37 - Essere trasformati

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Sapersi trasformare grazie alla magia, il riuscire a cambiare un essere od oggetto in qualcos'altro di natura o forma differente dall'originale. Un dono o una punizione irreversibile che però non cambia il carattere sebbene lo faccia per l'aspetto esteriore. Assumere sembianze differenti per essere apprezzati completamente. Trasformarsi era tutto quello.

Ma c'era una differenza tra prendere sembianze di un animale e quella che, a breve, qualcuno avrebbe assunto dopo quella notte. Non sarebbe stata reversibile e chi osservava quella ragazza dai capelli corvini, stesa a terra in una stanza angusta, lo sapeva bene. Presto il potere di quella ragazza, seppur terribile, sarebbe servito, lei lo sapeva e non aspettava altro.

– Svegliati...– le sussurrò all'orecchio quella figura di luce azzurrognola, prima di svanire nel nulla. Solo con quella voce sconosciuta Sheera si svegliò, riprendendosi dal sonnifero che l'aveva colpita.

– Lurido verme...– biascicò cercando di mettersi a sedere, il corpo pesante e dolorante, per non parlare di quanto stesse facendo fatica a respirare. Si portò una mano alla testa, tutto girava in essa e sapeva più che bene che era dato dalla notte.

– Non vedo l'ora di bere il suo sangue e ammirare il suo cadavere!– si disse a denti stretti mentre una stretta allo stomaco la fece piegare in due, quel dannato fischio che le riempì la testa facendola urlare. Quella in cui si trovava era una ridicola stanzetta in cui a malapena tre persone potevano stare sedute, dalle alte pareti scure e prive di finestre. Persino la porta, in pietra, pareva mimetizzarsi alla sua vista con le pareti che sembrarono caderle addosso. Da quanto tempo era già rimasta chiusa? Quanto mancava alla fine di quella inutile sofferenza?

– Devo uscire!–

Continuò a guardarsi intorno e riuscì in qualche modo a trascinarsi verso la porta massiccia e fredda, poggiando la mano sulla pietra ruvida. La vista offuscata non era il massimo nonostante ci vedesse più che bene in quel buio totale. Una fitta alla testa, poi un'altra, un'altra ancora che le tolse il fiato stringendo le viscere portandola a vomitare quel liquido denso e scuro qual'era il sangue.

La pelle cominciò a bruciare come se il fuoco la stesse divorando, e quella sensazione era così insopportabile per lei, il suo corpo freddo. Le sue urla strazianti probabilmente si sentivano oltre la sua prigionia ma non le importava per nulla. La sua voce copriva il suono insopportabile nella sua testa, quello contava.

Le unghie, che prima graffiavano le pareti alla ricerca disperata di un'uscita, ora infliggevano ferite alle braccia, alle gambe, al volto, al collo, entravano nella carne senza pietà per sé stessa. In parte lo faceva inconsciamente, in parte invece sapeva bene cosa stesse facendo, a come stesse segnando di rosso il suo corpo già debole. Ma era più forte di sé, il dolore la faceva sentire ancora viva, a tratti lucida. Le ricordava perché fosse in quelle condizioni e la rabbia per chi l'aveva rinchiusa aumentava, portandola a ferirsi ancora di più.

Non riusciva a non creare dolore o caos se pervasa da emozioni negative, sentiva il bisogno di sfogarsi, lasciare che esse prendessero il sopravvento. E se non aveva la possibilità di ferire chi era intorno a lei, aveva sempre il suo stesso corpo, lui che sopportava sempre i gesti spinti dalla sua mente folle.

– Sei un bastardo!– urlò ridendo ormai fuori di testa, gli occhi viola scuro e irati. Era debole, la pelle imperlata di sudore e sangue dall'odore ferroso, ferite profonde, a stento respirava. Eppure, sentiva l'aura di Maestro nella vicinanze, lui poteva sentire ogni sua parola. Stava male, ma la sua energia stava così bene, come se si stesse alimentando del suo stesso dolore.

– Tutti lo siete! Volete la pace e l'armonia, che nessuno sia un pericolo per un altro quando siete i primi ad usare la violenza! Metodi schifosi!– continuò, un altro urlo di dolore che la bloccò per la nuova sensazione che l'aveva pervasa. Lungo tutto il corpo sembrava di aver conficcato nella carne centinaia di lame bollenti, poi una scossa che la piegò in due, le mani tremanti e luride di sangue tra i capelli scompigliati.

– Non avete idea di quanto possa essere devastante la distruzione...– disse un'ultima volta prima di sentire il corpo sempre più fuori dal suo controllo, accasciandosi a terra. Ma prima di cadere nel vuoto più totale, notò una figura di luce azzurrognola che la guardava. Sembrava lontana nonostante l'angusta stanza. Sentiva di conoscerla, sapeva che lei era stata lì tutto il tempo, la sua aura che aveva intriso le pareti non mentiva. Trasformati e risvegliati sentì nella sua mente prima di vederla svanire nel nulla come lei.

                  

Si sentiva strana ma soprattutto più forte. