Capitolo 4 - Alla ricerca del miliardario

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Ayla

È una settimana che cerco di contattare Colton Gallagher, ma niente.

La sua segretaria mi ha già risposto che non è interessato alla mia proposta.

Beh, certo, perché, ovviamente, prima di accettare qualsiasi incontro lui deve sapere in anticipo di che si tratta e quindi io sono stata costretta a spifferare alla segretaria dell'intervista sul club.

Quell'uomo è irraggiungibile e pare essere il classico tipo che quando dice no è no.

Ma non aveva mai incontrato la sottoscritta, prima. Ayla Street non si arrende, Ayla Street le tenta tutte prima di ammettere di aver fallito.

Ecco perché ho fatto una cosa folle. Ho chiamato il mio collega Lou e gli ho chiesto di piazzarsi per l'intera giornata sotto la sua azienda più importante, la Gallagher, quella che porta il suo nome, produce petrolio e finanzia un sacco di progetti no profit.

Sono le sette di sera ma non ho ancora notizie. Colton non è né entrato né uscito da quell'ufficio.

Lou non mi ha chiamata e io sento di stare a tanto così dall'arrendermi.

Ma quando il mio cellulare squilla e leggo il nome di Lou, un barlume di piccolissima speranza si accende in me.

«Dimmi che l'hai trovato!»

«È appena entrato in azienda, fa presto, potrebbe essere qui solo per recuperare dei documenti, per quanto ne sappiamo.»

«Grazie, grazie, grazie, Lou. Ti devo un favore!»

«Anche due, bionda. In bocca al lupo» dice, ironico.

«Viva il lupo, Lou!»

Attacco la chiamata e fuggo da casa mia neanche stessi scappando da un rapitore.

È la mia unica occasione per parlare con lui, convincerlo almeno ad ascoltarmi.

È la mia unica occasione per non deludere Dina e non me la farò scappare.

***

Di sotto, mi annuncio alla security e invento di avere appuntamento con Gallagher, anche se non è vero.

Mi perquisiscono e poi mi lasciano passare.

Prendo l'ascensore che mi porta al decimo piano e quando esco da lì, mi sorprendo di tanta magnificenza.

Un corridoio lunghissimo mi indica che sto per varcare il regno dell'uomo più ricco della città, Colton Gallagher.

Le pareti sono di un colore tenue, tra il beige e il giallino, e la fascia che ricopre la parte alta del muro è particolarissima, blu e oro, così oro da chiedermi se non sia stata creata con la polvere di quel metallo prezioso.

Sistemo la borsetta sotto la spalla e cammino piano sui miei tacchi alti.

Mi sono messa in tiro perché... dio, forse sto davvero perdendo il lume della ragione, ma devo seguire le indicazioni di Dina e sfruttare tutte le mie carte.

Ho indosso un tubino marrone che ha due spacchetti sui lati e delle scarpe beige.

I capelli ho preferito lasciarli sciolti e spero che le mie forme colpiscano Colton quel tanto che basti a farlo accettare.

Tutto questo non è da me, ma non ho mai fallito sul lavoro e non intendo farlo adesso.

Arrivo nella grande sala d'aspetto dove una segretaria con i capelli ricci e neri sta leggendo una rivista di moda.

«Salve» mi annuncio. La donna toglie gli occhiali che stava usando per leggere e mi squadra.

«Lei è?» mi domanda, con tono scontroso.

«Dovei parlare col signor Gallagher» dico con fierezza, evitando volutamente di dire il mio nome.

So che Colton frequenta questa azienda più delle altre quindi è con questa donna che ho parlato tutte le volte, tartassandola di telefonate.

«Non mi risulta nessun appuntamento. L'unico che il signor Gallagher aveva questa giornata è dentro, per cui...»

«È una cosa molto importante. Ruberò al signor Gallagher soltanto pochi minuti» assicuro.

«Il signor Gallagher riceve soltanto previo appuntamento quindi non la riceverà. E comunque non mi ha detto ancora il suo nome» ribatte, con tono rimproverante.

