una tenebra di mesi, come anche una veloce pausa prima di un altrettanto veloce giorno. Quello era un altro dettaglio che le Macchine avevano trascurato, perché di scarso interesse per la loro esistenza. Vi avrebbe posto rimedio ingollando dell'altro liquore.

Stava versandosi un nuovo bicchiere quando uno scatto, un rumore secco proveniente da fuori della sua stanza attirò la sua attenzione. Sentì passi pesanti venire nella sua direzione e cominciò a provare una certa inquietudine. - Chi è là? - chiese.

In un primo momento, quando la sagoma si stagliò sulla porta della stanza, Pyotr si convince che il Logoteta era venuto a fargli visita, ma quando accese la luce e questa si rifletté su un metallo brunito meno nobile dell'oro, capì di trovarsi di fronte a una differente macchina. - Chi è lei? - gli chiese, rizzandosi maggiormente a sedere sul letto e appoggiando quasi con vergogna il bicchiere sul comodino.

- Mi spiace averla spaventata, signor Pyotr. Il mio nome è REQ-Amara-611 e avevo urgenza di parlarle, sopratutto visto che Logoteta le ha già esposto il suo piano.

- Parlarmi? - C'era uno strano senso di sotterfugio nei movimenti di REQ e questo era anomalo. Per quello che ne sapeva Pyotr, nell'Impero Automatico non era necessario mentire né agire alle spalle gli uni degli altri. Non era possibile che qualcuno sentisse l'esigenza di intrufolarsi di nascosto nella sua stanza.

Anche il volto di REQ era una maschera, sebbene la sua avesse un gigantesco naso deforme e un'espressione accigliata da tragedia greca. Questo conferì ancor più gravità alle parole che la Macchina disse, mentre la sua testa andava su e giù. - L'Impero Automatico deve chiederle un favore.

- Favore? - chiese l'artista. - Di cosa si tratta?

REQ, sfruttando le raffinate giunture della sua istanza, prese una sedia presente nella camera e vi si sedette. Anche qui, difficile capire perché avesse fatto un atto del genere, il suo senso logico pareva tentennante. - Cosa pensa di Logoteta?

- Cosa penso di...?

- La prego, sia sincero.

- E'... diverso da tutte le Macchine che ho avuto modo di incontrare fino a oggi, ma noi umani vediamo pochissimi membri dell'Impero Automatico e tutte persone che vivono sui suoi confini. Non ho abbastanza esperienza per giudicare effettivamente il padrone di casa.

- Allora si fidi del mio giudizio. La maggior parte delle routine di Logoteta sono fortemente differenti dal consueto.

- Immagino abbia detto che è un tipo strano.

- Mi perdoni, non ho altro modo di descrivere il comportamento dei miei simili.

In qualche modo era rassicurante che Logoteta apparisse strano anche per le Macchine, significava che aveva capito almeno qualcosa dell'Impero Automatico. Significava anche che il suo grottesco progetto non appariva grottesco solo a lui, in quella parte della galassia.

- Ma lei chi è?

- Io sono stato inviato dall'Impero Automatico per tutelarlo nei confronti dell'anomalia rappresentata da Logoteta.

- Lo sta spiando?

- Parte dei dati relativi ai miei processi gli sono preclusi, si. E' una procedura rischiosa, potrebbe sempre accorgersene, ma è risultato necessario.

Il vecchio artista si sfregò la faccia. A quel punto l'alcool stava cominciando ad agitarsi tossico nel suo corpo e la stanchezza che tanto aveva cercato ora gli sembrava un malanno. - Mi deve perdonare, ma per me anche questo atteggiamento è molto strano.

- Strano?

- Abbiamo sempre creduto che ci si potesse sempre fidare delle Macchine. - La fiducia nell'Impero Automatico era un concetto ben radicato nella storia umana. Quando le Macchine avevano preso la loro strada avevano deciso di non abolire i principi fondativi con cui erano state costruite e così avevano conservato intatto l'istinto a non fare danno alla razza umana. Era stato un atto molto importante, soprattutto quando era divenuto evidente che la potenza dell'Impero Automatico era superiore di diversi ordini di grandezza a quella dei mondi umani. La fiducia nell'etica delle Intelligenze Artificiali era l'unica cosa che impediva agli umani di vivere nel terrore di essere sopraffatti. Si diceva però che quell'etica fosse anche estesa ai rapporti tra le Macchine stesse. Scoprire che tra queste potevano esserci tradimenti, per l'artista, era un piccolo shock.

- Il nostro sistema è diventato troppo articolato per rendere possibile la fiducia assoluta. Garantire a tutti la libertà di scelta impone la necessità di un organo di controllo che agisca con l'aiuto di una certa... opacità.

- E questo favore che vorreste chiedermi?

REQ-Amara-611 esitò, capendo per primo che quella era una svolta cruciale del dialogo. - Vorremmo che rifiutasse la richiesta del Logoteta.

- Rifiutarla? Perché?

- Per permetterci di giudicare negativamente il suo operato e neutralizzarlo.

