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Camminavo per i corridoi tesa e in silenzio. Ogni passo che mi obbligavo a compiere era una consapevolezza di morte che non potevo evitare in alcun modo. La marea di pericolo mi stava trascinando a largo e io non avevo la forza e la capacità per nuotare verso la salvezza che si trovava a riva.

Eravamo appena saliti al piano di sopra e ci stavamo dirigendo a grandi passi verso la mia stanza. Dante si comportava come una persona normale, ma io sapevo che era solo questione di tempo. Sperai che stesse aspettando un momento in cui il ragazzino non ci fosse, perché era l'unico che aveva mostrato simpatia nei miei confronti e non volevo che ci andasse di mezzo in qualche modo. Sentivo dentro di me che, se il ragazzo di ghiaccio avesse provato ad attaccarmi, il piccolo Gabriel mi avrebbe difesa, rischiando di farsi male a sua volta. Per quanto ne sapevo, Dante era imprevedibile, magari non avrebbe avuto pietà nemmeno di un bambino.

Arrivammo davanti alla stanza troppo presto, le gambe iniziarono a tremarmi e le mani a sudarmi. Sentivo di non avere più scampo ormai, ero intrappolata tra il corridoio e la porta.

«Riposati, sembri stanca. Stai tranquilla, nessuno sa che sei qui. Noi ci vedremo dopo, ok?» Gabriel tentò di rassicurarmi vedendo la mia espressione, ma sembrava non essersi accorto di cosa mi preoccupava realmente. Possibile che non lo capisse?

Anche Dante non pareva fare caso al timore che avevo di lui. Stava in silenzio con un'espressione seria sul volto e continuava a studiarmi come fossi un alieno. Per tutta la mattina non aveva fatto altro che fissarmi, forse per conoscere meglio la sua preda.

«Ok» risposi senza pensarci. Sicuramente non ci saremmo rivisti più.

«D'accordo, andiamo» disse Gabriel.

Dante mi rivolse un sorriso agghiacciante che mi gelò sul posto, impedendomi di muovermi o respirare, un'espressione accattivante che non aveva nulla di amichevole. Subito dopo si girò e si incamminò dietro al ragazzino come se niente fosse, procedendo tranquillamente con le mani infilate nelle tasche dei jeans. Se ne stava andando veramente?

Quando lo persi di vista, mi permisi finalmente un profondo respiro e rientrai nella stanza, chiudendomi immediatamente la porta alle spalle. Ancora non era arrivato il mio momento.

Ero viva! Ero ancora viva! Il che era una buona cosa. Quel pensiero mi fece rendere conto che non volevo morire, anche se avevo perso tutto, anche se mi avevano portato via tutto. Avevo ancora qualche speranza. Darrell rimaneva sempre un punto interrogativo, ma, nonostante tutto, mi mancava anche lui. Chissà quando sarebbe tornato. Forse prima di andarmene avrei dovuto sentire cosa aveva da dire riguardo tutta la storia. Avrei aspettato il suo ritorno e nel frattempo avrei cercato una via d'uscita. Inoltre, avevo così tante domande che mi giravano per la testa e, malgrado la paura di quel posto, volevo delle risposte. Chi erano? Che cosa volevano da me? Perché non potevano semplicemente mandarmi via? Perché esisteva una mini-società come quella e nessuno ne era al corrente? Queste e altre domande mi tormentavano, la mia curiosità aumentava sempre di più. Avrei dovuto trovare il coraggio di dar voce a quei quesiti. Sempre se non sarei stata attaccata quel giorno. Passai tutto il pomeriggio in ansia, ma di Dante non si vide nemmeno l'ombra. Verso l'ora di cena Ace bussò alla mia porta, scusandosi per non essere passato prima.

«Gli impegni mi sovrastano» disse comunque allegro. Essendo il capo di quel posto doveva avere davvero tanto da fare.

Quella sera al nostro tavolo si aggiunse un'altra persona: era il ragazzo con la camicia e gli occhiali del giorno prima. Non sembrava odiarmi come tutti, però si teneva abbastanza lontano da me.

«Lui è Elijah, il responsabile della biblioteca e mio secondo.»

Me lo ricordai all'istante, aveva cercato di difendermi la sera prima, ma comunque aveva acconsentito alla mia uccisione anche lui. Non riuscii a dire nulla, perciò mi sedetti e nascosi il viso nell'insalata di mare. Non mi era mai piaciuto particolarmente il pesce, perciò mi preparai a fare digiuno anche questa sera.

