31 - In gabbia

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– Mi scusi se disturbo...-

L'uomo dalla maschera sul volto si girò quando sentì la voce in un eco del Salir che aveva portato nel suo covo da mesi e mesi, attendendo che continuasse la frase lasciata fastidiosamente in sospeso. Però, come poteva sapere il ragazzo che lo stesse ascoltando da dove era?

Si trovava dall'altra parte di quella che era una porta di roccia che conduceva ad una stanzetta da cui riusciva comunque ache però permetteva di ascoltare i suoni esterni. Questo perché lui aveva bisogno dell'oscurità assoluta di tanto in tanto e si era creato una piccola stanza nella roccia accessibile solo a lui.

– Astor è tornato.– continuò il giovane, sul suo volto apparve un ghigno soddisfatto e si avvicinò all'entrata, toccando la superficie ruvida e fredda. In breve fu fuori dal suo rifugio personale, il giovane Gray fuori ad attenderlo un po' agitato.

– Ebbene?– chiese.

– La stanno rinchiudendo, signore.– rispose subito abbassando lo sguardo. Sentiva in lui un senso di colpa e pentimento, evidentemente non gli piaceva tutto ciò e la cosa non gli era nuova, numerose volte aveva percepito in quel ragazzo codeste sensazioni. Per quello gli prese il volto permettendogli di sentire la sua pelle fredda. Gray se ne spaventò, dubitò anche che quella persona potesse essere viva.

– Non puoi tirarti indietro, ragazzo. Lo sai questo, un patto è un patto, specie quelli di sangue.– gli disse l'uomo lentamente e subito annuì.

– Sì signore. Mi scuso per questo.–

– Molto bene, portami dagli altri.–

Gray non se lo fece ripetere e lo condusse subito tra i vari corridoi nascosti sotto la solita locanda, nonché l'unico luogo in cui le fondamenta era costituite da una strana aura che permetteva di nasconderne qualsiasi altra impedendo a chiunque di intercettarle. Posto perfetto per non essere scoperti, peccato che lo avessero trovato solo svariati anni prima o, forse, il Demone non sarebbe stato sconfitto.

– Oh, eccovi. Stavamo giusto sistemando l'ospite.– ghignò Hariz quando li vide avvicinare. Gray invece notò Astor dietro di lui, o per meglio dire il corpo della giovane donna che teneva tra le braccia priva di sensi. Nessunoi di loro l'aveva mai vista da così vicino e ne rimasero incantati, specialmente il più giovane, dalla sua bellezza. La sua pelle era più pallida di quando l'aveva vista prima di allora quando l'aveva spiata. I suoi lunghi capelli bianchi dovevano essere così morbidi, il suo corpo profumava di buono, era così rassicurante e sembrava di essere a casa. Probabilmente fu l'unico a pensarlo guardando le smorfie nei volti dei suoi colleghi.

– Tsk! Non riesco a sopportare la sua presenza, possiamo sbrigarci?– brontolò Flyn con odio per l'appunto. Il capo fece cenno ad Astor di lasciarla nell'angusta cella creata apposta per lei alle sue spalle e lui eseguì, poggiando il corpo sempre più freddo della Dea che erano riusciti a catturare.

– Ci ha detto che è stata male, non ha dovuto usare la freccia velenosa per stordirla.– avvisò Hariz parlando per Astor, il muto, rivolgendosi al suo superiore il quale ridacchiò.

– Sta facendo effetto, non preoccupatevi. Vorrei passare un attimo a studiarla se non vi spiace.–

Nessuno disse più nulla e si allontanarono da quel luogo mentre il capo si avvicinò al corpo della ragazza inerme, accucciandosi e osservandola attentamente in ogni dettaglio, voleva che ogni suo linemento armonioso gli entrasse in testa per non dimenticare nulla. Ad essere sinceri ne rimase un po' affascinato, non aveva potuto immaginare che quella donna fosse di una bellezza pura da poter colpire persino lui che difficilmente si impressionava.

– Non mi sorprende che tu abbia fatto cadere ai tuoi piedi persino la Dea Nera ora che ci penso. Avrei tanto voluto vedere lei per prima ma... sarebbe stata troppo pericolosa per me. Direi che è meglio tenerla a bada catturando colei a cui tiene. Tu cosa ne pensi?– disse come se la prigioniera avesse potuto sentirlo. Poi, curioso, l'uomo mascherato provò a toccarle il volto ma ritrasse all'istante la mano appena sentì la pelle bruciare, si stupì di vedere delle ustioni abbastanza gravi su essa solo per quel gesto semplice.

– Questo è dunque l'effetto che mi fai? E invece...–

Provò di nuovo a toccarla e non accadde più nulla, non ci fu alcuna ferita sul suo corpo e ridacchiò.

– Scommetto che la tua aura percepisce ciò che ti è pericoloso anche se priva di sensi. O forse è altro a proteggerti? Vediamo.–

L'uomo passò una mano sul suo volto e comparve la piuma nera tra i suoi capelli candidi, lui all'istante se ne stupì e allo stesso tempo ne fu incuriosito oltre che, nella sua mente, iniziarono a scorrere svariate idee. Avrebbe potuto usare quella piuma per il suo scopo. Ma, appena provò a prendergliela, questa gli fece percorrere una scarica di energia su tutto il braccio provocandogli profonde ferite sanguinanti. Sgranò gli occhi colmi di ammirazione, era una cosa così innocua ma micidiale, gli piacque da impazzire.

– Quindi non posso prenderla, vero? Non fa niente, vorrà dire che continuerò nel mio piano senza. Ci vediamo, Dea. O forse no.–

Così, si rialzò in piedi, si sistemò la mantella sulle spalle e chiuse dietro di sé quella specie di porta di pura pietra con il sol pensiero, ritornando tranquillamente a camminare fino a quando non incontrò Gray, nuovamente, chiamandolo a sé. Era capitato lì proprio nel momento giusto.

– Sarà sotto la tua sorveglianza, e domani mattina porta all'ospite del cibo. Non vogliamo che ci prenda per maleducati, mostriamo comunque le buone maniere.– gli disse ridacchiando appena vedendolo annuire quando lo raggiunse.

– Farò il possibile per non deludervi, signore.– chinò anche il capo. Sembrava voler rimediare al suo aver tentennato quando era andato a dargli la fatidica notizia, e lui ne fu compiaciuto. Perciò, lo lasciò al suo posto come guardia e si diresse verso l'esterno dell'edificio. Una volta fuori si calò il cappuccio sopra la testa mantenendo il volto chino per evitare che le pochissime persone in giro per quelle strade malfamate potessero notare la maschera che indossava; camminò per qualche minuto in completo silenzio fino ad arrivare ad un vicolo deserto.

Si guardò attorno attento, poi schioccò le dita e venne avvolto da una nube nera, dopodiché si ritrovò ad Eathevyr come nulla fosse e respirò l'aria a pieni polmoni, sorridendo malignamente quando sentì odore di sangue nelle vicinanze. Ne seguì a quel punto la scia attraversando un vasto campo di fiori illuminati lievemente dalla luce lunare fino ad arrivare ad una piccola foresta avvolta dal buio della notte.

– Mh, interessante.– si disse quando si ritrovò di fronte a sé tre corpi morti di Yarix, le loro ali impregnate di sangue come i corpi e l'erba intorno a loro. Sembrò anche appassita, era possibile?

– Curioso, Shedan non mi ha mai raccontato di questo strano simbolo, né che loro lo possedessero.– pensò ad alta voce quando si accucciò notando che, sul collo di ognuno di loro, vi erano come incisi tre triangoli di colore viola e sembravano girare appena in direzioni opposte. Sapeva che, se vi erano delle ali grigie raffigurate all'interno di essi, indicavano il popolo di Eathevyr, se nere o bianche la Dea dalle ali del corrispettivo colore. Ma lì, non c'era altro che un cerchio diviso a metà, una parte colorata e l'altra no.

– Chissà che significa, ma non mi importa ora.–

Portò le mani al volto abbassandosi il cappuccio e passò a togliersi la maschera, lasciare che l'aria gli toccasse la pelle sentendosi più libero. Nel buio brillarono i suoi occhi, occhi particolari, e rimasero fissi sul sangue che toccò con le dita il quale fuoriusciva ancora dalle ferite dello Yarix a cui si era avvicinato. Prese anche dalla cintura una lama ben affilata e tenuta nascosta come sempre in caso di evenienza, iniziando a tagliare la carne della vittima all'altezza del suo cuore che ormai aveva smesso di battere da ore, prendendolo tra le mani con la fame che aumentava.

– Saranno passati mesi dall'ultima volta, se non fosse che mi servono quei Salir li avrei già fatti fuori mangiandoli anche vivi.– ridacchiò maligno prima di iniziare a mangiare avidamente, il sangue che gli colò dalle mani, dalla bocca, lungo il collo. Fece la stessa cosa con gli altri due, peccato che il senso di sazietà non lo colpì come spesso accadeva. Ormai ci aveva fatto l'abitudine.

– Chissà quando vedrò la Dea Nera, spero presto. L'eclissi si avvicina ormai.– mormorò osservando la luna piena sopra di sé con fare per niente amichevole.


"Passi, lontani ma al tempo stesso vicini. Passi come un eco nella sua mente, sentiti più e più volte. Era nauseante sentire le stesse cose ogni giorno alla stessa ora, dalla stessa persona. Un supplizio a cui si era abituato talmente tanto da fargli indifferenza. Era il suo destino, inutile scappare, inutile ribellarsi.

– Silenzioso anche oggi come sempre.– disse un uomo, una voce che pareva calda ma che non aveva niente a che fare con la vera personalità di quell'essere che ignorò.

– Guardami quando parlo ragazzino.–

Un ordine. Cosa se ne faceva lui? Se avesse ascoltato o meno le avrebbe comunque prese di santa ragione. Perché sprecare le energie quando poteva tranquillamente starsene rannicchiato in un angolo della sua piccola stanza che ormai era diventata la sua casa. Non che ne avesse le forze con il cibo scadente e marcio che gli rifilavano.

