31 - Creare problemi

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Familiare. Quella era la parola che continuava a girare per la sua testa non lasciandola in pace, portandola a tamburellare continuamente le dita sulla superficie del tavolo davanti a sé, addentando di tanto in tanto una mela dolce e croccante, seduta fintamente tranquilla in un angolo della mensa. L'ora di cena era arrivata piuttosto in fretta, specialmente dopo aver dovuto ricreare per la seconda volta la pozione che aveva fatto con Rohin sotto gli occhi inquisitori dell'insegnante.

Quell'uomo panciuto non aveva minimamente creduto alle parole del ragazzo quando gli aveva detto di non esser stato lui ad aver avuto l'idea di usare il Fiore della Morte una volta che gli fece i complimenti. Così Sheera si era ritrovata a dover rifare tutto da sola senza dire una parola, anche se dentro di sé avrebbe voluto ucciderlo più che volentieri. E, per la seconda volta, era riuscita a creare quella pozione di un blu intenso che era stata destinata a finire in una piccola ampolla da consegnare all'insegnante di combattimento, ancora reduce dallo scontro, cosicché potesse riprendersi più in fretta.

La corvina aveva persino discusso con l'insegnante quando le aveva proposto di consegnarlo lei stessa, beccandosi un'occhiataccia con tanto di un "te lo puoi scordare" dal tono acido. Non l'avrebbe mai fatto, quel gesto significava che le dispiaceva di averlo ridotto in quel modo quando non era per niente così.

– Lælianus si è convinto alla fine.– sentì dire da Rohin comparso davanti a lei con in mano un piatto di poltiglia verdognola.

– Primo, non ti ho detto di seguirmi. Secondo, non mi pare di averti dato il permesso di infastidirmi standomi intorno. E terzo, non ho idea di chi tu stia parlando e non mi interessa.– disse Sheera fredda fissando il giovane che la ignorò totalmente, prendendo posto tranquillo. Era come se non avesse davvero compreso chi avesse davanti a sé, l'essere che più odiava la compagnia di ragazzini privi di cervello, così li definiva lei.

– È l'insegnante di pozioni. Pensavo che Fenrid ti avesse detto i nomi dei nostri membri principali.– spiegò lui mettendosi in bocca una cucchiaiata di quella robaccia dall'odore nauseante per la corvina.

– Enver è l'insegnante di meditazione che non hai ancora incontrato se non sbaglio. È un tipo molto tranquillo, pacato, e anche bravo. Se hai problemi, ti senti teso con lui tutto passa. Ah, lui si occupa di chi controlla l'acqua anche. Poi abbiamo Ahren che invece pensa a chi controlla la terra e la telecinesi. Xerxes invece il combattimento, e Maestro Storia del Regno Assoluto.– continuò lui.

Possibile che qui dentro non riesco a starmene un po' tranquilla? pensò Sheera sentendo il nervosismo insinuarsi sempre di più nel suo corpo, dando l'ultimo morso a quella mela che lasciò abbandonata sul tavolo.

– Tra poco potrai lavorare sulla tua irrequietezza con Enver ad esempio.–

– Vedi di star zitto.– gli ringhiò contro minacciosa facendolo tacere all'istante. In effetti, le serviva davvero qualcosa per calmarsi, placare quel brivido lungo la schiena, quel suo essere sempre sulla difensiva. Non sapeva spiegarselo ma era come se da lì a poco sarebbe potuto accadere qualcosa. Ma cosa? E poi, si sentì osservata. Uno poteva dare la colpa al fatto di trovarsi in una grande sala piena di persone, ma quello che percepiva lei era diverso, era qualcosa che andava oltre. Era come se qualcuno di lontano percepisse la sua presenza e la volesse catturare. Era una cosa assurda, eppure era così.