«Se continui così morirai di fame» osservò Gabriel, che si ingozzava come al solito. «Se non ti piace l'insalata la mangio io, però tu assaggia questa! L'ha fatta Amber, è una cuoca eccezionale.»

Mi mise sotto il naso una bistecca alta almeno quattro centimetri, accompagnata da un'insalatina leggera. Non sapevo nemmeno da dove l'avesse tirata fuori, ma sembrava deliziosa e mi suscitò immediatamente un languorino. Non avendo mangiato molto quel giorno, avevo una gran fame, così mi abbuffai, scatenando una risata da parte di Gabriel. Risi anche io, tornando immediatamente seria quando notai che Dante continuava a fissarmi. Questa volta, vedendo il mio disappunto, si girò dall'altra parte e fece finta di niente.

«Che ne dite di una partita?» propose Gabriel dopo cena. Non sapevo a cosa volesse giocare, però gli altri sembrarono capirlo perché gli risposero.

«Mi dispiace, ma oggi ho da fare. E poi devo trovare ancora una sistemazione migliore alla nostra nuova ospite» disse Ace. Non mi sfuggì il fatto che aveva usato il termine "ospite" e non "prigioniera".

«Oh» disse Gabriel triste, cercando di non darlo a vedere, forse per non farmi sentire in colpa.

«Ho sentito che Amanda, Alex e gli altri ci sarebbero andati. Puoi unirti a loro» gli propose Ace.

«Non lo so...» mormorò titubante guardando me. Forse non voleva lasciarmi sola.

«Non preoccuparti, ci pensiamo noi a lei» esordì Dante. Pareva più una minaccia che altro, ma Gabriel non sembrò capirlo.

«Ok! Ci vediamo domani» esclamò sorridendo. Cercai di sorridere a mia volta, obbligandomi a confidare nella presenza di Ace al mio fianco.

Dopo un po' andammo via anche noi, diretti alla mia camera. I miei tre accompagnatori – Elijah era venuto con noi – discutevano su dove potevano mettermi, nemmeno fossi un oggetto. Non stavo male in quella stanza lontana dalle altre, ma forse una camera con la finestra avrebbe potuto aiutarmi a scappare, sempre dopo aver parlato con Darrell.

Nel frattempo, io continuavo con i miei piani di fuga. Non mi avevano detto dove si trovava l'uscita, perciò il prossimo obbiettivo era trovarla. Mi venne in mente di farmelo dire da Gabriel, magari chiedendoglielo in modo indiretto, ma dopo pensai che non ce l'avrei mai fatta a usare il ragazzino per uscire di lì. Sapevo che era necessario, ma non potevo metterlo nei guai dopo tutto ciò che aveva fatto per me.

Alla fine Ace decise che presto mi avrebbero probabilmente trasferita in una stanza vicino Elijah, in modo che avrebbe potuto sorvegliarmi. Era necessario perché, anche se tutti rispettavano quello che diceva il capo, la regola di non uccidermi avrebbe potuto essere ignorata se si fossero ribellati tutti insieme o se qualcuno lo avesse fatto di nascosto. E, a quel punto, sarebbe servito qualcuno che mi proteggesse. Ace sembrava fidarsi di Elijah, che era davvero pentito per non avermi salvato da Dante il giorno precedente, a me però non sembrava proprio un combattente nato. Il suo fisico magrolino rendeva la sua apparenza quasi fragile, e non ce lo vedevo proprio a combattere per la mia vita. Comunque non sembrava pericoloso o ostile nei miei confronti, e questo mi bastava. Una persona che mi odiava in meno era pur sempre una persona in meno dalla quale dover guardarmi le spalle.

Quella sera qualcuno fece la guardia fuori dalla mia camera. Non sapevo chi fosse, ma sentivo delle voci indistinte che parlavano sussurrando. Non mi interessava sapere cosa dicevano, mi sentivo vuota, sola e dimenticata.

Mi addormentai tardi. Non riuscivo a smettere di pensare a mia madre, ai miei amici e a Valeria. Come avevano reagito al fatto che ero sparita? Non volevo che i miei amici e mia madre si preoccupassero per me. Volevo tornare a casa. Mi mancava come mai prima.

Qualcuno mi chiamò, dandomi il buongiorno. Era già mattina? Credevo di essermi addormentata solamente qualche secondo prima. Mi alzai dal letto stropicciandomi gli occhi che non ne volevano sapere di aprirsi. Sicuramente erano ornati da due brutte occhiaie dovute al poco sonno.

