32 - Fuoco e ricordi

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Chiuse la porta di camera sua lasciandosi abbandonare sul letto di quella stanza quasi in penombra come piaceva a lei, che la faceva sentire a casa. Non quella di Agraq, non l'avrebbe mai considerata tale quella casina di campagna, ma quel mondo che aveva visto qualche giorno prima per la prima volta, continuando a ritornare lì quasi ogni sera con la mente. Se non era durante le ore di meditazione di Enver, lo era in camera sua, dove cercava di capire perché quel mondo, che aveva chiamato più volte come gli Abissi Infernali, le fosse familiare. In più, voleva capire come mai non avesse più visto quelli occhi rossi strani. Così passava ore rinchiusa da sola senza darci troppo peso. L'unica cosa positiva di quel posto assurdo era che si era potuta tenere quella piccola stanza abbandonata, priva di schiamazzi e ragazzi insopportabili.

Sospirò ad un'altra giornata appena finita, il peso del dover tenere sotto controllo il proprio essere stava iniziando ad essere troppo stancante e ormai la cosa stava andando avanti da due settimane. Due settimane che se ne stava rinchiusa là dentro senza poter uscire e non ce la faceva più. Bramava il vento vero, che le scompigliava i capelli, sentire il terreno sotto i suoi piedi.

Ci aveva provato un paio di volte ad uscire scavalcando finestre, porte, cancelli, ma l'intero complesso aveva una barriera magica che non faceva uscire nessuno, nemmeno in mezzo a quel prato verde mosso da una lieve brezza che da lì non si percepiva minimamente. Quello rendeva quelle mura ancora di più una prigione. Forse era meglio starsene da Andreas o dove era cresciuta.

Fossi rimasta ad Agraq a quest'ora Marcus mi avrebbe già sbattuto fuori casa pensò fissando fuori dalla finestra, la luna nuova davanti a sé a farle compagnia in quel silenzio. Lei era nata quella esatta notte diciotto anni prima, o così avevano detto vari studi condotti dal Kafar.

Non sapeva come l'avessero scoperto con esattezza dato che non era semplice capire l'età di una neonata lasciata a morire in una caverna oscura. Supponeva avessero fatto svariate ricerche e incantesimi quando ancora il divieto dell'uso della magia era lontano per quella bambina. Perché sì, ci erano voluti anni per avere quella data che per molti ragazzi poteva essere un qualcosa per cui festeggiare, ma non per lei. Ogni anno significava essere controllata di più in quanto la sua energia cresceva.

Sospirò e si lasciò incantare dal cielo stellato, un cielo simile a quello che aveva visto da piccola quando nubi di fumo, urla e calore l'avevano avvolta, facendola sentire così fuori luogo in quel mondo, ma anche così potente e invincibile, come se nessuno potesse fare niente di fronte al suo potere. Accolse quel ricordo frammentato a cui non pensava spesso, lasciandosi abbandonare nel buio e ripercorrere ciò che aveva provato.

           

"Il tramonto ad Agraq segnava il momento in cui tutto finiva, durante la stagione fredda. I contadini tornavano a casa dai campi con l'ultimo raccolto, le botteghe chiudevano e salutavano gli ultimi clienti, i bambini erano costretti dalle madri a rientrare a casa, con tanto di lamentele e corse nel tentativo di strappare qualche altro minuto per giocare.

Era il momento che segnava l'arrivo di profumi di cibo, di spezie, di carne, le luci calde accese nelle case, gli ultimi momenti della giornata da passare in famiglia intorno ad un tavolo imbandito. Momenti che quella bambina di sette anni odiava.

Era tremendo passare la cena in mezzo a due bambini di quattro anni che cercavano in tutti i modi di metterla nei guai, di modo che rimanesse senza cibo ad esempio, o anche beccarsi una sgridata da Marcus che non avrebbe ascoltato comunque. Per quello ormai si era abituata a starsene fuori di casa quando arrivava quel momento. Sapeva che al resto della famiglia non sarebbe importato il fatto che non fosse in casa, d'altronde non era figlia loro. E poi, perché preoccuparsi di un essere strano, silenzioso?

