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Il giorno dopo, al mio risveglio la stanza era vuota. Nell'aria aleggiava ancora il profumo di Dante che, nonostante tutto, dovevo ammettere fosse buonissimo. Non riuscivo a capire a cosa somigliasse, ma era una fragranza fresca e frizzante, che mi ricordava vagamente quella del pino, mischiato a qualcosa di ancor più esaltante e maschile.

Cercando di ricompormi, mi alzai dal letto senza sapere bene cosa fare. Volevo farmi una doccia, specialmente per lavare via le macchie di sangue rimaste sulla spalla e le lacrime secche sul viso, però avevo paura di uscire dalla mia stanza da sola, specialmente dopo quello che era successo la sera precedente. Mi sarebbe piaciuto anche avere dei vestiti puliti, considerando che della mia camicia era rimasto solo un brandello di tessuti, ma non volevo chiederli a qualcuno. Forse avrei potuto provare con Gabriel, ma comunque non volevo interagire con i changers più del dovuto, specialmente se era per chiedere loro favori.

Dante entrò in camera e, quando mi vide in piedi a esaminarmi, apparve sorpreso.

«Pensavo dormissi. Volevo prendere la colazione, ma Ace ha detto che dovevi andare in caffetteria a tutti i costi. Non ho capito perché.» Sbuffai. Dopo quanto era successo quella notte ancora voleva che rispettassi il patto?

Non mi focalizzai, però, sulla colazione dal momento che avevo un'altra priorità. Avevo davvero bisogno di una doccia, quindi cercai il coraggio di chiedere a Dante un passaggio fino al bagno.

«Ehm, mi chiedevo se potessi accompagnarmi in bagno, prima. Vorrei pulirmi il sangue dalla spalla.» Ancora mi sentivo strana nel pensare al modo in cui era guarita rapidamente. Quel formicolio e quella sensazione di calore annessa erano una magia che avevo provato direttamente sulla mia pelle, e la cosa mi lasciava scombussolata.

Annuì in silenzio e osservò la mia camicia a sua volta. «Forse hai bisogno di vestiti nuovi.» Quando il suo sguardo si poggiò sulla mia spalla nuda, esposta dallo squarcio, mi sentii in imbarazzo. «Lo dirò ad Ace. Torno tra dieci minuti.» Sparì di nuovo.

Al suo ritorno aveva con sé una pila di vestiti che portava cercando di non farli cadere. Alcuni sembravano pesanti, ma altri erano adatti alla stagione e alla mia corporatura.

«Vedi quali ti stanno bene, poi te ne troveremo degli altri. Ci hai presi alla sprovvista.»

Quasi mi venne da ridere per la sua stravagante affermazione. Non ero stata io a prenderli alla sprovvista, ma loro a volermi tenere per forza come ostaggio.

Mi trattenni dal commentare la sua frase e cercai nella montagna di vestiti qualcosa di comodo che fosse della mia misura. Erano giorni che dormivo con i jeans e non ce la facevo più, inoltre mi sentivo sporca come mai prima. Presi un paio di pantaloni neri leggermente elasticizzati e un maglioncino beige non troppo pesante. Sembravano essere perfetti per quel posto in cui faceva abbastanza caldo. Esaminai con attenzione la biancheria intima che era chiusa dentro una bustina: tutti i completi erano sobri e ancora legati alla targhetta, così presi quello con il reggiseno più piccolo che riuscii a trovare e lo nascosi tra la maglia e i pantaloni, in imbarazzo.

Ci incamminammo verso il bagno in silenzio, tranne per poche brevi parole che lui mi rivolse per informarmi che ci saremmo separati per la doccia e ci saremmo rivisti fuori dai bagni. Nelle ultime ore avevamo parlato fin troppo e mi pentii di averlo fatto. Dovevo ricordare che era mio nemico.

Nella doccia ci pensai e ripensai, ma non riuscii a trovare una motivazione per ciò che aveva fatto Dante nei miei confronti. Lui mi odiava, eppure mi aveva salvato la vita. Non poteva essere stato spinto solo dalla gentilezza e bontà d'animo che dubitavo possedesse. Cosa lo aveva indotto, allora, a salvarmi? Ma la vera domanda era: potevo fidarmi di lui?

