41 - Heart of Darkness

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Era giunto il momento. Aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornato indietro. Quella era l'occasione perfetta, la notte perfetta: erano insieme, all'apice del loro successo, prossimi all'ultima tappa del Grand Tour: Venezia, la città romantica per eccellenza. Sarebbe uscito di scena in quell'occasione, senza dover rompere con loro. Niente più bugie, niente più segreti. E loro l'avrebbero ricordato per sempre come membro del loro inarrestabile trio e, soprattutto, non sarebbe più stato d'intralcio alla loro felicità. Al contrario, il loro legame si sarebbe cristallizzato nel tempo divenendo eterno, così come il loro viaggio. Il viaggio più bello della sua vita non poteva che concludersi nella città più bella con la compagnia più bella. Se non avessero toccato l'ultima tappa, quel viaggio memorabile non sarebbe mai tramontato.

Ci aveva provato davvero, fino alla fine. Aveva tentato anche quella sera di far confessare a Jem i suoi sentimenti per Sara, ma senza successo. A quel punto non gli restava più molto da fare. Era rientrato in cabina con loro e con loro aveva ripetutamente brindato ai loro diciotto anni. Aveva aspettato che l'alcol facesse il suo corso e che i due si addormentassero, così da poter agire indisturbato. Si sentiva frastornato ma non abbastanza da fermarsi o, tantomeno, da ripensarci. Aveva steso su di loro una coperta leggera recuperata da un armadietto e aveva recuperato il suo bicchiere che aveva riempito di quel distillato micidiale. Poi si era voltato a guardarli per un'ultima volta, teneramente stesi l'una sull'altro.

Avrebbe tanto voluto dirgli addio, dirgli quanto li amava e quanto avessero reso meravigliosa la sua vita... ma non voleva svegliarli. Non doveva svegliarli. Era così che voleva ricordarli: uniti e sognanti. "Non smettete mai di sognare" gli disse con la voce della mente che nessuno, a parte lui, poteva sentire.

Uscì dalla cabina e percorse a passo lento il ponte, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca e salmastra della notte. Si avvicinò al bordo dell'imbarcazione per ammirare Venezia, quella città magica che aveva sedotto generazioni di artisti di tutto il mondo. Un'intera città che galleggiava su quella laguna scura in cui era impossibile distinguere il confine tra cielo e mare, se non per i languidi riflessi delle luci artificiali sulla superficie dell'acqua. Era tutto così surreale...

Avrebbe voluto perdersi in quel mondo surreale. Avrebbe voluto non ricordare.

Ma il ricordo di quella notte a casa di Sara non smetteva di tormentarlo. Aveva provato a passarci su, a rimediare, a sfogare l'angoscia che gli serrava il cuore sulle pagine del suo diario. Ma niente poteva alleviare il senso di colpa che sentiva addosso e che lo opprimeva fino a togliergli il respiro. Niente gli sembrava più lo stesso da allora.

E se avessero letto le sue memorie? Poco importava ormai. Quel che era fatto era fatto. E poi, non tutto di quella notte era stato scritto. Non era riuscito neanche a confessarlo sulla carta, tanta era la vergogna che provava. Forse era stato un bene: certi ricordi andavano semplicemente tenuti dentro, sepolti nelle pieghe più profonde del proprio essere.

Chiuse gli occhi e chinò il capo mentre le immagini di quella notte tornavano a perseguitarlo. Lui e Jem si erano fermati nella semi oscurità di quel corridoio di fronte a lei, schiena contro il muro, le dita intrecciate alle loro. Erano così eccitati e disinibiti... Avevano cominciato ad accarezzare il corpo di Sara e a scambiarsi sguardi infuocati. In quel vortice di desiderio incontenibile, lei gli aveva poggiato una mano sul petto, aveva stretto la sua maglietta tra le dita e lo aveva baciato, ancora e più bramosamente di prima. Lui aveva ricambiato senza esitazione, sentendo crescere dentro una creatura sconosciuta e incontrollabile.

Dopo quello che gli era parso un battito di ciglia, lei aveva interrotto quella dolce unione e si era voltata verso Jem: si erano fissati un istante e poi si erano baciati a loro volta, con sentimento, le mani l'uno tra i capelli dell'altro. E mentre loro si baciavano, lui aveva preso a percorrere il collo di Sara con le labbra e a sfiorare il suo profilo, sentendola accendersi sotto le carezze sue e di Jem. I suoi gemiti di piacere avevano stregato i loro sensi come il canto di una sirena. L'avevano baciata avidamente contro quella parete, rapiti dalla sensualità del suo corpo e da quella pelle delicata che sapeva di gelsomino. In quel frammento di mondo c'erano solo loro. Erano nel loro mondo, un mondo da sogno, fuori dal tempo e dallo spazio.

