CAPITOLO 7

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Qualche giorno dopo incontrai Samantha e Damy, e come promesso, le scortai per la città.

“C’è qualcosa in particolare che vorresti vedere?” Chiesi a Damy, cercando di coinvolgerla. Con mia sorpresa rispose, anche se bisbigliando.

“Fiori.”

“C’è un fioraio in centro, possiamo andare. Qual è il tuo fiore preferito?” Chiesi cercando di mantenere viva la conversazione, mentre Samantha, sorridente, si guardava intorno.

“L’adonide.”

“Non l’ho mai sentito. Com’è?”

“Un girasole, ma senza semi.”

Annuii, felice di aver trovato un argomento di cui discutere.

“E come mai ti piace?” Continuai.

“Damy è un’appassionata del linguaggio dei fiori.” Intervenne Samantha.

“Allora cosa simboleggia l’adonide?” chiesi realmente curiosa.

“Un ricordo doloroso.” Rispose Damy, nuovamente cupa.

“È un fiore particolare, non so se il fioraio lo avrà, è un negozio piuttosto piccolo, però al ranch dei nonni, in primavera, ci sono fiori di ogni tipo. Una volta potreste venire, sono sicura che vi piacerebbe.”

Samantha annuì con vigore, sorridendo, mentre Damy accennò un lieve si con la testa, che fu più che sufficiente per farmi felice.

Dopo aver camminato per un po’, decidemmo di concederci una fermata in un bar, per prendere qualcosa di caldo e smorzare il freddo di fine ottobre. Andammo in uno dei bar più famosi della città, di quelli con all’esterno, delle grandi vetrate, decorate da piante sintetiche, e all’interno, divanetti in pelle. Optammo per un tavolino discreto, nell’angolo del locale, dal quale si aveva una vista completa sulla strada. Ci accomodammo sui divanetti in pelle bordeaux e, non appena la cameriera ci raggiunse, ordinammo due the e una cioccolata calda per Damy, che avevo scoperto avere il debole per i dolci. Iniziammo a parlare del più e del meno in attesa che ci servissero, quando sentii un brivido percorrermi la schiena. Mi guardai prima furtivamente intorno, nel locale, poi lanciai lo sguardo alla strada, e fu allora che lo vidi. Un uomo alto, muscoloso, pelato, con la carnagione olivastra e gli occhiali da sole scuri, se ne stava in piedi al centro della strada a fissarmi, senza neanche provare a nascondersi, stretto in un cappotto scuro lungo fino ai polpacci, ma fin troppo leggero per quel clima. Lo vidi incassare il mento nel collo e accennare un ghigno che mi fece accapponare la pelle.

“Non mi sento molto a mio agio, cambiamo bar.”

“Sono d’accordo.” Damy era più cupa del solito, stretta tra le spalle.
Feci per alzarmi, ma Samantha mi bloccò.

“Ma cosa dici, questo posto è fantastico, e oramai abbiamo già ordinato.”

Rendendomi conto di non poter obiettare tornai a sedermi e lentamente rivolsi lo sguardo alla strada. L’uomo misterioso era sparito.

Un rumore assordante mi aveva chiuso le orecchie. I tavoli erano ribaltati. Le sedie rovesciate. Il pavimento, rovente, coperto di macerie. Il fumo asfissiante. Le fiamme cocenti. Era bastato un attimo, un attimo per far scoppiare un incendio, che ora divampava per tutto il locale, corrodendolo. Le persone urlavano e correvano in modo disordinato. Molte erano riuscite a uscire dalla porta principale, ma ora che il calore aveva fuso la serratura, molte altre erano uscite frantumando una vetrata, e aumentando inevitabilmente la portata della voracità del fuoco. Io ero a terra, con la testa rivolta verso la vetrata, schiacciata tra il divanetto bruciato e il tavolino ribaltato. Avevo delle macerie sparse sui vestiti. Il corpo era immobile, e si rifiutava di rispondere a qualsiasi comando. La testa mi sbatteva insopportabilmente. Gli occhi, chiusi, mi bruciavano, assieme alla gola e ai polmoni. Dei colpi di tosse scossero il mio corpo inerme.

“Alexa!” Era la voce di Samantha.

Aprii lentamente e con molta fatica gli occhi, incrociando lo sguardo di Samantha preoccupata. Aveva il volto coperto di polvere, e si teneva una mano davanti la bocca per respirare meno fumo. Improvvisamente il suo sguardo si spostò sulla vetrata alle mie spalle. La vidi spalancare gli occhi e capii che sarebbe scoppiato da un momento all’altro. Strizzai gli occhi preparandomi a ricevere l’impatto, ma non accadde nulla. Quando li riaprii vidi un paio di ali bianche sopra la mia testa, come a farmi da scudo. In un'altra occasione sarei rimasta a bocca aperta. In quel caso però, la mia attenzione si concentrò alla trave che reggeva il soffitto, che stava venendo arsa dalle fiamme, scricchiolando. Il mio incubo stava prendendo vita. Il mio respiro divenne più affannoso e i miei polmoni vennero invasi dal fumo. Gli occhi iniziarono a lacrimare per il calore e per il terrore che mi aveva avvolta. Le fiamme aumentarono mentre Samantha cercava di sollevarmi, ma il mio corpo non bruciava. Attorno a me si era formata una bolla luminescente che teneva lontano il calore emanato dal fuoco. La collana mi stava salvando di nuovo. Ma questa volta solo il ciondolo non sarebbe stato sufficiente per impedire alla trave di colpirmi. Gli occhi non restavano aperti e il corpo era abbandonato a se stesso. Sentivo solo Samantha che ripeteva il mio nome.

“Alexa!”

Due braccia forti mi avvolsero con decisione, ma con delicatezza. Sentii il mio busto sollevarsi dal pavimento rovente e appoggiarsi ad una superfice che si sollevava e abbassava più volte, al ritmo affannato di un respiro. Il pulsare di un cuore mi rimbombava nella testa. Sentii un rumore legnoso, paragonabile allo sradicamento di un albero, e le braccia mi strinsero con più forza, poi un tonfo sordo sul pavimento. La trave era caduta.

“Mi occupo io di Alexa.”

Sentii Leith dire, mentre mi sollevava da terra, continuando a chiamarmi ripetutamente. Ma ero come un corpo morto, il cui braccio penzolava nel vuoto.

“Merda! Alexa!”

Poi il fuoco ebbe il sopravvento e mi abbandonai alle  tenebre.

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