Dopo la doccia mi sentii rinata. Non mi ero mai resa conto che avere vestiti puliti addosso potesse essere così confortevole. Cercai di sbrigarmi ad asciugare i capelli, ma, come la volta precedente, uscii che erano ancora umidi.

Mi guardai intorno, ma non vidi nessuno. Probabilmente mi ero sbrigata talmente tanto che Dante ancora non aveva fatto. Rimasi fuori dai bagni ad aspettarlo e dopo qualche minuto potei sentire delle voci provenienti dal corridoio perpendicolare al mio.

«Già, è ridicolo, ma che ci vuoi fare? Ace è uno svitato, io l'ho sempre detto.»

«Per me è colpa di Darrell, non avrebbe dovuto fare una cosa del genere. Questa volta ha proprio esagerato.»

Al nome di Darrell rizzai le orecchie. Indubbiamente parlavano di me, a meno che il mio rapitore non avesse combinato qualche altro guaio. Il che era probabile, ma lui non era lì in quel momento, quindi quasi certamente la mia prima supposizione era azzeccata.

Purtroppo i tre uomini svoltarono nel mio corridoio, notandomi subito: stavano andando nei bagni anche loro. Uno di loro non si fece scappare l'occasione di infastidirmi ed esclamò: «Ma guarda, guarda, parli del diavolo...»

Rimasi immobile a fissarli sperando che se ne andassero. Non potevo fare niente, ero con le spalle al muro. Dante era sotto la doccia e non avrebbe sentito nulla.

I changers mi guardavano con aria di superiorità. La voce profonda dell'uomo che aveva parlato strideva con il suo fisico magro e il viso adunco adornato da un pizzetto e dei capelli accuratamente pettinati all'indietro. Alla sua destra stavano due ragazzi circa della mia stessa età. Il primo aveva ricci capelli biondi e occhi blu scuro che mi fissavano e mi esaminavano con curiosità. Sembrava più piccolo di me, ma sicuramente era abbastanza grande da aver finito la scuola. Del secondo riuscii a cogliere solo che aveva la testa completamente rasata, prima di prestare attenzione al cuore che aumentava l'intensità dei suoi battiti man mano che lui si avvicinava a me.

«Non ti ho mai vista da vicino, ragazzina. Come ci si sente a essere feccia umana?» Mi sputò le sue malvagie parole in faccia, cogliendomi di sorpresa mentre con una mano mi stringeva il polso.

«Lasciami» provai a dire, ma la paura mi fece uscire le parole come sussurrate. Mi diedi della stupida per avere paura di quei tre, ancora una volta debole. Non potevo farne a meno, però. Quel posto era gremito di persone che non aspettavano altro per farmi fuori, e la paura tornava a ricordarmelo al minimo accenno di pericolo.

Il ragazzo si mise a ridere e subito lo seguì l'uomo. Il biondino strinse la mascella, forse contrariato, ma rimase in silenzio.

«Lasciami» ripetei a voce un po' più alta, stavolta cercando di allontanarlo con le mani. Il ragazzo mi strinse ancora di più, iniziando a farmi male. Provai a tirare per liberarmi, e in quel momento apparve Dante accanto a me.

Cercai di nascondere il respiro di sollievo che mi aveva provocato solamente il fatto di averlo visto, ma mi uscì comunque un piccolo sorriso malcelato.

Dante mi ignorò completamente, rivolgendosi faccia a faccia al ragazzo che mi aveva infastidita. Era più alto di lui almeno di dieci centimetri, e quello doveva alzare la testa per guardarlo in volto, tanto gli stava vicino.

«Dante» disse leggermente intimorito.

«Andatevene» ordinò lui. A quanto pareva non faceva paura solo a me.

Aveva i capelli umidi che, nonostante tutto, continuavano a stare all'insù. Piccole goccioline gli cadevano dalla testa, andando a bagnare la canottiera nera che indossava. Quest'ultima gli metteva in risalto i muscoli delle braccia e dell'addome, facendolo sembrare ancora più minaccioso. Il ciondolo che portava sempre era nascosto al di sotto del tessuto di cotone. Con le gocce che lasciavano piccole scie giù per il torace, sembrava una scultura di ghiaccio in procinto di sciogliersi.

«Perché lo fai, Dante? Qual è il tuo problema?» gli chiese agitato l'uomo.

Dante si girò lentamente verso di lui e altrettanto lentamente gli rispose. «Ordini del capo. E io rispetto gli ordini del capo.»

I tre rimasero in silenzio, studiando me e il mio accompagnatore. Dopo alcuni secondi in cui capì che nessuno avrebbe risposto, Dante mi diede una leggera spintarella per farmi camminare che mi prese alla sprovvista, facendomi sobbalzare. Lui alzò gli occhi al cielo, infastidito, ma continuò ad avanzare al mio fianco in silenzio.

«Mi hai salvata due volte oggi» osservai una volta svoltato il corridoio. Non volevo diventasse un'abitudine. Detestavo essere in debito con quel ragazzo.

«Se dovessi usare un'espressione umana, direi che è il mio lavoro» rispose facendo spallucce.

«Il tuo lavoro?» gli chiesi, voltandomi verso di lui. Guardarlo dritto in faccia mi metteva ancora timore, ma fortunatamente lui non rivolse il suo sguardo gelido verso di me.

«Sì» confermò. «Il capo mi ha ordinato di farti da guardia del corpo. Preparati, ti dovrò stare appiccicato» disse come niente fosse.

Mi fermai di colpo. «Cosa? Tu!?» Nonostante tutto, non mi ero dimenticata chi era il ragazzo davanti a me e che cosa aveva fatto. Ace invece sembrava averlo rimosso dalla mente.

Dante rise e scosse la testa, ma continuò a camminare come se niente fosse. Mi sbrigai a raggiungerlo, indecisa se avere più paura di rimanere sola o di dover stare con lui la maggior parte del mio tempo.

Arrivammo in caffetteria, dove il profumo di dolce e di caffè mi investì, facendomi brontolare la pancia vuota. Qualcuno ci vide e uscì, ma il resto delle persone non ci degnò di uno sguardo. Cosa era successo? Mi sarei aspettata il solito silenzio di sempre.

«Vado a prendere la colazione, tu siediti» mi ordinò, indicandomi il nostro solito tavolo.

Feci come mi era stato detto e dopo due minuti tornò con un vassoio contenente due invitanti ciambelle ricoperte di una glassa rosata e due cappuccini in tazzine colorate. Prima che potesse appoggiarlo sul tavolo, però, due ragazze si avvicinarono a lui e lo salutarono. Una delle due sembrava essere parecchio in confidenza con lui, perché lo abbracciò con trasporto. Il ragazzo, dal canto suo, non si lasciò andare nemmeno un po'. Rimase la solita statua di ghiaccio e non ricambiò l'abbraccio, anche se le sorrise e la salutò. La cosa non mi sorprese.

«Lei è Lucy» disse indicandomi. Ci misi un po' a capire che stava parlando di me. Sentirmi chiamare di nuovo così mi provocò una strana sensazione che non seppi decifrare.

«Loro sono Fannie» e indicò la ragazza che lo aveva abbracciato, «e Hailey» concluse rivolgendosi all'altra ragazza. Quest'ultima mi sorrise strizzando appena i suoi occhi color cioccolato dalle sfumature verdastre. Scosse la testa per annuire e i voluminosi boccoli biondi – che io mi sarei sognata di avere – le danzarono accanto alle orecchie ornate di orecchini a bottoncino in tinta con il vestitino turchese che indossava.

L'altra ragazza, invece, sembrava più scontrosa, ma aveva un fascino seducente: lunghi capelli rosso fiamma e labbra dalle sfumature cremisi che si piegarono svogliate, giusto per ottenere un mezzo sorriso di circostanza. I suoi occhi nocciola contornati da due ciglia lunghe mi studiarono, mentre io studiavo lei. Era magra e molto alta, ma almeno sei centimetri le venivano regalati dai tacchi a spillo che portava, nemmeno stesse andando in discoteca. I pantaloni aderenti che indossava evidenziavano le sue curve e le sue lunghe gambe. A pensarci bene sembrava proprio la ragazza ideale per Dante. Il ghiaccio e il fuoco. Forse stavano insieme.

Mi sentii in imbarazzo davanti a quelle due ragazze bellissime. Io indossavo vestiti che erano stati scartati da qualcun altro, e i miei capelli erano ancora bagnati e spettinati, perciò rivolsi loro uno sguardo timido. La rossa si girò da un'altra parte. Ok, mi odiava anche lei.

«Vi fermate con noi per colazione?» chiese Dante in modo cortese.