– Sei proprio un essere inutile!– alzò la voce l'uomo assestandogli un calcio facendolo muovere dal dolore, le sue ossa già incrinate così tante volte chiesero pietà. La sua mente, però, cercava di non badare alla sua richiesta di obbedire per la proprio incolumità, era stanco di vivere per essere solo picchiato da uomini annoiati la cui scusa per avercela con lui era che fosse un obrobrio, una creatura totalmente fuori dal comune, spaventosa, diversa.

– Meglio inutile che prendersela con chi non ha colpe solo perché è differente.– disse lui a fatica, l'aria umida e ammuffita a dargli fastidio come sempre. Fortunatamente, il buio l'aiutava a riprendersi per qualche strano motivo.

– Come osi!?

Un altro calcio, stavolta al volto che gli fece cadere un dente che venne sostituito da un altro qualche istante dopo, il sangue che sputò a terra tra le rocce già lerce delle ferite precedenti, il rumore di catene che si mossero quando cercò di mettersi a sedere un minimo per non rimettere l'anima.

– Non ho mai fatto niente di male, eppure mi punite. Voi, invece, ve la prendete con un innocente e vivete sereni e liberi.– disse ancora, stavolta fu un suono che tagliò l'aria ad arrivargli alle orecchie assieme al suo urlo disumano.

Doveva essersi abituato in quegli anni a quel dolore, ai segni che la frusta tenuta in mano dall'uomo dinnanzi a lui irato gli lasciasse su tutto il corpo. Eppure, ogni volta era come la prima, era solo il suo odio che cresceva a dismisura assieme ad una strana fame che si faceva viva quando veniva ferito. Probabilmente avrebbe dovuto stare fermo nel suo solito angolo a soffrire in silenzio ed aspettare che tutto passasse tranne la rabbia verso il suo destino ingiusto.

La sua vista non era esattamente delle migliori a causa del dolore, della stanchezza e debolezza, però gli parve di aver visto una figura prendere per un braccio il suo carnefice e portarlo oltre l'ingresso, poi un urlo strozzato. Addirittura sentì un battito rallentare fino a svanire. Che appartenesse ad un cuore? Non gli era nuova quella sensazione, gli ricordò la morte di sua madre per cui a stento possedeva dei ricordi.

Cercò di risistemarsi per quel che meglio riuscì, le catene alle caviglie, ai polsi e al collo gli impedivano di muoversi parecchio, per non parlare del suo corpo magrissimo, scheletrico, i suoi lunghi capelli scuri, la veste ridicola e pruriginosa che gli avevano concesso.

– Chi sei?– chiese a chiunque fosse entrato e si fosse messo dinnanzi a lui. Percepiva qualcosa di strano, lo sconosciuto sembrava possedere una forza mai percepita prima di allora, per non parlare del senso di appartenenza che sentì nel suo cuore.

– Posso essere la tua salvezza se lo vuoi.– disse di tutta risposta. Aveva capito bene? Che le botte prese negli anni lo avessere mandato verso la sua fine? La sua morte?

– Come faresti a liberarmi da qui? Sono circondato da guardie ovunque.– ringhiò, più per il male che gli scosse il corpo.

– Oh, non ti preoccupare. Ho i miei assi nella manica. Sono venuto qui per proporti un affare.–

– Nemmeno ti conosco.–

Lo straniero, perché lo era, il suo accento era strano, ridacchiò e si accucciò per arrivare alla sua altezza. Fu allora che riuscì a vedere che fosse anche lui un ragazzo, solo qualche anno più grande di sé e i suoi occhi erano... rossi. Lo erano per davvero? Chi era?

– Puoi rimanere qui fino alla morte, o seguirmi e allearti con me. Mi obbedirai, sarai la mia ombra, i miei occhi, le mie orecchie laddove io non potrò esserci.– gli propose come se nulla fosse.

– Dovrei essere tuo schiavo? Sei fuori di testa! Cosa pensi abbia fatto qui per tutti questi anni!?– gli urlò contro iracondo cercando di muoversi e colpiro, invano. L'altro invece sembrò essere più serio, non lo stava prendendo in giro.

– Non è la stessa cosa, saresti fuori da queste mura. E ti insegnerò cose interessanti che neanche immagini. Non sarai mio schiavo, sarai nostro alleato.–

Si fece confuso, si mosse un attimo volendosi sistemare meglio sulle ginocchia sbucciate innumerevoli volte. I suoi occhi rossi erano davvero ipnotici e familiari.

– Nostro?– domandò. Lo vide annuire.

– Il mio nome è Shedan, e non sei un abominio. Permettimi di portarti alla tua vera casa.

Rimase quasi pietrificato dalle sue parole, di cosa stava parlando? Per quale motivo gli porse una mano e lui, istintivamente, la accolse? Perché sentiva che il suo destino aveva cambiato rotta?"

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