Si era abituata nel tempo alle stranezze che le erano capitate nel corso degli anni, quali la sete di sangue, la voglia di uccidere e torturare, strani poteri distruttivi, una voce che la chiamava, l'aura viola, il conoscere pozioni senza aver mai studiato nulla. Perché sì, ancora ripensava al Fiore delle Morte e ad ogni suo movimento perfettamente chiaro e con una certa disinvoltura che nessuno alle prime armi poteva avere. Forse i suoi genitori erano stati abili e avevano familiarità con esperimenti? Forse erano dei pazzi assassini assetati di sangue o ladri?

Smettila, smettila, smettila idiota! si ripeté in testa passandosi una mano tra i capelli e mordendosi il labbro non ascoltando minimamente ciò che le stava chiedendo Rohin davanti a sé. Ogni rumore intorno a lei era ovattato, accadeva sempre quando si estraniava completamente da tutto. Questo sguardo...

Sheera si voltò appena e i suoi occhi neri incrociarono quelli ambrati di un giovane ragazzo, probabilmente poco più grande di lei. E appena lui notò di esser stato beccato nell'averla fissata, distolse lo sguardo, beccandosi occhiate divertite e frasi scherzose dai suoi amici riuniti al loro tavolo.

La ragazza invece sorrise maliziosa, la sua attenzione si era spostata su qualcos'altro di più allettante, di divertente. Si annoiava in quelle mura da giorni, era stanca di sentirsi come uno straccio, un oggetto abbandonato o un fenomeno da osservare. Volevano davvero ammirare qualcosa? Allora lei avrebbe dato loro la motivazione per guardarla, volendosi sentire potente come quando aveva sfidato il Kafar, o Andreas.

– Buonasera.– sussurrò maliziosa all'orecchio di quel ragazzo quando lo raggiunse, appoggiandogli le mani di ghiaccio sulle spalle. Lui per poco non sussultò, voltandosi a guardarla stupito.

– Oh, ciao.– le rispose lui con imbarazzo, i suoi amici intorno a ridacchiare e bisbigliare. Probabilmente li odiava in quel momento.

– Finito di mangiarmi con gli occhi o te li devo cavare?– continuò la corvina con un tono seducente spostandosi e piazzandosi davanti a lui, passando la lingua sulle labbra in un sorrisetto che, molto probabilmente, Nath le avrebbe detto di evitare per non finire nei guai se fosse stato lì con lei.

– Mi spiace, sei piuttosto popolare in questi ultimi giorni.– disse lui come a scusarsi, una mano che scompigliò quei riccioli di un castano chiaro. Sheera lo squadrò un attimo prima di mordersi il labbro in un misto tra maliziosa, maligna, voglia di creare scompiglio.

– Come ti chiami?– gli chiese e l'altro non ci mise molto a rispondere. Era come incantato da lei, intanto i suoi amici li fissavano.

– Lucian. Mi sembra inutile chiedere il tuo, lo sanno tutti d'altronde.–

– Lucian eh?–

La corvina gli si avvicinò e gli prese il volto tra le dita, sentiva molti sguardi su di sé ma poco gli importava. Era troppo presa dalla splendida sensazione di poter ammaliare qualcuno con così poco. Quel ragazzo non le levava gli occhi di dosso, in più lei sentiva la sua agitazione, e, cosa più importante, vedeva il suo desiderio di toccarla, ciò che bramava in quel momento. Era uno dei suoi innumerevoli talenti legati al portare il caos; poteva avere davanti a sé chiunque, anche il Salir più potente di tutti e lei, senza alcun problema, vedeva i più oscuri segreti, come con quel ragazzo.

– Ho capito chi sei. Te la facevi con una brunetta l'altra notte oltre il coprifuoco nei bagni. Com'è che si chiamava?–

Lucian impallidì all'istante mentre lei scavava nella mente della sua vittima, trovando la risposta.