Sperai con tutta me stessa che dicessero di no, ma purtroppo le ragazze acconsentirono.

Come previsto, Hailey si rivelò molto simpatica, mentre Fannie non mi degnò di uno sguardo. Aveva occhi solo per Dante, ma lui non pareva filarsela più di tanto. Si vedeva che aveva più confidenza con lei che con la bionda, ma non sembrava darle tutta l'importanza che invece la ragazza rivolgeva a lui. Forse era il modo migliore che aveva per dimostrare il suo affetto, se così si poteva chiamare.

«Quindi, si è saputo di che tipo lei fa parte?» chiese a un certo punto Fannie. Mi stava guardando, quindi intuii che la "lei" che aveva nominato ero io. Fortunatamente Dante parlò per me, perché non avevo idea di cosa rispondere a quella domanda che non avevo capito.

«No. Ancora non abbiamo fatto il test. Non le abbiamo nemmeno spiegato molto, se è per questo.»

«Sono proprio curiosa di sapere» disse lentamente, fissandomi. Non avevo idea di cosa fosse "il test", ma mi tornò in mente la voce di Darrell che diceva "Ho solo usato il liquido per testarla" e "Hai visto come ha reagito al test."

Solo al ricordo rabbrividii. Se quello era il test di cui parlavano, non avevo nessuna intenzione di ripeterlo. Il gelo che avevo provato quando Darrell mi aveva "testata" tornò a impossessarsi della mia mente, provocandomi ancora incubi a occhi aperti.

Finita la colazione, Hailey mi salutò con un sorriso e Fannie con uno sguardo di fuoco. Non la capivo. Non sembrava odiarmi come gli altri, né per i loro stessi motivi, però le stavo antipatica, si vedeva.

«Fannie è fatta così, non puoi farci niente» mi disse Dante mentre camminavamo a ritroso, come se mi avesse letto nel pensiero. Alla mia espressione sorpresa rise. «Non fare quella faccia, non ci vuole un Mentalista per vedere che hai il broncio per colpa sua.»

Decisi di cambiare argomento e chiedergli di ciò che mi interessava. «In cosa consiste il test?»

«Ora come ora non è affar tuo, non penso che lo farai nei prossimi giorni.»

Rimasi in silenzio. Non me lo avrebbe mai detto, neanche se avessi insistito.

«L'altro giorno hai detto di voler fare delle domande. Le hai già esaurite? Dovresti iniziare a informarti su quello che siamo e cosa facciamo.»

«Ne ho appena fatta una» gli feci notare.

«Ti ho detto che non è affar tuo» ripeté con tono più freddo, incitandomi poi con lo sguardo a porne un'altra.

«Da piccola mi hanno parlato di voi. E so abbastanza per non voler sapere altro sul vostro conto.»

Nell'aria aleggiò la leggera e cristallina risata di Dante. Ancora non sapevo spiegarmi come uno come lui potesse emettere un suono tanto armonico.

«Oramai dovresti saper distinguere una balla dalla verità.»

Non risposi, non sapevo che dire. Mia nonna, colei che mi aveva raccontato la storia su di loro, non era una bugiarda.

«Come sta mia madre? Quando potrò tornare da lei?» chiesi a bruciapelo.

Dante si irrigidì. «Puoi esporre solo domande inerenti a noi.»

«Per favore! Ho bisogno di sapere.» Mi ridussi a supplicare, ma non mi importava. Avrei fatto questo e altro.

«Tua madre sta bene. Come ti è già stato detto, non si preoccuperà per te.» La sua breve risposta fu tutto ciò che riuscii a ottenere.

All'improvviso, Dante fece dietrofront e cambiò improvvisamente strada.

«Dove stiamo andando?»

«Non tieni mai la bocca chiusa?»

Mi imbronciai. Quel ragazzo era tutto fuorché piacevole. Un disgustoso miscuglio tra una terribile minaccia e un'insopportabile seccatura.

«Stiamo andando a insegnarti qualcosa» comunicò annoiato.

A quelle parole la curiosità si impossessò di me. Nonostante la paura e il ribrezzo per ciò che mi era stato raccontato, volevo conoscere la loro versione dei fatti.

Presto riconobbi la strada per la biblioteca e dopo cinque minuti constatai di aver indovinato. Non era vuota come la ricordavo, anche se quando mi videro molti presero il loro libro e si dileguarono. Rimase solo qualche gruppetto di persone talmente intente a leggere che non mi avevano notata. Sospirai e guardai avanti. Andare in giro per seguire Dante sarebbe stato molto difficile.