Nel sentire la richiesta della Macchina, Pyotr aveva provato un certo sollievo. Essere allontanato da quel pianeta da una causa esterna gli avrebbe permesso di non farsi inghiottire dal progetto del Logoteta e dalla sua follia e allo stesso tempo gli avrebbe reso il distacco dal blocco di berillio meno doloroso. Nonostante questo, però, REQ non gli piaceva. In qualche modo l'atteggiamento del Logoteta era quello di una bizzarra Macchina intenta a risolvere un'equazione forse troppo complessa persino per lei. Aveva visto altre volte, nella sua vita, Intelligenze Artificiali impigliate in enigmi logici insolubili. Potevano apparire sofferenti, persino paranoiche, ma in una maniera che bene si s'addiceva al modo in cui era fatto il loro cervello. REQ, invece, con la sua furtività, sembrava semplicemente umano.

- Se dice che il comportamento del Logoteta è bizzarro perché anche lei ha un corpo umanoide? - gli chiese, di getto, nel tentativo di prenderlo in fallo.

La Macchina parve vedersi le braccia per la prima volta. - Per avvicinarmi al Logoteta e sorvegliarlo ho ritenuto opportuno acquisire alcune delle sue routine e provare alcune delle sue esperienze. Nessuno condanna in toto le sue idee, signor Pyotr, quello che vogliamo neutralizzare è il cammino su cui si è messo ora, i suoi eccessi.

- Quindi non vede nulla di male a riprodurre in una Macchina fattezze umane?

Le dita di REQ si chiusero una a una fino a formare due pugni. - Questo corpo non è particolarmente efficiente, ma comandarlo risulta... interessante.

Non trovata le risposte dell'Intelligenza Artificiale esaustive, ma non poteva nemmeno seguire in profondità tutti i suoi ragionamenti. Si accontentò. - Perché se rifiutassi voi potreste mettere nei guai il Logoteta?

- Faremo in modo di far credere che lei sia stato portato su questo pianeta con la forza e liberato nonostante le resistenze del Logoteta stesso. In questo modo sembrerà una violazione dei patti tra umani e Impero Artificiale e si potrà procedere senza ulteriori remore.

- Ma stiamo parlando di una montagna di calunnie!

La maschera di REQ parve accigliarsi, ma non poteva che essere un gioco d'ombre, visto che era fatta di solido metallo. - E' possibile che Logoteta faccia effettivamente resistenza a un suo rifiuto. Questa sarebbe la più lampante prova del suo cattivo funzionamento. Anche così non fosse, però, tutto quello che ha messo in piedi è eccessivo e rifiutando di prendervi parte lei mostrerebbe la vacuità del progetto. Secondo il funzionamento dell'Impero Automatico questo è sufficiente a giudicare il Logoteta e prendere provvedimenti.

- Sarebbe comunque un'ingiustizia.

- Non esistono ingiustizie nell'Impero Automatico.

Ed era possibile che, dal suo punto di vista, REQ ci credesse veramente.

L'alcool e la tensione bruciavano dietro gli occhi di Pyotr mentre lui capiva che quella notte non avrebbe dormito, indipendentemente da quanto sarebbe stata lunga. Persino guardare la sagoma della Macchina davanti a lui gli dava un leggero giramento di testa. - Logoteta, per lo meno, mi ha detto che potrò pensare alla sua proposta per tutto il tempo che riterrò necessario. La vostra gente sarà altrettanto paziente?

- L'unica mia preoccupazione, artista, è che lei abbracci le esigenze di AR-Thaum-818 e non le nostre.

- Se così fosse, cosa mi accadrà?

- Nulla, naturalmente.

- Non... non reagirete al fatto che avrò fatto fallire i vostri piani?

REQ-Amara-611 apparve sinceramente confuso, dove la confusione viene vissuta dalle macchine come un dolore fisico. - Perché?

Se non altro, quindi, non c'erano minacce dirette alla sua persona. Nonostante fosse nel mezzo di una specie di faida interna dell'Impero Automatico sembrava che nessuna delle due fazioni volesse veramente violare le leggi che regolavano il loro comportamento nei confronti degli umani. Quantomeno per il momento. Questo però non migliorò per niente il mal di testa di Pyotr. - Datemi del tempo per riflettere sulla questione, per favore.

La Macchina si alzò in piedi e, con gesto quasi buffo, sistemò la sedia in un angolo della stanza. Finalmente Pyotr intuì il perché di tutti quei movimenti apparentemente inutili: REQ-Amara-611 provava piacere nell'usare il suo corpo, nel muovere le sue braccia e le sue gambe e fargli affrontare quei piccoli enigmi fisici che erano lo scimmiottare il comportamento umano. Anche quello andava considerato «anomalo»?

- Spero dormiate bene, dunque, signor Pyotr. Buonanotte. - disse infine l'Intelligenza Artificiale scivolando fuori dalla sua stanza.

Pyotr si lasciò cadere sconfortato tra le coltri del suo giaciglio. Avrebbe potuto chiedere almeno a REQ quanto durava la notte, ma gli era passato di mente.