Così si ritrovava spesso a vagare per i boschi, per i campi nudi, tra le piccole case del villaggio. Talvolta, quando passava davanti alla casa di Nath, quel bambino dai folti capelli castani e occhi come la speranza, lui le portava degli avanzi di pane o focacce che erano rimasti invenduti e si assicurava che lei finisse ogni singolo boccone.

La loro amicizia era nata in quel modo quando Nath, dalla finestra di camera sua, aveva visto per l'ennesima volta la solita bambina dai capelli neri camminare lentamente in strada. Il giorno dopo l'aveva aspettata pazientemente sugli scalini di casa sua in mezzo al freddo chiudendosi nel suo cappotto, sulle gambe un pezzo di stoffa che teneva del pane avanzato. E quando l'aveva vista le aveva semplicemente sorriso, alzandosi e porgendole ciò che le aveva preparato. Lei l'aveva squadrato e solo dopo un po' aveva accettato il cibo.

La cosa era andata avanti per qualche settimana prima che iniziassero a parlare tra loro, a scambiarsi qualche parola per davvero, prima che Nath conoscesse il nome della bambina che tutti temevano. Purtroppo molti la chiamavano con nomi dispregiativi e non con il suo vero nome, perciò lui si era stupito di sentire dalle sue labbra quel nome soave, musicale.

Alla fine era diventata un po' una tradizione quell'incontrarsi, e Sheera lo rispettava, più che per sé lo faceva per Nath. Vedeva che sembrava essere un bambino che soffriva, che non aveva amici a differenza di molti altri di quel villaggio. E a lei, in fondo, non dispiaceva così tanto la sua compagnia. Sembrava essere l'unico a vederla in modo diverso.

E anche quel disgraziato giorno aveva rispettato come solito quella routine, non sapendo cosa sarebbe accaduto da lì a poco, che avrebbe cambiato la sua vita e anche quella di altri abitanti.

– Oh, ciao bambina. Che ci fai qui da sola?– le aveva chiesto un uomo mentre lei, Sheera, camminava verso la sua meta. Lei non gli disse nulla, non rispose, lo guardò e basta. Era nuovo da quelle parti, non l'aveva mai visto per quelle poche volte che era uscita durante il giorno. Se non sbagliava, da quanto aveva sentito da Dyiara mentre parlava con Marcus, era arrivato un parente del pasticcere del villaggio.

– Non dovresti essere a casa?– continuò lui guardandosi intorno come se stesse cercando qualcuno che potesse essere con lei. Come poteva una bambina camminare da sola con il cielo che si scuriva sempre di più?

– Non importa.– gli disse lei freddamente, una freddezza che lui non si aspettò per niente da un essere apparentemente piccolo e fragile che riprese a camminare lentamente, il volto basso. Sheera non voleva essere disturbata, soprattutto dopo quel giorno passato chiusa in camera costretta da Marcus, piena di rabbia e odio in corpo repressi.

– Ehi aspetta.–

Lui la raggiunse in poco e le poggiò la mano calda sulla spalla, e si immobilizzò quando sentì, anche attraverso i suoi vestiti, la sua pelle ghiacciata. La bambina dai lunghi capelli neri si voltò di scatto, provando ribrezzo per quel tocco a lei estraneo come sempre. Avrebbe voluto urlargli contro di lasciarla in pace, di farsi gli affari suoi, che stava bene da sola. Però, la sua attenzione si spostò sul tatuaggio che lui aveva sul polso, visibile attraverso il polsino della camicia bianca che indossava.

Era un semplice cerchio rosso, grande quanto una piccola noce, e dentro aveva un simbolo, una strana lettera mai vista. Allora perché provocò ancora più rabbia e odio in quel corpo di bambina vestita di nero come la morte? Perché i suoi occhi freddi e taglienti sembravano appartenere a qualcuno di molto più grande, di più potente, che aveva vissuto molto più di una giovane vita appena sbocciata?