Elijah ci venne incontro, salutandoci sorridente. Ero felice di rivederlo, dopotutto ero stata bene con lui quei giorni in biblioteca. Mi sentii in colpa per essere sparita così, senza nemmeno dirgli nulla, ma lui non sembrava essersela presa.

«Di cosa avete bisogno?» ci chiese allegro.

«Lucy dovrebbe imparare alcune cose in più su di noi. Inizia da qualcosa di semplice.» Sentirmi chiamare in quel modo mi faceva ancora strano, ma per fortuna era un soprannome che solo Dante sembrava voler utilizzare.

«Certo, seguitemi.»

Camminammo tra i mobili ricolmi di libri per qualche minuto. La biblioteca era enorme, con scaffali che arrivavano fino al soffitto, i piani più alti raggiungibili da una scala. Nei giorni in cui avevo lavorato lì avevo quasi rischiato di cadere, e mi aveva salvata Elijah per un pelo. Era in quel momento che avevo capito di potermi fidare di lui.

Il biondo si fermò davanti a uno scaffale pieno zeppo in cui trovò quello che cercava. Tirò fuori qualche volume polveroso dalla libreria e li porse a Dante, impilandoli uno sopra all'altro nelle sue braccia. Sembravano davvero pesanti, eppure lui non fece una piega.

«Potete iniziare con questi. Andateci piano» disse rivolgendo al changer che mi accompagnava un'occhiata della quale non riuscii a cogliere il significato nascosto.

Il ragazzo di ghiaccio lo ringraziò e ci dirigemmo verso un tavolo rotondo, ben illuminato da una finestra proprio lì vicino. La mia guardia del corpo iniziò a osservare i libri, poi si decise e me ne porse uno dalla copertina verde chiaro con sopra scritto semplicemente "The Changers".

Lo aprii mentre Dante portava la sua sedia accanto alla mia. Averlo così vicino mi infastidiva e mi innervosiva, ma non gli dissi niente per paura che, per dispetto, si avvicinasse ancora di più. L'unico vantaggio era riuscire a sentire il suo profumo, che annusai di nascosto. Mi faceva quasi girare la testa a quella vicinanza. Mi vergognai tantissimo quando pensai che mi avesse beccata e diventai rossa all'istante, ma poi constatai dal modo in cui mi guardava che non sembrava aver capito cosa mi agitasse tanto. Fortunatamente non fece domande.

Sfogliò qualche pagina e poi mi disse: «Inizia a leggere da qui. Io vado a prendere un caffè.»

«Ma lo hai appena bevuto.»

«Cosa ci faccio con un solo caffè, dopo una notte insonne?» chiese retoricamente. La sua frase mi ricordò che non aveva dormito per sorvegliare me che facevo sogni tranquilli grazie alla sua veglia. Mi sentii un pochino in colpa, ma cacciai subito quel pensiero. Perché avrei dovuto sentirmi in colpa, quando lui non si era minimamente pentito di aver provato a uccidermi?

Iniziai a leggere da dove mi aveva detto. La pagina sembrava di carta velina ingiallita, segno che era molto vecchia. Profumava di libro antico e presentava qualche frase sopra una specie di schema.

I changers si dividono in Combattenti Magici (CM) o Non Combattenti Magici (NCM). L'elemento che determina il livello di magia presente in un changer è il Darem (D), una sostanza presente solo nelle cellule di chi nasce changer.

Più D possiede un changer e più potente sarà la sua magia. Il minimo per diventare Combattenti Magici è mille D. Esiste un unico modo per scoprire quanti D possiede un changer e cioè sottoporlo a un test.

Il numero di D non è prevedibile in alcun modo, e si crede che non sia ereditario, pertanto è impossibile saperlo prima del test che viene svolto in età matura.

Il test viene fatto con del liquido apposito per basse temperature, verso le quali i changers sono molto deboli. Viene iniettato il più vicino al cervello possibile, dopodiché si contano i secondi che il changer riesce a resistere prima di perdere i sensi.

Si parte da un totale di seimila D e ogni secondo in più che il changer resiste vengono scalati cento Darem.

