CAPITOLO 8

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Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in un letto sconosciuto, in una stanza completamente bianca, se non per le spesse tende verdi che non lasciavano passare le luci della strada. Ai piedi del letto, seduta su una sedia, c’era mia madre. Aveva gli occhi chiusi ma si poteva percepire la stanchezza dalle occhiaie e dai capelli arruffati. Provai a sollevarmi sulle braccia ma una fitta alla gamba mi bloccò. Avevo sulla coscia una fasciatura così stretta che quasi mi bloccava la circolazione. Mi portai le mani alle tempie quando venni colta da un improvviso mal di testa.

“Ehi…”

La tenda venne spostata da una folata di vento e i miei occhi brillarono quando riconobbi Leith. Neanche lui, però, era in ottima forma. Il suo sguardo stanco era circondato da un ciuffo corvino che ricadeva sopra le sopracciglia scure. Il volto era più pallido del solito e perfino la sua massa muscolare sembrava diminuita.

“Come va’?”

Parlava sottovoce, forse per non svegliare la mamma, forse per nascondere la stanchezza.

“Credo…un po’ meglio. Cosa è successo?”

“Un incendio.”

Rivissi in un lampo tutte le scene dell’incidente e l’elettrocardiogramma prese a suonare più velocemente.

“Samantha e Damy?! Dove sono?”

Leith mi posò una mano sulla testa, strofinandola delicatamente, per poi lasciarla scivolare sulla mia guancia e i battiti del mio cuore tornarono un po’ più regolari.

“Tranquilla, stanno bene.”

“Samantha è…un angelo vero?” Leith annuii debolmente.

“Ho visto un uomo! O forse era un demone! Davanti al bar poco prima che scoppiasse l’incendio, ci stava guardando ha sorriso e poi è scomparso.”

Il volto di Leith si rabbuiò. Velocemente lo descrissi quanto meglio mi era possibile.

“Una Salamandra…”

Strinse le braccia al petto.

“…devono averla mandata per finire il lavoro di Malec.”

Ci scambiammo uno sguardo intenso e carico di preoccupazione, al punto che vidi i suoi occhi schiarire.

“Tranquilla ci penso io.” Fece per uscire dalla finestra ma lo fermai, trattenendolo per il polso.

“No Leith, riposati. Ci penseremo quando sarai in condizioni migliori.”

Leith strattonò il suo braccio liberandolo dalla mia presa.

“Sono in perfette condizioni.”

“Ti prego.” Lo implorai.

“Sei senza ali e devi ancora riprenderti completamente dall’avvelenamento, non essere avventato e pensa a cosa succederebbe se ti ferissi gravemente.”

Lo vidi indugiare, dopo di che rinunciò a uscire, e si appoggiò con la schiena alla finestra.

“Allora che soluzione proponi?”

“Fare buon viso a cattivo gioco.”

“E credere che tutto questo sia frutto di un semplice incidente in cucina?” Annuii

“A che scopo?”

“Avvantaggiarci. Potremmo preparaci per un prossimo attacco e nel mentre cercare informazioni.”

Leith aggrottò le sopracciglia. Non era troppo convinto, ma sapeva benissimo di non essere nelle condizioni per sostenere un combattimento, anche se non voleva ammetterlo. Con un mugugno la mamma si svegliò, e Leith sparì, prima che potesse assicurarmi la sua decisione.

“Alexa!” La mamma mi strinse a sé.

“Quando l’ospedale mi ha chiamata dicendoti che dovevi essere operata ho temuto il peggio!”

Si vedeva.

L’orologio appeso alla fredda parete segnava le 4 di notte.

“Cosa è successo alla mia gamba?” chiesi toccandomi da sotto le coperte la garza stretta.

“Dei vetri ti si sono conficcati nella gamba quando la vetrina è esplosa. O mio Dio Alexa!”

Si portò le mani in volto e iniziò a piangere.

“Devi essere stata così spaventata!”

“Si, lo ero, ma Samantha e Damy mi hanno aiutata, dove sono ora?”

“Damy è in questo stesso ospedale, hanno pensato che fosse meglio farle trascorrere qui la notte. Anche se non ha ferite gravi, ma solo qualche graffio, fatica a respirare a causa del troppo fumo.” Annuii.

Avevo bisogno di parlarle urgentemente, ma non con la mamma qui.

“Ora sto bene, vai pure a casa a riposarti, sono sicura che domani mi dimetteranno.”

Inizialmente non era troppo convinta, ma dopo varie rassicurazioni decise di tornare a casa e non appena fu abbastanza lontana saltai giù dal letto, e un po’ zoppicando, uscii dalla stanza.

Il corridoio lungo era ben illuminato, ma non so vedeva nessuno, neanche i dottori che avrebbero dovuto fare il turno di notte. Mi incamminai per il corridoio, leggendo il nome dei pazienti su ogni porta. Così ci avrei messo una vita, ma non avevo altra soluzione. Dopo circa un’ora avevo controllato tutto il piano, ma di Damy nessuna traccia. Decisi di scendere al piano inferiore. Con la gamba zoppa che mi ritrovavo optai per l’ascensore. Stavo quasi per raggiungerlo quando vidi le porte chiudersi.

“Aspetti!” Urlai aumentando il ritmo dei miei passi zoppicanti.

Le porte si riaprirono velocemente.

“Alexa!” Con mia sorpresa notai che si trattava proprio di Damy.

“Sono venuta per parlarti ma non ti ho trovata in camera.” Disse mentre io entravo nell’ascensore.

“Si, anche io volevo parlarti.”

Damy schiacciò il pulsante per il secondo piano.

“Riguardo all’incidente…ecco io…”

“Non devi spiegarmi niente. Sei una Preda, lo so.” Spalancai gli occhi per lo stupore.

“Anche io ero come te.”

Non ebbi il tempo di reagire a quelle parole che la luce dell’ascensore si spense, e la spia d’emergenza si accese. Un sussulto improvviso ci fece capire che l’ascensore si era bloccato tra un piano e l’altro.

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