– Tu... Cosa...– balbettò lui indietreggiando appena quando vide i suoi occhi neri cambiare e diventare di un viola scuro intenso, luminoso. Era così inquietante ma allo stesso tempo ammaliante. Era come essere di fronte ad un essere imparagonabile. Com'era possibile sentirsi talmente inutile e insulso dinanzi a quella piccola creatura?

– Lui è qui, mi sta cercando...– disse lei, ma era davvero Sheera a parlare? Non sapeva che non avrebbe ricordato molto di quello che sarebbe accaduto.

– Di cosa parli?– domandò lui non capendo. Nel mentre, Sheera si portò una mano alla testa, cadendo a terra in ginocchio poco dopo e preoccupando l'uomo. Cosa stava accadendo? Perché si sentiva strano, irrequieto?

– No fermo! Stalle lontano!– gli gridò un altro uomo affacciato alla finestra della casa che aveva di fianco.

– Penso stia male, non posso lasciarla qui.– ribatté lui avvicinando a lei.

– È pericolosa! Fermo!– continuò l'altro. Lo straniero non capì, non capiva cosa potesse mai fare quella che sembrava una normale bambina. Come poteva fare del male? D'altronde, si sapeva che i più piccoli erano più deboli in confronto ai più grandi per quel che riguardava la magia. Così si accucciò preoccupato e le poggiò la mano tra i capelli scuri e morbidi, di nuovo quel tocco fastidioso per lei che spostò lo sguardo verso di lui, un sorriso maligno sul volto.

– Voi traditori morirete.– gli sussurrò. Subito dopo, nelle vicinanze si sentì un suono strano, un boato. Un'esplosione. Della luce calda illuminò di colpo le vie ma non era nulla di rassicurante. Il calore si espandeva, così come il fumo nero che salì nel cielo oscurando la luna e le sue stelle. Un odore pungente si fece largo tra le vie. Molta gente si spaventò e accorse nelle strade cercando di capire cosa fosse accaduto, cosa avesse creato scompiglio e la risposta era più che evidente: delle fiamme rosse, alte, calde e fameliche stavano bruciando una casa e parte della strada tagliandola in due. In mezzo a quel fuoco si sentivano voci, urla, richieste di aiuto.

Tutto era stato causato da una semplice bambina che se ne stava in mezzo alle fiamme che non osavano minimamente ferire. Le sfioravano la pelle, eseguivano i suoi ordini, il suo volere. Eppure, lei le vide viola, così ammalianti. E sempre lei, il suo sguardo, era rivolto ai suoi piedi dove il corpo ormai quasi bruciato dello straniero giaceva.

Non provava nulla, né colpa né dispiacere. Si sentiva solo bene, potente, appagata da quelle urla disperate e quelle anime spaventate. E, soprattutto, provava rabbia, ribolliva nelle sue vene iraconda, la stessa che stava bruciando intorno a sé e divampava sempre più. Ma verso chi esattamente?

Non lo sapeva, solo provava odio e ira verso quegli occhi rossi che vide tra le fiamme. Poco dopo, essi svanirono ma il sentimento in sé non mutò nemmeno quando intravide una donna di luce. Era argentea e silenziosa, fluttuava nell'aria e le fiamme non la toccavano. Forse perché sembrava essere incorporea. Era meravigliosa ma non agli occhi della bambina. Per lei era un essere inutile.

– Riprenderò ciò che è mio.– disse a quella donna di luce silenziosa, e lei non disse nulla, la fissò e basta come se stesse aspettando qualcosa. Le fiamme nel mentre si erano affievolite, così come la sua forza, il suo corpo che si stava indebolendo. E così lasciò che le ultime fiamme lasciassero il segno mentre lei cadde nel vuoto."

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