Un changer di medio D (all'incirca duemila) resiste circa quaranta secondi. (40 secondi x 100D scalati al secondo = 4000D perdute. 6000-4000=2000D). Questo vuol dire che se un changer è NCM, resisterà almeno cinquantuno secondi (51 secondi x 100D scalati al secondo=5100. 6000D-5100=900=NCM).

Ci sono casi, però, in cui il liquido non fa proprio effetto e possono essere due:

• Negli umani, ovviamente. Loro non hanno nemmeno un D, e perciò non reagiranno al liquido, provando al massimo un leggero fastidio per la temperatura;

In alcuni changers che sono accidentalmente nati con pochissimi D. Questi casi sono piuttosto rari e avvengono circa una volta su ottomila.

Nota: il liquido non è pericoloso per il sistema dell'organismo di un changer, ma è consigliabile comunque venirci a contatto il meno possibile a causa delle sue capacità di metterlo fuori combattimento per un gran lasso di tempo.

Tutt'oggi la debolezza dei changers verso quel liquido è tenuta gelosamente segreta.

Ci misi un po' a capire quel bizzarro calcolo e dovetti leggere due volte. In parole povere, più si era forti con la magia e più si stava male quando si veniva a contatto con il liquido per il test. Mi chiesi però perché quel liquido facesse male solo ai changers. Cosa conteneva in realtà?

Mi guardai intorno, pronta a rivolgere le mie domande a Dante. Lo trovai vicino un tavolo non lontano dal nostro che parlava con una persona. Osservai meglio e riconobbi Fannie, la ragazza di quella mattina. Non appena lui si accorse che lo stavo guardando la salutò e tornò verso di me. Lei mi fulminò con un'espressione che mi fece venire i brividi.

«Qualcosa che non capisci?» mi chiese il ragazzo, sedendosi di nuovo vicino a me.

«In effetti sì. Qui c'è scritto che c'è un liquido per il test. Cosa contiene? Perché fa male solo a voi?» Non avevo intenzione di dire noi, anche se ormai era palese che anche io potevo soffrire a contatto con quella roba.

«Se avessi letto qualche altro paragrafo avresti trovato la spiegazione» rispose altezzoso, ma poi decise di dirmelo comunque. «Quello è solamente un liquido fatto apposta per non ghiacciarsi a temperature molto basse. Non lo sai? È il freddo che vi fa male e inibisce i vostri poteri. Gli umani ne risentono leggermente, è pur sempre una temperatura poco sopportabile, ma non in modo grave come voi. In ogni caso, non è nocivo per l'organismo.»

Non mi sfuggì il fatto che aveva utilizzato voi al posto di noi, ma non gli diedi peso in quel momento. Il mio cervello era impegnato a cercare di capire le meccaniche delle debolezze di un changer. Tutto sembrava essere collegato al freddo, ma non aveva senso. Mi venne in mente, però, l'immagine dei miei compagni di classe a maniche corte o in canottiera verso settembre e ottobre, e io, invece, sempre inspiegabilmente con maglie e maglioni che mi coprivano più del dovuto. Scossi la testa. Non ero una di loro. Non potevo esserlo!

«Dante?»

«Sì?»

«Si può chiedere a uno di voi quanti D ha? Tipo... a te?»

Dante rise. «Dipende dalla persona. Ci sono alcuni che ci rimangono male per averne pochi, altri invece a cui non importa niente e prendono la vita come capita. Comunque, noi non ce lo chiediamo dato che già lo sappiamo tutti. Non appena una persona fa il test, i risultati vengono annunciati pubblicamente.» Non rispose alla mia domanda indiretta. Forse apparteneva al primo caso e non voleva dirmelo. Però tutti sembravano avere paura di lui, e logicamente non ne avrebbero avuta se non avesse avuto poteri.

Ripensai a Gabriel, che avrebbe dovuto fare il test tra pochi anni. Non lo invidiai per niente, però mi chiesi quanti D avesse. Ero curiosa.

«Secondo te Gabriel quanti ne avrà?»

«È impossibile dirlo adesso, però ogni tanto qualche magia gli è scappata e non mi sembravano pochi, nonostante la giovane età.»

Prima che potessi chiedere altro, Dante mi prese il libro da sotto il naso e impilò tutti i volumi in una montagna. «Chiederò a Elijah di metterli da parte. Questo portalo via.» Mi porse un volume bordeaux rilegato in pelle. Sembrava molto vecchio e odorava di cuoio. Sulla copertina c'era scritto: Tipi di magia. Wow, quello sì che mi interessava.