Mi lecco le labbra ormai secche e alla fine confesso.

«Sono Ayla Street, la giornalista.»

Guardo verso la mia destra. C'è un piccolo corridoio al termine del quale c'è un'enorme porta con accanto una targa dove troneggia il suo nome.

Sono a un passo dal suo ufficio, a un passo da lui.

«Signorina Street, mi sembrava di essere stata molto chiara durante le sue innumerevoli telefonate. La smetta di importunare me e il signor Gallagher o la farò denunciare!» starnazza come un'oca.

«Non posso, signorina, mi dispiace. Non sono una abituata a mollare, perciò... mi perdoni.»

Scappo via, correndo sui tacchi in direzione della porta.

Sento la voce urlante della segretaria che mi intima di fermarmi, ma ormai è troppo tardi.

Sto facendo la cazzata più grossa della mia vita, lo so, me ne pentirò amaramente.

Apro la porta del suo ufficio senza nemmeno annunciarmi e mi fiondo dentro come se dietro di me ci fosse il diavolo a rincorrermi.

Due occhi azzurro ghiaccio si fondono col mio verde, incantandomi, incatenandomi.

La segretaria mi raggiunge e, col fiatone, prova a scusarsi col suo capo.

«Signor Gallagher, sono desolata, non ho fatto in tempo a fer...»

«Shh, shh, shh, shh, shh» ripete lui, cinque volte.

Socchiude gli occhi e poi torna a fissarmi.

Mi accorgo solo in quel momento che un uomo anziano è seduto di fronte a lui e osserva sia me che la segretaria con aria divertita.

«Signor Gallagher, so di essere stata...» sparo, veloce come un razzo, pronta a scusarmi, ma lui interrompe di nuovo.

«Shh, shh, shh, shh, shh.» Lo dice con gli occhi chiusi, mentre tiene le mani giunte sulla scrivania come se stesse pregando.

Sospiro, sperando che non mi cacci fuori di lì a calci.

Colton riapre gli occhi. Fissa me, poi la sua segretaria.

«Puoi andare, Amanda.»

«È arrabbiato con me, signore?» chiede, mansueta come un cagnolino.

«No, Amanda, sta tranquilla. Ora va'!» ordina e lei ubbidisce subito, lasciandomi sola con lui e il vecchietto che continua a sorridere.

Colton fissa di nuovo me, quei suoi occhi sono magnetici eppure così impossibili da decifrare.

Sembra arrabbiato, ma non è solo questo. C'è altro, c'è molto altro.

Si alza e poi si rivolge al signore seduto di fronte a lui.

«Nestor, caro, possiamo ricontrarci domani? Giuro che mi farò perdonare» dice, congedando l'anziano signore.

«Nessun problema, Colton. Buona serata.»

Il signore si gira, ancora con quel sorrisetto stampato sulla bocca.

I nostri occhi si incontrano e mi fa un occhiolino divertito che mi lascia completamente esterrefatta.

Quando la porta si richiude dietro di me, mi volto per un istante e poi torno a guardare l'uomo che dovrò convincere ma che, dal mondo in cui mi guarda, sembra voglia gettarmi in pasto ai coccodrilli.

«Il suo nome.»

Non lo chiede. Non è una domanda, è un ordine, e la cosa, stranamente, mi fa eccitare. Sento il mio corpo vibrare e devo fare capo a tutta la mia forza per non barcollare sui miei tacchi dodici.

Perché mi fa eccitare?

È la sua voce? Il modo in cui lo dice? I suoi occhi? Oppure il suo aspetto così dannatamente attraente?

«Io...» balbetto. Cazzo, non è da me! Datti una calmata, Ayla! Mi ammonisco mentalmente

«Mi chiamo Ayla Street e sono una giornalista.»

Colton sorride di poco e... merda, quanto diventa bello quando sorride.

Torna a fissarmi e poi mi fa cenno, indicando la sedia.