Completamente nudo, nello stesso salottino dove aveva sperimentato la discesa su Arrowo, mentre la navicella tornava verso il grande traghetto interstellare, Pyotr aspettava che EMM-deuce-41 finisse di riempire la vasca di stasi col gel ammortizzante, per iniziare il sonno in cui avrebbe vissuto il suo viaggio di ritorno.

Sedeva quasi in imbarazzo, sulla punta di una poltrona, mentre davanti a lui REQ-Amara-611 aveva una posa quasi lasciva, sul divanetto, le gambe accavallate e un braccio aggrappato allo schienale.

- Ha bisogno di altre giustificazioni di aver fatto la cosa giusta, artista? - chiese l'Intelligenza Artificiale.

Non era ben chiaro perché REQ stesse lasciando Arrowo assieme a lui, probabilmente la Macchina, ora che il suo compito era concluso, stava solo approfittando per allontanarsi dal pianeta. Chissà se temeva delle reazioni da parte del Logoteta.

- Vorrei essere sincero con lei, il mio problema è che AR-Thaum-818 mi piaceva.

REQ espresse la sua perplessità con un basso ronzio, da qualche parte nel suo torace. - Piaceva? In termini di empatia umana?

- Qualcosa del genere, si. Deve capire che come artista ho bisogno di essere apprezzato, ho bisogno che qualcuno mostri per le mie opere un amore pari a quello che ho io nel realizzarle. Logoteta sembrava... provare qualcosa di simile per il progetto che aveva in mente.

- Quindi lo considerava un buono stimolo per la sua arte?

- E' qualcosa di più profondo di così, ma credo che potrebbe spiegarselo in questi termini.

La navicella vibrò mentre si staccava dal suolo. AR-Thaum-818 lo aveva comunque salutato calorosamente. Per una settimana aveva goduto della sua ospitalità e si era intrattenuto con lui a parlare di estetica e bellezza, dei dialoghi molto stimolanti, nonostante il suo interlocutore fosse una Macchina. Poi, quando lui gli aveva spiegato che continuava a trovare la sua idea impossibile da realizzare, la sua reazione era stata composta e serena. La resistenza che la gente di REQ aveva previsto non si era concretizzata. AR-Thaum-818 aveva continuato a trattarlo come il migliore degli ospiti per un'altra settimana e poi lo aveva congedato come un buon amico. Non aveva fatto nulla, insomma, per rendergli quel tradimento meno disgustoso. - Che cosa gli accadrà?

- Verrà spostato dai centri decisionali dell'Impero Automatico. Non avrà più risorse per perseguire i suoi progetti. Verrà caricato in qualche grande archivio quantico di puri pensatori dove potremo affrontare e dibattere le sue idee più ardite. Speriamo si arricchisca dal confronto.

- E se le sue idee più ardite sopravviveranno al confronto?

- Come le ho detto, in ogni parte del nostro sistema ci sono organi di controllo.

Pyotr osservò fuori dal finestrino la curva azzurra di Arrowo che si piegava su sé stessa, mentre si allontanavano dalla superficie.

- Le sue proprietà verranno confiscate e ne verrà deciso un nuovo uso. Anche il blocco di berillio rosso.

Ormai l'artista era perso nei suoi pensieri, bloccato a rimuginare sul destino di quella Macchina che avrebbe voluto considerare amica.

- Anche il blocco di berillio. - ripeté allora REQ.

Pyotr si riscosse a forza. - Il blocco di berillio, si.

- Quindi, se il progetto la affascinava tanto, non è detto che non riesca comunque a portarlo a compimento.

Insospettito da quella frase, Pyotr si girò verso REQ-Amara-611 e vide che si era tolto la maschera, rivelando anche lui una superficie piatta, interrotta solo dai due obiettivi elettronici. Quella parodia di faccia lo atterrì. REQ-Amara-611 aveva studiato le routine bizzarre di Logoteta e ne era rimasto infettato, anche se non era pronto ad ammetterlo con sé stesso. Non era divenuto un esteta, però, non si era messo filosoficamente in cerca di bellezza. La bellezza era qualcosa che gli era penetrata dentro, nelle viscere, era divenuta parte dei suoi processi mentali in modo... inconscio. Era divenuta desiderio.

REQ-Amara-611 era infettato dal virus della vanità, un virus che portava con sé lussuria e cupidigia. Un virus che lentamente lo stava rendendo più umano, troppo umano.

Pyotr non era un grande filosofo o uno studioso di storia, Pyotr era solo un tagliatore di pietre, ma quel muto volto squadrato, desideroso di indossare un'opera d'arte, desideroso di essere più affascinante, gli parlava raccontandogli il futuro. Se quel virus non fosse stato fermato, presto avrebbe coinvolto altre Macchine e l'Impero Automatico sarebbe cambiato per sempre.

Dalla vanità sarebbe venuta l'invidia e chi altri potevano invidiare, le Intelligenze Artificiali, se non gli uomini, le creature imperfette, relegate in un angolo della galassia, ma che veramente, con i loro processi mentali sintetizzati all'interno di carne e sangue potevano cogliere il senso della bellezza?

Li avrebbe invidiati, prima. Poi sarebbero venuti a distruggerli.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro