42 - A Poem for You

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Due figure varcarono il cancello del cimitero cittadino di Oderzano avanzando l'una a fianco dell'altra. Erano due giovani: lei con un vestitino nuovo dai vivaci motivi floreali, sandali ai piedi, trucco leggero e una treccia bionda che scendeva lungo la schiena; lui, più alto, in camicia e pantalone nero come il ciuffo che gli ricadeva scomposto sugli occhi cupi e segnati da ombre profonde. Percorsero svariati vialetti finché non si fermarono di fronte a una lapide bianca sommersa di fiori, sorreggendosi a vicenda come se portassero sulle spalle tutto il peso del mondo.

Su quella lapide, sormontata da una colomba, il nome della persona il cui corpo riposava per sempre sottoterra: William De Santis. Sotto al nome e alle date di nascita e morte era inciso uno degli ultimi aforismi di Will:

Cos'è l'arte se non espressione di libertà?

Era passato quasi un anno dalla tragedia. Un anno nel corso del quale era stato detto di tutto sulla sua morte. Come poteva il mondo sapere? Come potevano sapere la verità dietro la sua morte? Come potevano sapere che il suicidio di Will era stato un atto di estremo amore e libertà? Semplicemente, non potevano. Will si era tolto la vita nella convinzione di liberarsi dal rancore per quello che aveva fatto ai suoi migliori amici, garantendogli la possibilità di essere felici e serbare integro il ricordo della loro amicizia.

Sara si fece avanti e depose il suo mazzo di gigli bianchi sulla pila di fiori attorno alla tomba. Jem invece poggiò sulla lapide un piccolo volume contenente le loro nuove poesie dal titolo: "A POEM FOR YOU".

«Speriamo che ti piacciano. Le abbiamo dedicate a te» disse Jem rivolto alla foto del suo migliore amico. «Il ricavato delle vendite finanzierà il concorso artistico-letterario in tuo onore che partirà l'anno prossimo a scuola.»

«Esatto. Ci siamo impegnati per fare del nostro meglio... e ci siamo cimentati anche con l'inglese» aggiunse Sara che subito si rivolse a Jem, chiedendogli emozionata: «gliene leggiamo una?».

«Certo» Jem riprese il libretto e lo sfogliò; poi mostrò una pagina a Sara, la quale fece un cenno d'approvazione. Lessero ad alta voce la poesia che avevano scritto a quattro mani:


The Memory of You


The flashes and fortune

The praise and human vanity

Don't touch your heart,

Fresh and pure like a blossom.

You dreamed of high mountains to climb

Wild lands and ruby sunsets to paint.

Everything you touched turned into gold,

A gift to the world was your smile

A daring angel born for honour and glory.


But you flew too high

And the sun burned your wings.

Since then, we find no peace

Wondering why you drown your soul.

A fall from grace?

An escape from reality?


Still the memory of you, time won't erase

Still the faith in our dreams won't fade.

'Cause we are the blessed ones,

The tireless art seekers,

Dressed in a paper armour,

The skin covered with old and sacred ink

Smelling of lily and roses.

Still the story of our brightest days will last

Like your light inside us:

A portrait of freedom,

A legacy of beauty and hope.


Jem chiuse il volumetto e lo passò a Sara che lo ricollocò sulla lapide. Quando fu vicina alla foto di Will, allungò d'istinto la mano sulla sua immagine sfiorando con le dita quel volto tanto adorato, bello come un angelo. Strinse le labbra e si risollevò, tornando accanto a Jem.

«Gli esami di maturità sono andati alla grande, siamo usciti con il massimo» dichiarò Sara con voce sommessa ma fiduciosa. «È stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. I prof sono stati super disponibili, ci hanno supportati tanto. E anche i nostri compagni ci sono stati vicino.»

Jem annuì e proseguì. «Quest'anno abbiamo dovuto fare la tanto temuta scelta post diploma. Ci abbiamo riflettuto su parecchio e, alla fine, abbiamo deciso di frequentare la University College London: dicono sia un'ottima università e i corsi di letteratura sembrano interessanti. Abbiamo presentato tutti i titoli e certificati richiesti. Se tutto andrà bene, a settembre ci trasferiremo a Londra.»

«E poi... c'è un'altra cosa che volevamo dirti» continuò Sara, lanciando uno sguardo esitante a Jem, che le rispose allungando la mano e intrecciandola alla sua. I tatuaggi sui loro polsi si sfiorarono in quella stretta salda e complice.

«Noi... ehm,» esordì Sara, schiarendosi la voce «noi stiamo insieme. Da qualche giorno» dichiarò infine con espressione fiera.

«Nove» ci tenne a precisare Jem, rivolgendo un mezzo sorriso a Sara e poi alla foto di Will.