D'un tratto, la sua mano e quella di Jem si erano scontrate sul seno di Sara. A quel tocco si erano staccati d'istinto da lei, come attraversati da un'improvvisa scossa, e si erano scrutati con un misto di confusione e disagio, frastornati dall'alcol e da emozioni contrastanti.

Allora aveva fatto ciò che mai avrebbe osato fare a mente lucida. Con estrema lentezza, il corpo traboccante di desiderio, si era avvicinato a quel viso così intrigante di cui conosceva ogni singolo particolare, finché non ne aveva sentito il respiro concitato. Dopodiché si era spinto con audacia contro la sua bocca, la schiena percorsa da un forte brivido, il cuore sottosopra.

L'aveva fatto: aveva baciato Jem. Lo aveva baciato proprio lì, sotto gli occhi della loro incantevole musa. Jem si era lasciato travolgere da quell'inatteso bacio e aveva ricambiato a sua volta, prima con titubanza poi con crescente coinvolgimento. Questo non fece che alimentare quella voglia tremenda che covava dentro e che più volte si era costretto a reprimere. Ma adesso erano lì, tutti e tre, senza filtri e senza maschere, e lui non voleva più reprimere quella voglia. Mosso da quella convinzione, aveva allungato la mano dietro la nuca di Jem e l'aveva attirato con decisione a sé, annegando nel piacere che il contatto con la sua bocca e il suo corpo gli procurava. Si era sentito finalmente libero: libero di esporsi senza paura di essere giudicato. Era il suo momento, il suo qui e ora, e nessuno poteva portarglielo via.

Quando entrambi avevano riaperto gli occhi, ansimanti e sconvolti dall'intimità di quei gesti, Sara li aveva presi dolcemente per mano trascinandoli su uno dei divani del salotto. Lì avevano proseguito, in un'atmosfera quasi onirica, quell'intenso scambio di effusioni.

Dopo qualche minuto Jem, sopraffatto dal peso dell'ebbrezza, era crollato al loro fianco. Adesso erano solo lui e Sara. Avrebbe potuto averla tutta per sé, riuscì solo a pensare la sua mente offuscata dall'alcol e dall'euforia. Era un'occasione troppo invitante per lasciarsela sfuggire...

Istintivamente, l'aveva fatta alzare e l'aveva trascinata in camera sua. Lì, tra un bacio e l'altro, le aveva sfilato il vestito di dosso; lei aveva fatto altrettanto con la sua t-shirt. Lo stato di semi incoscienza in cui versavano e la reciproca attrazione fisica rendevano tutto incredibilmente facile e spontaneo. Il contatto della loro pelle nuda e calda non fece che accrescere l'eccitazione. L'aveva fatta sdraiare sul letto cospargendole il corpo di baci roventi. Arrivato all'altezza del ventre, sentì scivolare via la mano di lei dai suoi capelli e ricaderle con un tonfo sordo lungo il fianco. Alzò lo sguardo e si accorse che anche Sara si era addormentata. Si fermò ad ammirare la deliziosa creatura stesa sotto di lui, soave come un angelo, inerme come una bambina. L'improvvisa consapevolezza di ciò che stava per fare lo scosse dal torpore in cui era sprofondato come una doccia fredda.

Che diamine gli era preso? Se lei non si fosse addormentata, fin dove si sarebbero spinti? Erano consapevoli di quello che stavano facendo?

Si era staccato da lei e, lottando con la nausea e il forte mal di testa, era riuscito a rivestirsi; aveva poi recuperato un pigiama dal cassetto del comodino, glielo aveva infilato a fatica e l'aveva coperta con un lenzuolo. Aveva dato un'ultima, rapida carezza al viso della sua musa dormiente prima di chiudersi la porta alle spalle, pregando che al risveglio non ricordasse nulla di tutto ciò. Poi aveva raggiunto il salotto e si era accasciato sul divano libero nascondendo il volto sofferente tra le mani, vergognandosi come un ladro mentre fissava angosciato il divano occupato da Jem, il quale dormiva pesantemente, ignaro di quello che il suo migliore amico stava per fare con la ragazza dei suoi sogni.

Quella notte, senza farsi tanti scrupoli e con la complicità dell'alcol, aveva messo da parte tutti i suoi nobili sentimenti per soddisfare le sue voglie più nascoste, pur sapendo cosa Jem provasse per Sara e approfittando del forte ascendente che aveva su di lei. E poi c'era stato quel bacio con Jem: quel fuoco segreto che lo logorava dentro, quell'attrazione fatale che non poteva ignorare e alla quale non aveva saputo resistere...

Erano già passati parecchi mesi da quando aveva scoperto di provare per Jem qualcosa che andava oltre l'amicizia che li legava dall'infanzia. Era un sentimento profondo, viscerale, che non faceva che crescere in lui come una creatura dotata di vita propria. E più quella nuova forma di attrazione cresceva, più lui ne era spaventato.