«Posso sedermi?» chiedo, spaventata come un piccolo pulcino. Ma che mi sta succedendo? Possibile che quest'uomo abbia su di me questo potere?

«Deve» ordina, di nuovo.

Lo faccio e, d'istinto, mi porto i capelli dietro la schiena. Sento un caldo bestiale, qui dentro!

Anche lui si siede e inizia a guardarmi, insistentemente.

Mi fissa, mi studia, ma non proferisce parola.

Picchietta le dita della mano sinistra sul tavolo e, infine, esala:

«Sono sorpreso da tanta tenacia.»

Mi mordo le labbra e abbasso per un secondo lo sguardo.

«Amanda mi aveva già informato delle sue innumerevoli telefonate. Cosa della frase "il signor Gallagher non è interessato" non le è chiara?» domanda.

Mi schiarisco la voce e, con calma, inizio a parlare.

«Signore, credevo avremmo potuto discuterne da vicino. Le assicuro che l'articolo che le abbiamo proposto non è volto a ledere la sua immagine, anzi...»

Alza una mano, come per dire di zittirmi, ma io non lo faccio, vado avanti.

Va bene tutto, sexy miliardario, ma io non sono la tua scimmietta ammaestrata!

«Inoltre prima di pubblicarlo, noi le faremmo...»

«Shhh, shhh, shhh, shhh, shhh. Silenzio, signorina Street.»

Mi zittisco, deglutendo forte. Non posso ribattere, sono in torto marcio.

Sono piombata qui senza preavviso, interrompendo il suo incontro di lavoro, è già tanto se non mi caccia a calci nel sedere.

«Chiedo scusa, non volevo...»

«Non fa mai quello che le si dice, vero, signorina Street?»

I suoi occhi azzurrissimi sembra possano esplodere da un momento all'altro. Sono un fuoco vibrante di mille sensazioni che non riesco a decifrare.

«Volevo solo che mi lasciasse chiederle scusa.»

«Davvero? E per cosa? Per non aver accettato i miei ripetuti no, presentandosi qui lo stesso, oppure per l'entrata trionfante che ha fatto?» chiede, e noto spuntare di nuovo quel flebile sorriso.

«Per entrambe le cose. So che il mio atteggiamento non è un ottimo biglietto da visita, ma le assicuro che saprò farmi perdonare» mi scappa e mi mordo il labbro.

Colton sorride ancora, puntando gli occhi sulla sua scrivania. Poi li rincastra nei miei, uccidendomi per l'intensità di quello sguardo che sembra famelico, arrabbiato, furioso, interessato, divertito e chissà quante altre cose che nasconde e che io non sono capace di decifrare.

«Attenta a quel che dice, signorina Street, potrei prenderla in parola.»

Mi schiarisco la voce e parlo ancora, ribattendo subito per non mostrarmi debole come, forse, sono apparsa fino ad adesso.

«Quello che intendevo è che le dimostrerò che non sono la persona maleducata che si è precipitata qui senza nemmeno bussare alla sua porta.

Le chiedo solo qualche minuto del suo tempo per spiegarle le mie idee sull'articolo che avevo in mente e...»

Gesticolando e muovendo il capo, gli occhi vengono calamitati da un'enorme libreria sulla quale troneggiano diversi volumi.

Freud, Tolstoj, Dostoevskij, Hemingway, Marquez, Nabokov, Hugo, Joyce, Proust.

Mi alzo, d'istinto. Quest'uomo sembra molto colto.

Senza dire una parola, mi avvicino alla libreria e afferro Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Poust.

«L'ha davvero letto?» chiedo, rigirandomi l'immenso volume tra le mani.

«Certo» risponde lui, senza muoversi dalla sua postazione.

«La maggior parte della gente che inizia questo libro dice che è noioso e non arriva nemmeno alla metà delle pagine.»

«Ma io non sono "la maggior parte", signorina Street» replica, calmo, sereno. Almeno apparentemente.

Rimetto a posto il volume e ne noto un altro, molto più piccolo. Il titolo mi inquieta.