– Oh, giusto, era una certa Jyliena.–

E da lì, tutto il meccanismo scattò: uno degli amici del ragazzo si alzò in piedi furioso, iniziando ad inveire contro di lui.

– Che cosa!? Come osi? Avevi detto che mi stavo solo facendo paranoie, che lei non ti guardava in nessun modo e che non dovevo preoccuparmi di niente!–

– Io non ho fatto proprio niente, lo giuro! Come fai a credere a questa? Non ho mai fatto niente con la ragazza di un mio amico e mai l'avrei fatto!– iniziò a difendersi subito Lucian che si alzò pure lui.

– No, sei tu che menti! Non è la prima volta che vi becco in mezzo ai corridoi con la scusa che mi aspettavate, usando il pretesto che siete del dormitorio dei verdi mentre io dei blu! Preferisco che dici la verità piuttosto che fare il vigliacco!–

– Ragazzi, ehi, calma. Possiamo ragionare e parlare come persone normali?– provò ad intromettersi un altro degli amici, venendo più che ignorato.

– Allora ok, è vero. Ma perché tu non sai cosa voglia, non la degni di uno sguardo!– ammise Lucian, l'altro ragazzo che gli saltò addosso. E Sheera non poteva fare a meno di ammirare quella splendida situazione, sentire quella lite, il ribrezzo, la rabbia nei loro corpi mentre si allontanava verso l'uscita della mensa.

La fiducia, che sentimento strano. Basta una piccola cosa che essa si rompe in mille pezzi per poi non ricucirsi mai a volte! pensò ridacchiando tra sé e sé. Si era creato un bello scompiglio probabilmente, dato che, mentre percorreva i corridoi deserti, due donne mai viste corsero verso la mensa, lì dove il trambusto non cessava. Poco le importava.

        

La stanza dedicata alla meditazione, appena Sheera entrò, non aveva quasi niente a che vedere con il resto dell'edificio. In primo luogo, non aveva le solite pareti grigie, cupe ma bianche e luminose; secondo, non sapeva se definirla come una specie di serra o un giardino.

Non c'erano banchi, sedie, libri o qualcosa riconducibile ad una vera scuola: il pavimento era più basso rispetto al resto dell'edificio in moto tale da creare una stanza completamente priva di terreno calpestabile per colpa dell'acqua. Era come un grande stagno e l'unico modo per passare da una parte all'altra era camminare su varie pietre sparse che spuntavano.

Oltre ai massi c'erano anche qualche pianta acquatica come fiori variopinti, piccoli alberelli fragili che si sarebbero potuti spezzare da un momento all'altro. E poi, per sua fortuna, c'era una grande finestra spalancata, forse la più grande in tutto il complesso, larga qualche metro che dava sulle montagne e il cielo stellato. Perché sì, a quanto pareva le lezioni di meditazione si tenevano tutte dopo cena. Non ci era mai andata dato che la cosa non le interessava ma Rohin e Fenrid, che aveva scoperto essere molto amici, l'avevano letteralmente trascinata là dentro.

Un'altra cosa positiva del luogo fu il freddo causato dall'acqua, finalmente si sarebbe potuta riprendere facilmente dal calore dell'aula di pozioni, gli odori pungenti di ingredienti mescolati insieme in un pentolone gorgogliante. Sentiva solo il rumore lieve dell'acqua e, cosa in parte strana, anche la vita scorrere nelle piante.

Era una sensazione che non riusciva a descrivere, era come sentire il battito di una persona e non le era mai successo. Un'altra cosa da aggiungere alla lista delle stranezze di oggi pensò mentre aspettava con una pazienza che non aveva, seduta su un grande masso in compagnia dei due amici intenti a scherzare tra loro, l'insegnante. Enver, se non sbagliava.