Non aveva avuto il coraggio di confessare agli amici quella parte di sé. Non voleva neanche accettarla quella parte di sé, figuriamoci condividerla. Avrebbe inevitabilmente compromesso il loro rapporto, ne era certo. Loro non dovevano sapere, non potevano sapere quali segreti e paure infestassero il suo cuore.

Non potevano sapere che il mattino dopo la festa, quando aveva ricordato l'accaduto ed era corso a casa con la scusa di avere un impegno, in realtà era rimasto chiuso per tutto il giorno in camera sua. Aveva tirato fuori dai cassetti album e raccoglitori, sfogliando con mani tremanti decine e decine di ritratti del suo migliore amico fatti a sua insaputa e mai mostrati: Jem annoiato a lezione, Jem intento a scrivere poesie, Jem chino su un libro, Jem pensieroso, Jem addormentato sul suo letto dopo una delle loro nottate a base di pop corn, Play e serie tv... immortalato in quella languida posa debolmente illuminata dalle prime luci del mattino.

Indugiare su quegli occhi neri e malinconici e su quel profilo tagliente, tracciato così minuziosamente dalla sua mano, non fece che peggiorare il suo stato d'animo. Aveva ripensato a quanto fosse bello stargli accanto, sorridere alle sue battute pungenti, sentirlo lamentarsi di tutto e tutti com'era suo solito, fargli compagnia quando si sentiva solo, rispettare i suoi silenzi, dargli consigli, lasciarlo sfogare quando era arrabbiato o giù di morale. Avere accesso ai suoi pensieri, sapere di essere la sua spalla, di essere per lui la figura più prossima a un fratello che si potesse immaginare gli stava bene: avrebbe continuato a stare al suo fianco come sempre, facendo tesoro di ogni singolo istante trascorso insieme. Ma anche questa speranza pareva essere sfumata da quando Jem si era invaghito di Sara e aveva preso gradualmente le distanze da lui, trattandolo come un vero e proprio rivale in amore. E poi c'era stata la follia di quella notte che rendeva tutto ancora più insensato e arduo da superare.

Con la consapevolezza di non poter tornare indietro, aveva strappato uno per uno con le lacrime agli occhi quei disegni su cui aveva indugiato fin troppo e li aveva gettati con rabbia nel cestino; poi si era accasciato sulla scrivania e aveva pianto fino allo sfinimento.

Chi era William De Santis? Che cosa gli stava succedendo?

Non si riconosceva più. Si sentiva una persona orribile. Era una persona orribile. Loro lo credevano un angelo, lo credevano perfetto. Ma non lo era: come tutti, anche lui aveva le sue colpe e le sue debolezze. Non meritava di essere loro amico, non più, non dopo quello che aveva fatto. Non aveva altra scelta. Sarebbero stati meglio senza di lui.

Will abbassò lo sguardo sul bicchiere di vetro che stringeva tra le dita intorpidite dalla brezza notturna. Era giunto il momento. Non voleva più svegliarsi con quel senso di colpa. Doveva porre fine a quell'inferno. Bevve senza fermarsi, sentendo quel veleno scendergli giù per la gola e infiammargli il corpo e la mente. Strizzò le palpebre e scrollò il capo appoggiandosi tossicchiante al corrimano; dopodiché allungò il braccio davanti a sé e lasciò che il bicchiere vuoto scivolasse via dalla sua mano e venisse inghiottito dalle acque nere come la notte.

Una lacrima rigò il suo viso, infinitamente bello e triste, bagnandone le labbra da cui uscivano dolorosi sospiri. Chissà, forse era così che si sentivano le anime traghettate lungo l'Acheronte. Gli parve quasi di sentirle sussurrare il suo nome dall'altro mondo. Dopotutto, anche lui era un'anima in pena.

Stava delirando. 

Scosse di nuovo il capo e quando si passò una mano sugli occhi lo sguardo gli cadde sul triangolo tatuato sul suo polso: l'unico imbuto che vedeva ora era uno diviso in tanti gironi. In quale di questi sarebbe finito? Ne individuò almeno tre, prima di essere travolto da un capogiro lancinante e da singhiozzi incontrollabili.

«Niente paura. Chiudi gli occhi,» gli disse una voce suadente e familiare dentro la sua testa «fai un bel respiro e svuota la mente.» Fece come gli era stato detto. Poi si sedette sul corrimano, rivolgendo il corpo verso l'esterno, fissando la nebbia umida e fumante a pelo d'acqua sotto i suoi piedi. Venne travolto da un'improvvisa e gelida folata di vento che gli provocò brividi in tutto il corpo. A pochi metri da lui si schiudeva un regno imperscrutabile, una spaventosa e allettante promessa di libertà.

«Niente paura,» gli ripeté incoraggiante la voce «il segreto è non guardare giù. Al mio tre. Uno... due... tre!»

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