Lo afferro con la mia esile mano e leggo ad alta voce

«Il dio selvaggio. Suicidio e letteratura.» Lo guardo per un istante e poi lo rimetto a posto. «Interessante» aggiungo. «Scommetto che quello che racconta ai giornalisti è solo una minima parte di quello che è lei, signor Gallagher. Ecco perché tiene così nascosto il suo club. Teme che qualcuno possa scoprire chi è davvero Colton Gallagher. Fino in fondo» lo sfido, ma lui non batte ciglio.

«Torni a sedersi, signorina Street» dice, indicando di nuovo la sedia vuota.

Ritorno al mio posto e faccio per riprendere, ma la sua mano si alza come per dirmi che stavolta è il suo turno.

«Non mi piacciono le persone invadenti, Ayla, e lei sta valicando ogni possibile limite. Non sono interessato all'intervista e questa è la mia ultima parola.»

«Ma perché? Di cosa ha paura?» chiedo e lui scoppia a ridere.

Subito dopo però, diventa serissimo e mi fissa con un'aria spaventosa, minacciosa.

«Non ho paura di niente, signorina Street. Potrebbe venire la fine del mondo, adesso, in questo istante, non emetterei verso.

Non mi chieda di cosa ho paura, signorina Street, perché potrei diventare molto cattivo e scoprire, invece, cos'è per lei la paura.»

Rabbrividisco, ma cerco di non darlo a vedere.

Prendo un bel respiro. Devo continuare e mostrargli tutta la mia tenacia.

«Non sono abituata a perdere, signor Gallagher. Non mollo mai. Mai! E se crede di farmi timore, beh... si sbaglia di grosso» mento. «Voglio solo un'occasione per spiegarle bene di che si tratta, dopodiché, se non vorrà, potrà mettermi alla porta.»

Aspetto una risposta, una reazione, ma non arriva.

Dopo secondi interminabili di silenzio, pericolosi e oscuri, dice:

«Come inizia il testo di Proust?» mi chiede.

«Come?» domando. Cos'è, una specie di gioco?

«Prima accennava al fatto che molte persone che hanno iniziato a leggere Alla ricerca del tempo perduto si sono arrese ancor prima di arrivare a metà volume.

Devo dedurre che se lei è una che non molla mai l'ha, invece, letto tutto.»

Mi sta sfidando, ah, che gran bastardo!

«Molti anni fa» dico.

«Bene. Faccia allora appello alla sua memoria e mi narri l'incipit del testo.

Ho la serata libera, quindi non ho fretta.»

Si mette più comodo sulla sua sedia girevole e mi fissa, divertito.

«È una specie di prova? Se glielo dico ascolterà la mia proposta nei dettagli e se non lo faccio mi manderà via?»

«Può darsi. Ma se vuole ottenere quell'articolo deve rischiare, no?» mi sfida ancora.

«D'accordo, uff...»
Sbuffo leggermente e socchiudo gli occhi.

Ricorda, Ayla. Ricorda.

Mi sforzo, cerco di ricordare la lezione del professor Emerson, i passi che ci leggeva.

Passano secondi interminabili, finché, per fortuna, delle parole non mi saltano alla mente.

«A lungo mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela...»

«gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: "Mi addormento"» finisce per me e io riapro gli occhi.

Mi sta fissando, sembra diverso.

«Complimenti, Ayla, un'ottima memoria.»

«Ora potrò esporle il mio progetto?»

«Se proprio ci tiene. Ma non vuol dire che accetterò» mi ricorda e io annuisco.

«Bene. Ehm... quello che avevo in mente era qualcosa di nuovo, di mai venuto fuori prima.

Racconterà solo i lati che desidera raccontare del suo club, nulla di più.»

«Forse le sfugge un piccolo particolare, signorina Street, io non voglio raccontare nulla del mio Club» specifica, ricordandomi questa grossa verità che io fingo di ignorare.