«Non lo perdere o rovinare, o Elijah te la farà pagare.» Annuii e mi promisi di starci attenta.

Con il libro in mano, seguii Dante fuori dalla biblioteca. Aveva bisogno di passare un attimo in camera sua per prendere delle cose. Quando arrivammo scoprii che era proprio accanto alla mia, ecco come aveva fatto la scorsa notte a sentire che ero in pericolo. Probabilmente Ace mi aveva messa lì proprio per permettere a lui di sorvegliarmi. Ci aveva visto lungo.

Colsi l'occasione per entrare in camera anche io e poggiai il libro sul comodino. Una volta fuori ci dirigemmo verso la scuola per incontrare Gabriel. Era tanto che non lo vedevo e desideravo scusarmi con lui per essere sparita.

Non appena mi vide, il marmocchio corse ad abbracciarmi. Mi sentii un po' strana, ma non mi ritrassi perché meritava una stretta sincera.

«Lu! Mi sei mancata. Credevo che stessi male.»

«Scusami. Mi dispiace davvero per essere sparita.»

«L'importante è che stai bene!»

Era tutto sorridente e non potei fare a meno di farmi contagiare dalla sua allegria. Pranzammo insieme a Dante e Ace, che finalmente sembrava potersi prendere un attimo di pausa.

«Stavo pensando, Dante... visto che devi stare con lei, ma in questo modo stai trascurando i tuoi allenamenti e i tuoi doveri, magari potresti portarla con te.»

«Non credo si divertirebbe» disse in automatico il ragazzo, come se si aspettasse quella proposta.

«Perché no? Magari potrebbe imparare qualcosa di nuovo.»

«Non la voglio tra i piedi» specificò, come se io non fossi presente.

Mi imbronciai. «Nemmeno io voglio andare con lui, se è per questo!»

«Avanti!» insistette Ace.

Si fissarono per qualche istante, come se stessero dialogando senza emettere alcun suono, poi Dante cedette. «D'accordo» dichiarò con tono rassegnato. Si alzò, facendomi cenno di seguirlo. Mio malgrado, obbedii infastidita.

Seguii Dante fino al giardino, ove rimasi ammaliata nell'osservare uno spiazzo circolare molto grande, contornato da tantissimi fiori di colori diversi. Alcuni alberi erano disposti in fila e formavano una specie di griglia in cui era facile perdersi. I confini erano delimitati da vetri a specchio alti diversi metri, completamente lisci e impossibili da scavalcare. Molte persone erano intente a irrigare, ma una sola figura sedeva concentrata a terra, in uno spazio erboso in cui non erano presenti alberi.

Accanto a lei vi era un pozzo di pietra scavato nella terra. La roccia levigata presentava alcune venature più scure, e del muschio la ricopriva sui bordi, rendendola soffice in alcuni punti. Avvicinandomi mi accorsi che la ragazza era Fannie, ed era intenta a versare acqua dentro il pozzo. Era immobile e bellissima, fine e leggiadra, mentre l'acqua sembrava uscire direttamente dalle sue mani, come fosse la statua di una fontana. La guardai con la bocca spalancata senza poterne fare a meno. Lei se ne accorse e rise di me, continuando ciò che stava facendo senza problemi.

«Se non chiudi quella bocca ci entreranno i moscerini.»

Dante rise con lei per la sua meschina battuta. Serrai immediatamente le labbra, diventando rossa in viso, mentre la mia guardia del corpo si sedeva accanto alla ragazza e le prometteva di darle una mano.

«Wow, ho l'onore di riaverti tra noi oggi!» commentò Fannie, visibilmente infastidita dalla mia presenza.

«Già, il capo mi ha ordinato di tornare.»

«E lei? Magari può rendersi utile irrigando i campi» proferì, guardando ancora la mia figura in piedi accanto a loro. Voleva mandarmi via, era palese. Me ne sarei andata volentieri, ma le persone che stavano innaffiando non sembravano molto felici di avermi nel loro giardino, figuriamoci se mi fossi offerta di lavorare con loro.

«Mi ha detto anche di non perderla d'occhio. Vieni, Lucy.» Mi fece cenno di sedermi accanto a lui e io mi accomodai il più lontano possibile dalla ragazza che sembrava sempre più infastidita.