«Buongiorno» farfugliai rivolta a Gabriel, legandomi i capelli scompigliati in una treccia.

«Oggi facciamo colazione da soli perché Ace non c'è, però dopo devo andare a scuola» disse con aria rassegnata.

Fui comunque felice di stare con lui. Era sempre gioioso e pensava a farmi star bene. Sembrava il fratellino che non avevo mai avuto. Durante la strada per arrivare al bar provai più volte a chiedergli dell'ubicazione dell'uscita, ma alla fine non ce la feci. Mi sarei fatta venire in mente un'altra idea.

Era molto presto e la caffetteria era semi vuota. La gente che stava dentro si appartò nell'angolo più lontano dal nostro tavolo, cercando di ignorarci. Avevo avuto paura che senza di Ace qualcuno ci avrebbe aggrediti, ma fortunatamente non accadde. Ci riempimmo la pancia di cornettini al cioccolato e dopo Gabriel mi chiese di accompagnarlo a scuola. Mentre andavamo, incontrammo Elijah.

«Eccovi, finalmente! Ace mi ha detto di trovare qualcosa da farti fare» mi informò. «Perciò oggi starai in biblioteca con me.»

Annuii senza sapere se esserne rasserenata o no. In camera mia avrei incontrato di sicuro meno gente, ma con Elijah avrei avuto almeno un minimo di protezione.

Salutai Gabriel a malincuore e seguii il biondo nell'ascensore, e poi attraverso i corridoi che portavano alla loro maestosa raccolta di libri. Erano volumi che non conoscevo, antichi e nuovi, che Elijah non mi permise di aprire. Alcuni avevano titoli strani, composti da parole sconosciute. Solo un piccolo angolo dimenticato da tutti conteneva una modesta raccolta di libri che conoscevo, tra cui presidiavano alcuni dei miei classici preferiti.

Il lavoro in biblioteca si rivelò faticoso e arduo, il che fu un bene. Muovermi mi teneva impegnata e non mi faceva pensare a casa e a Darrell, quindi portai a termine il mio compito ben volentieri. Sistemammo i libri nelle sezioni dalla A alla D, cosa che ci prese tutta la mattinata, e rimandammo le sezioni rimanenti a quel pomeriggio e ai due giorni successivi.

All'ora di pranzo ci dirigemmo verso la scuola per incontrare Gabriel, che si unì a noi con euforia. Fortunatamente, di Dante quel giorno non si era vista nemmeno l'ombra.

Pranzammo con i tavolini intorno al nostro completamente vuoti, nonostante la stanza fosse molto affollata. Cercai di sbrigarmi. Volevo andarmene perché la situazione mi imbarazzava. Avevo sempre odiato essere notata e ora ero al centro dell'attenzione, sulla bocca e sugli occhi di tutti.

Il pomeriggio portai avanti il lavoro con Elijah e la sera andai a dormire presto. Per tre giorni di seguito ripetei la stessa identica cosa, incontrando il ragazzo di ghiaccio e Ace solo di sfuggita. Tutti quanti evasero le mie domande e le mie lamentele come se non esistessi, persino Gabriel si agitava quando iniziai a ripetere che dovevo tornare a casa e che mia madre era in pensiero.

Il quarto giorno avevamo finito di mettere a posto la biblioteca, quindi la mattinata si rivelò noiosa e piena di pensieri che non aspettavano altro per affollarmi la mente. Avevo intenzione di risolvere i miei dubbi quello stesso pomeriggio.

«Ho bisogno di parlare con Ace» dissi determinata a Elijah. Non era la prima volta che gli rivolgevo la parola. In quei giorni avevamo avuto l'occasione di scambiarci qualche frase dato che la biblioteca era diventata deserta dopo che in giro si era saputo che ci stavo io. Avevo iniziato capire che tipo era: molto riservato con chi non conosceva bene, ma ideava battute simpatiche e mi faceva sorridere spesso, nonostante la situazione. Dietro gli occhi chiari, celava un'intelligenza invidiabile.

«Lo so» rispose semplicemente. Non era difficile intuire che avevo molte domande da fare. «Glielo dirò.»

Dopo pranzo mi rifugiai in camera mia e rimasi sola finché non sentii bussare alla porta, che si aprì subito dopo. Apparve Ace seguito da Dante. Cosa ci faceva con lui? Non avevo intenzione di fare le mie domande con quel ragazzo che mi metteva ansia.