– Buonasera ragazzi miei.– si sentì dire da una voce che Sheera odiò all'istante. Era di un tono smielato, melodioso e calmo, di chi vede la vita tutte rose e fiori. E il suo aspetto non fu da meno: la tunica era la solita per tutti gli insegnanti da quanto aveva capito, ma potevano differenziarsi tra loro per il resto, come quei lunghi capelli biondi e messi dell'uomo che gli cadevano sulle spalle.

Sembrava meno rigoroso degli altri, specialmente di Maestro, tutto preciso e impeccabile. Lui non sarebbe mai rimasto scalzo come Enver, né tanto meno avrebbe sorriso ai ragazzi calorosamente, mostrando quei denti bianchi come la tunica. E poi, i suoi occhi erano di un grigio che trasmetteva calma, un colore che, per un istante, la distrasse portandola a pensare alla ragazza che aveva lasciato e che si obbligò di non pensare, rinnegando in sé la sensazione di malinconia e dolore prima che iniziassero a tormentarla fino a farle perdere il controllo delle sue azioni.

– Pronti per sentirvi tranquilli e in pace con voi stessi?– domandò Enver senza smettere di sorridere e sedendosi sul masso più grande della stanza, posizionata esattamente al centro da cui poi tante altre si ripetevano in modo circolare, come a creare degli anelli intorno ad un centro. Lei, Rohin e Fenrid si trovavano al secondo cerchio in quanto, quando erano arrivati, il primo era già tutto occupato.

Da quanto i due ragazzi le avevano detto le lezioni di quell'insegnante erano sempre le ben volute, specialmente dalle ragazze che sbavavano e stravedevano per lui. Cosa che lei non capiva e che non voleva assolutamente capire.

– Allora, vedo qualche volto nuovo in più oggi.– disse Enver quando notò Sheera tra gli allievi di quella sera che non poté non alzare gli occhi al cielo. Perché lo dicevano tutti e continuavano a ripeterlo?

– Direi di non prolungarci oltre, abbiamo poco tempo e tanto su cui lavorare. Stasera faremo un lavoro di canalizzazione dell'energia, della vostra essenza. È un processo abbastanza difficile, per questo dico ai nuovi di non abbattersi se non si riesce subito in questo, ci vuole un po' di tempo che è fondamentale.– anticipò mentre si metteva a gambe incrociate, invitando tutti a fare lo stesso. E anche Sheera, pur di non starsene ferma a fare il nulla, ascoltò.

– Chiudete gli occhi e lasciate che i vostri pensieri svaniscano, che il silenzio vi avvolga le menti.– iniziò a spiegare. Almeno quello sarebbe stato abbastanza facile per lei da fare dato che amava circondarsi del suo amico silenzio, lasciare che il suo corpo si abbandoni ad esso senza troppi problemi a differenza di qualche ragazzino che, in fondo alla sala, ridacchiava, dandole fastidio. Le ci volle un autocontrollo che non sapeva di possedere per non alzarsi e farli fuori.

– Cercate la vostra vita, la vostra essenza, lasciate che sia il vostro corpo a guidarvi verso essa. Abbandonate ogni vostra preoccupazione, trovate il fulcro del vostro potere, il vostro luogo d'origine e fondetevi con esso. Staccatevi dal mondo reale.–

Come poteva essere possibile una cosa del genere? Non ne aveva idea. Decise solo di chiudere gli occhi e cercare di fare ciò che lui chiedeva. Quale era la sua essenza? Quale era la propria origine che l'aveva resa un essere dall'aura violacea? Ce ne erano altri come lei?

Sospirò ed eliminò ogni singola domanda senza risposta dalla propria mente concentrandosi su un unico suono che le sembrò per un attimo familiare: l'acqua. Essa si muoveva appena per la lieve brezza che entrava dalla finestra ed era un suono familiare, calmo. Tutto il resto sembrò svanire sempre di più fino a scomparire del tutto, lasciando nella sua mente solo il buio più totale. Poi, da quell'oscurità, si fece largo lentamente un luogo strano, che non aveva mai visto. O forse non era esattamente così, si sentiva profondamente legata a quello che sembrava essere un mondo inesistente.