«Non ha voluto farlo finora. Ma le persone cambiano, signor Gallagher, si evolvono. Non crede sia ora di dare alla gente quello che vuole?» domando.

«E che cosa sarebbe esattamente?» chiede, allungandosi sulla scrivania per avvicinarsi di più a me.

«Gossip, puro e semplice. Parlando per la prima volta dell'esistenza del club ha alimentato una morbosa curiosità nei suoi confronti. Ora la gente vuole delle risposte e vista la sua posizione, gliele deve.

Non mi interessano i particolari scabrosi, qualora ci fossero. Presenteremo un articolo pulito che non rovinerà la sua immagine, scriverò solo quello che lei mi imporrà di scrivere.»

Colton sorride, si sposta un ciuffo di capelli dal viso ed esala:

«Imporrà. Adoro questa parola.»

Lo osservo ancora, più attentamente. Ha un viso perfetto, non un accenno di minimo difetto. I capelli sono scuri, corti sul retro e con un ciuffo non troppo lungo sul davanti.

I suoi occhi azzurri sembrano cambiare punto di colore a seconda della luce.

E la carica sessuale che emana... mio Dio, è qualcosa di indescrivibile.

È bello, colto, sottilmente ironico, schifosamente ricco e fisicamente ben piazzato.

Riuscirò a trovare un difetto a quest'uomo entro la fine della serata?

«Quello che le chiedo è solo un'occasione. Se cambierà idea potremmo interrompere la collaborazione in qualsiasi momento.

Il mio giornale ha bisogno di questo articolo per lanciarsi, non mi nasconderò dietro un dito.

Noi abbiamo bisogno del suo aiuto, signor Gallagher, ma sono sicura che se accetterà, la cosa si rivelerà vantaggiosa anche per lei.»

Colton sospira, chiude gli occhi e si massaggia le tempie, delicatamente.

Poi alza lo sguardo su di me e si alza, come per congedarmi.

«Apprezzo la sua sincerità, Ayla, davvero. Facciamo così... ci penserò» dice, allungando una mano verso di me.

Mi alzo a mia volta, con aria sconfitta.

«Il che significa no.» Non la prendo, sono arrabbiata.

Colton mi fulmina con lo sguardo, abbassa la mano, e poi mi ammonisce attraverso le parole.

«Il che significa esattamente ciò che ho detto. Nessuno si è mai permesso di darmi del bugiardo e non lo permetterò di certo a lei, signorina Street.»

«Le chiedo scusa. Non volevo offenderla.»

Lui sorride di poco, scuote la testa e poi mi fissa ancora.

«Ayla, Ayla, come devo fare con lei? Sa, se ci fossimo incontrati in un'altra circostanza avrei trovato io il modo di farla rigare dritta. Ma, a quanto pare, non avrò il piacere di piegarla...»

Sposta un po' il viso, come a cercare di guardare il mio sedere.

«Alla mia volontà» aggiunge.

Sospiro, mentre un brivido mi percorre tutta.

L'allusione è chiara eppure non mi sconvolge. Perché non mi sconvolge?

Merda! L'unica cosa a cui riesco a pensare adesso è quanto vorrei che quest'uomo mi gettasse sulla sua scrivania e mi scopasse senza pietà, zittendomi col suo fare arrogante e signorile insieme.

«Allora attendo una sua telefonata» dico, e stavolta sono io ad allungare la mano verso di lui.

«La farò chiamare dalla mia segretaria. Arrivederci, Ayla.»

Afferra la mia mano ed è come se fossi appena stata travolte dalle fiamme dell'inferno.

Quello che sento dentro è qualcosa di inspiegabile, qualcosa che va al di là della ragione, al di là dei sensi, al di là di ogni cosa spiegabile dal genere umano.

Dopo averlo cercato così a lungo, ho finalmente trovato questo miliardario.

Ma la cosa più assurda è che, a prescindere da quello stupido articolo, non vorrei mai lasciarlo andare.


Attendo come sempre le vostre impressioni nei commenti!
Al prossimo capitolo, ragazze!

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