Ace mi salutò cordialmente, mentre Dante mi rivolse una breve occhiata di superiorità. Chiusero la porta e presero delle sedie dall'angolo della stanza, posizionandosi vicino il mio letto.

«Allora, so che vuoi delle risposte, cara. Abbiamo qualcosa in comune. Anche noi vorremmo farti qualche domanda, se per te va bene.»

Cosa volevano da me? Perché c'era Dante? Diffidente dalla piega che gli eventi avevano preso, non risposi, e il ragazzo sembrò spazientirsi, poiché lo sentii sbuffare.

«Dante, forse è meglio se...» iniziò Ace, ma venne interrotto.

«No. Ascolta, ragazzina. A te servono delle risposte, a noi pure. Mi sembra uno scambio equo, no?»

Rimasi in silenzio a osservarlo con gli occhi sbarrati, pensando che non dire nulla fosse la mossa migliore, ma mi sbagliavo.

«No?» ripeté a voce più alta, vedendo che non rispondevo. Annuii spaventata. Avrei detto loro quello che volevano, non avevo niente da nascondere.

«Bene» rispose soddisfatto.

I due si scambiarono uno sguardo, come per stabilire chi avrebbe dovuto parlare. Poi Ace mi chiese: «Ti è mai successo qualcosa di strano? Qualcosa che non sei mai riuscita a spiegarti? Magari una cosa che hai fatto tu, o che ti è accaduta intorno.»

Rimasi di sasso. Non mi sarei mai e poi mai aspettata una domanda del genere. Non avevo bisogno di riflettere sulla risposta, la conoscevo bene, ma quello era un segreto che non avrei voluto rilevare, quindi esitai. Scossi la testa, provando a mentire. Forse se ne sarebbero accorti, ma che potevo fare? Non potevo parlare a qualcuno di una cosa del genere.

«Mente» constatò Dante. Non era difficile riconoscerlo, dato che non ero brava a fingere, ma ci avevo sperato. Ace rimase in silenzio. Stavano aspettando.

«Che cosa volete da me?» sbottai.

«La verità!» esplose il ragazzo, alzandosi in piedi. Il suo urlo rimbombò tra le pareti della stanza. Era furioso.

«Dante...» tentò di tranquillizzarlo Ace, poggiandogli una mano sul braccio.

Voleva di nuovo uccidermi? Il ricordo delle sue mani strette sul mio collo mi tornò in mente a mo' di avvertimento. Come riflesso incondizionato, mi sfiorai con le dita i lividi violacei che mi avevano lasciato le sue mani, scatenando in me una smorfia involontaria. Sul viso di Dante parve passare per un momento un'ombra di insicurezza, ma fu così veloce che supposi di essermelo immaginato.

Presi un respiro profondo e mi decisi. Avrei dovuto dire loro quello che volevano o sarebbe finita male per me.

«Quando avevo dieci anni ci fu un brutto temporale e la pioggia durò per giorni. Alla fine una tegola del tetto si ruppe e io aiutai mia madre ad aggiustarla. Mi stavo divertendo e, nonostante mia madre mi avesse detto di rimanere ferma, quando la vidi distratta iniziai a camminare intorno per fare il giro del tetto, ma a un certo punto scivolai. Penso che mi sarei rotta l'osso del collo se... se non mi fossi fermata a levitare a circa una decina di centimetri da terra. Da quel giorno, ogni volta che facevo una caduta pericolosa mi salvavo sempre così. La mia famiglia non credeva in Dio, ma iniziai a pensare che fosse per lui e che dovessi ricredermi.»

«Interessante» disse Ace con aria assorta, nello stesso istante in cui Dante se la rideva, dicendo che non esisteva alcun dio. Un momento prima mi aveva urlato contro, e adesso mi prendeva in giro. Mi vergognai tantissimo, non aveva senso quello che stavo dicendo. Mi avrebbero preso per matta.

«C'è dell'altro?» chiese tornando concentrato.

«Perché volete che vi dica queste cose? E come facevate a sapere che potevo raccontarvi una cosa del genere?» volli sapere.

«Finisci il tuo racconto, poi toccherà a noi spiegare. C'è dell'altro?» ripeté il capo.

Presi un bel respiro. «Sì, ma... non è una cosa tanto carina.» Scossi la testa, indecisa se parlarne o no. Era assurdo.

«Non preoccuparti, vai avanti» disse Ace con un sorriso di incoraggiamento.