Il cielo era di un giallo violaceo, il sole lieve stava svanendo oltre l'orizzonte e stava facendo spazio alla luna e al suo manto stellato. Grandi alberi maestosi dalle foglie violacee e nere, dai filamenti dorati come l'erba sotto i suoi piedi, anch'essa a tratti viola o in altre tendente ad un arancio scuro.

Quella era una semplice radura il cui lieve vento freddo le accarezzò la pelle. Era come essere lì fisicamente, l'immagine era perfettamente nitida. Riuscì anche a camminare attraverso alla radura, in sé un senso di appartenenza e completezza che non aveva mai provato prima. La sua energia lì era più viva che mai, non la sentiva solo in sé ma anche in quel luogo. Ogni singola cosa sembrava possedere un legame con lei.

–Gli Abissi Infernali...– sussurrò mentre toccò una pianta gialla simile al grano quando si ritrovò in mezzo ad un campo, il cielo che aveva assunto una sfumatura ancora viola, nubi grigie, il terreno scuro.

Era un mondo vuoto, freddo, desolato e a tratti inquietante ma anche affascinante, ammaliante, poteva rapire e intrappolare. Esattamente come... lei. Anche Sheera era così, era come trovarsi davanti ad uno specchio e la cosa la fece sentire male, odiò vedere sé stessa, la desolazione della propria anima nera. Perché l'aveva vista attraverso il proprio riflesso qualche giorno prima, lei, la sua vera essenza. Ed era la più nera di tutti i presenti e, dentro di sé, sapeva che non c'era nessun altro come lei nel Regno Assoluto.

Chi altro era in grado di essere così lunatica, da pensieri complessi e inusuali? Chi altro aveva celato un potere in sé che premeva di uscire ma che veniva bloccato? E non solo dalle regole ma anche da lei stessa. Non l'aveva mai ammesso, nemmeno a sé stessa o non completamente: aveva paura di sé stessa, del suo distruggere. Non del produrre caos di per sé ma ferire, fare del male a chi teneva, alle uniche due persone che la vedevano in maniera diversa da tutti.

Un tocco caldo sulla sua pelle cambiò ogni suo pensiero, riportandola al mondo reale, facendola spostare di scatto come in allerta, il corpo teso, l'acqua che si mosse senza che lei se ne accorse, obbedendo al suo inconscio, bagnando il ragazzo che le aveva poggiato la mano sulla spalla, Fenrid.

Il respiro di Sheera, la quale si guardò intorno come spaesata per qualche istante sbattendo più volte le palpebre, era lievemente affannoso. Ci mise qualche attimo a capire dove fosse, che era di nuovo nella sua prigionia con gli occhi puntati su di sé.

– Interessante... È la prima volta che fai un esercizio del genere?– le chiese Enver, lei che faticò a capire di cosa parlasse, ancora intontita da ciò che aveva visto.

– Se non vi è chiaro, le uniche cose che ho fatto nella mia vita sono state trasgredire a regole ed evitare di non essere uccisa da un villaggio che ne aveva abbastanza di me.– gli ringhiò contro, nervosa.

– Forse, il fatto che tu abbia un'aura viola, ti rende abile anche staccarti completamente dalla realtà. Sei stata come minimo mezz'ora ferma chissà dove con la testa, i miei più bravi allievi a mala pena riescono a concentrarsi per dieci minuti.–

Lei non disse nulla, non aveva voglia di dire una sola parola. Ogni volta la sottovalutavano. Se solo avessero saputo ciò che era in grado di fare avrebbero smesso, forse. Era altro, poi, a occupare i suoi pensieri, di nuovo. Qualcosa che aveva visto nel momento in cui Fenrid l'aveva toccata. Ancora quegli occhi rossi... di chi saranno? Perché provo solo odio per essi?

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