«Cosa fate?» Non riuscii a trattenere la curiosità.

«Mi pare ovvio» esclamò Fannie nello stesso istante in cui Dante diceva: «La nostra magia ci permette di richiamare le gocce d'acqua presenti nell'aria e nella terra sotto forma di umidità, quindi, per questo periodo, ne usufruiamo per garantire acqua all'Istituto.»

«Wow» esclamai affascinata, ignorando la ragazza.

«Sì, è molto utile per l'intero Istituto, dal momento che abbiamo avuto problemi con la società che ci forniva acqua.»

«E allora perché lo fate solo voi due?»

«Beh... ci sono diversi tipi di magia, e solo noi due sappiamo utilizzare questa.»

«Su centinaia di persone, solo voi?» Non riuscivo a smettere di fare domande, nonostante le occhiatacce provenienti dalla ragazza. Era più forte di me, quella magia che mi aveva fatto tanta paura, ora mi affascinava anche molto.

«La nostra magia è molto rara, siamo essenziali per l'Istituto» dichiarò Fannie, vantandosi un po'. Nonostante fosse una sbruffona, la stimai. Doveva essere molto potente se possedeva qualcosa che tutti gli altri non avevano.

Dante aiutò la ragazza per circa un'ora. Sembrava che ogni goccia d'acqua che distillava gli facesse perdere un po' di energia, e più lo faceva velocemente, più energia sprecava. Fannie se la prendeva comoda, versando nel pozzo molta meno acqua di quella che garantiva Dante, e quando andammo via lei rimase al suo lavoro.

Passammo in camera mia perché il ragazzo insistette per prendere il libro e dopo ci dirigemmo verso l'ascensore. Voleva che passassi il pomeriggio a leggere.

«Sembri stanco. Non vuoi riposarti?» Mi morsi un labbro. Perché davo l'impressione di preoccuparmi per lui? Avrei dovuto fare più attenzione con le parole. L'idea di liberarmi di lui, però, era interessante.

«Nah, è solo perché ho dormito poco. E l'acqua è compito di Fannie, lei è più abituata di me a farlo. Inoltre, per aiutarla devo sbrigarmi e sforzarmi, dato che ho solo un'ora. Sai, procurare litri e litri di acqua in due è una corsa contro il tempo» mi sorrise.

«Ma lei non sembrava andare di fretta.»

«Fannie sta tutto il giorno lì, perciò deve conservare le energie, non può sbrigarsi e faticare già alla prima ora.»

«Capisco. Se quello è il suo lavoro, il tuo qual è?» chiesi, ancora più curiosa di prima.

Dante si scostò una ciocca di capelli argentati dalla fronte prima di rispondere. «Spesso sto in giro a dare una mano dove serve, specialmente al capo. Quasi tutti i giorni aiuto Fannie per un'oretta. Altre volte me ne sto nel mio studio e faccio ricerche sui tipi di magia. Vorremmo trovare un modo per aumentare i D nei changers, ma ora risulta ancora impossibile. Ci serve anche capire se c'è qualche modo per influenzare, e di conseguenza decidere, quale tipo di magia una persona avrà. Ci servono più Elementalisti.»

«Elementalisti?»

«Già, quelli come me e Fannie, che controllano gli elementi.» Ma certo, aveva fatto apparire una fiammella dal nulla neanche due giorni prima.

Ci fermammo in prossimità di una porta. Non avevo fatto caso alla strada che avevamo percorso, sapevo solo che eravamo al secondo piano, in una zona sconosciuta. Dante la aprì ed entrammo in una stanza ricolma di libri e fogli rilegati in cartelline e fascicoli. Erano tutti posti ordinatamente in scaffali di legno grigio e sembrava che nessuno li aprisse da un po', ma i fogli che ne fuoriuscivano si mossero appena per la folata di vento che il nostro movimento aveva procurato.

Sul muro davanti a noi, gli scaffali si interrompevano, lasciando spazio a una scrivania del medesimo colore, due sedie girevoli dietro e un computer con uno schermo esageratamente grande. L'aria sapeva di quel particolare odore di carta vecchia degli uffici.

«Siediti lì e leggi il tuo libro. Non fare rumore e non darmi fastidio.»

Feci come mi era stato detto e in un attimo persi i contatti con la realtà, come mi succedeva sempre quando leggevo.

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