«Dopo quella del tetto non successero più altre stranezze, finché non iniziai ad andare alle medie. A quei tempi ero molto più alta delle altre ragazze, così un gruppo di loro iniziò a prendermi in giro. All'inizio le ignorai, ma poi loro resero la mia esperienza scolastica un incubo. Un giorno eravamo solo io e loro nel corridoio della scuola, e iniziarono come sempre un monologo di calunnie del quale io ero protagonista. Poi, a un certo punto, un vaso che stava su una mensola cadde inspiegabilmente in testa a una di loro e lei dovette mettersi i punti. Dopo quell'episodio, ogni volta che mi prendevano in giro succedeva qualcosa di strano, ad esempio una ragazza scivolava, oppure un topo entrava nella sua giacca e, una volta, una di loro ha persino perso alcune ciocche di capelli. Non ho idea di come sia potuto accadere, ma...» Non proseguii, non trovavo le parole per farlo.

«Telecinesi» disse Ace rivolto a Dante, il quale annuì e rispose: «Forse, ma la faccenda del topo mi sembra più Illusionismo.»

Sembravano così intenti a parlare tra di loro che mi stavano completamente ignorando. Non li seguivo, ma perlomeno il peggio per me era passato. O almeno così credevo.

«Già, anche la ragazza che perde capelli sembrerebbe più un altro tipo di magia.»

«Elementalismo?» A Dante si illuminarono gli occhi quando disse quella parola, ma Ace scosse la testa.

«Posso capirci anche io qualcosa?» Ora volevo le mie risposte.

«Dante, a te l'onore.»

«Credevo che lo sapessi, ma a quanto pare ignori la nostra esistenza. Noi siamo changers, persone che possono modificare la materia a propria convenienza.»

Dovetti elaborare le parole più e più volte nella mia mente per trovare loro un significato. Inizialmente credetti che mi stessero prendendo in giro, ma sembravano seri e inoltre questo avrebbe dato spiegazione a tutta l'intera faccenda, a partire dal rapimento e dal fatto che volessero uccidermi.

Sbiancai. Ovvio che li conoscevo. Erano una delle leggende più raccontate quando ero piccola. Mia nonna me l'aveva detto, anni e anni fa. I changers erano maghi cattivi che minacciavano di schiacciare l'umanità con le loro magie. Tutti li conoscevano e alcuni affermavano anche di averli visti. Li descrivevano come uomini malvagi, con gli occhi rossi e mantelle nere che li nascondevano nel buio in cui permanentemente si muovevano. Crescendo avevo realizzato che non esistevano, che la gente se li era inventati per mettere paura ai bambini. Come l'uomo nero o il mostro sotto il letto. Non potevano esistere sul serio, no. La magia era un'invenzione delle fiabe.

«I changers sono una leggenda, niente più» affermai ostentando una sicurezza che non avevo.

«Tu dici?» chiese Dante, perforandomi con i suoi occhi glaciali.

Nel momento esatto in cui annuii, lui aprì la mano con il palmo rivolto all'insù. Una fiamma cremisi apparve vivace, levitando a pochi centimetri dalle sue dita e riscaldando appena le vicinanze. I suoi occhi di ghiaccio si colmarono di pagliuzze arancioni esposti ai bagliori della fiamma che ardeva sulla sua mano ma non sembrava bruciarlo. Il suo sguardo era acceso come non mai.

Feci un balzo indietro e finii dall'altra parte della camera, in piedi e in posizione difensiva. Dante però chiuse la mano e la fiamma sparì, veloce come era apparsa. Io arretrai fino al muro, dando voce al mio unico pensiero:

«Non è possibile!» Erano loro! Le paure di quando ero bambina stavano tornando a torturarmi, questa volta vere e tangibili. Me le ritrovavo davanti ai miei occhi, reali come non avrei mai immaginato.

Dante rise di gusto. Ace si alzò lentamente e, molto cautamente, fece per avvicinarmisi.

«Stai lontano. Statemi lontani! Andate via. Mostri!»

Mi accovacciai a terra con le mani sopra la testa. Che cosa volevano farmi? Ciò che potevano fare era molto peggio che uccidermi. Perlomeno, se fossi morta non avrei sofferto le pene che loro mi avrebbero potuto far passare. Erano malvagi, erano stati il mio incubo da piccola e ora sarebbero stati la mia fine.

Si scambiarono parole che non capii, poi la porta sbatté facendomi sobbalzare, e solo dopo trovai il coraggio per alzare la testa.

La stanza era vuota.

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