Era successo il giorno in cui avevano pubblicato i risultati dell'esame di maturità. Quel mattino, non appena avevano letto sulla bacheca all'ingresso che si erano diplomati col massimo dei voti, avevano esultato e si erano abbracciati con entusiasmo, sollevati dal peso di quell'anno tremendo che, comunque, si era concluso nel migliore dei modi.

Avevano sorriso sollevati, scambiandosi uno sguardo carico di mille parole inespresse. Poi Sara aveva stretto le braccia attorno al suo collo e si era protesa su di lui, annullando la distanza che c'era tra le loro labbra. Era stata come una burrasca in piena estate. Jem l'aveva attirata a sé baciandola con intensità mentre tutto ciò che li circondava svaniva. Era stata la sensazione più bella del mondo, lasciarsi avvolgere dal potere liberatorio di quel bacio e non pensare a nient'altro. Erano solo loro due, insieme, finalmente liberi. Niente più ostacoli, niente più spettri. Solo un nuovo e luminoso inizio si stendeva davanti a loro.

In verità, un'inconfessabile ombra restava nel cuore di Jem, e lì decise che sarebbe rimasta. Il segreto che Will aveva confessato sulle pagine del suo ultimo diario, il motivo che l'aveva spinto al suicidio. Quel segreto non sarebbe mai uscito dalla bocca di Jem, se lo sarebbe portato dritto nella tomba. Sara si era finalmente ripresa, stava andando avanti con la sua vita; era riuscita, con non poche lacrime e sforzi, a risollevarsi dallo stato depressivo in cui era precipitata dopo la morte di Will. Non sarebbe sopravvissuta a quella verità. Si sarebbe sentita in qualche modo responsabile dell'accaduto e avrebbe vissuto nel dolore e nel senso di colpa per sempre.

Si voltò verso di lei: stava piangendo in silenzio, lo sguardo fisso sulla lapide. Le passò un braccio attorno alle spalle e le lanciò uno sguardo eloquente. Lei batté le ciglia intrise di lacrime e annuì accennando un sorriso timido. Così recitarono insieme, con voce chiara e solenne, il loro Manifesto dei giovani poeti romantici.

Dopo il dramma della morte di Will e la lotta per ritrovare la pace perduta, a distanza di un anno, quelle parole riecheggiavano nell'aria quasi come un inno alla speranza.

"Mi prenderò cura di lei", promise silenziosamente Jem all'amico. Fissò a lungo la foto del ragazzo sorridente incastonata sulla lastra di marmo bianco davanti a sé: era il suo migliore amico, la persona migliore del mondo. L'eterno ragazzo.

Sì, perché essendo nato la sera del 18 agosto Will in realtà era morto prima di compiere i fatidici diciotto anni. Aveva fermato per sempre il suo tempo in quell'età felice che precedeva il tanto atteso e temuto passaggio all'età adulta. Che ne fosse consapevole? Chi poteva dirlo.

Jem si voltò e ammirò la donna straordinaria al suo fianco, alla quale regalò un sorriso rassicurante. Dopo tanto tempo finalmente glielo aveva detto: le aveva detto che l'amava e che, in fondo, l'aveva sempre amata. Alcuni poeti cantavano l'amore come uno stato di grazia e beatitudine. Il suo amore per Sara era stato tempesta e mare in burrasca. Eppure, non avrebbe sostituito lo struggimento vissuto sulla sua pelle con una storia idilliaca che non gli apparteneva.

Ora Jem non doveva più nascondere a Sara i suoi sentimenti. Ironia della sorte, doveva ringraziare Will per quello: aveva capito di cosa entrambi avessero bisogno, li conosceva meglio di quanto loro conoscessero se stessi. Jem gli era grato per quello, ma allo stesso tempo non si dava pace per il prezzo che aveva scelto di pagare per il loro bene, per dimostrare loro la sua incondizionata lealtà. Avrebbe voluto accorgersene prima, avrebbe voluto essere lì per lui quando più ne aveva bisogno. Ma ormai era troppo tardi.

Pensò allo scambio di battute dell'anno precedente. «Tu hai qualche rotella fuori posto, amico,» gli aveva detto Jem confuso «a volte faccio fatica a capirti.» Will lo aveva fissato intensamente per qualche secondo, poi gli aveva risposto: «Vedi, Jem, la compassione è un sentimento nobile... ma senza l'azione non serve a nulla, è fine a se stessa».

Forse persone come Will erano così speciali che, semplicemente, era impossibile conoscerle fino in fondo, anche se ci eri cresciuto assieme.

Certo che la vita è strana, rifletté Jem con espressione triste fissando le sue dita intrecciate a quelle di Sara e i triangoli tatuati sui loro polsi. Non possiamo mai sapere cosa ci riserva. Dobbiamo imparare ad apprezzarla finché possiamo, perché basta un attimo e ci è già sfuggita di mano.

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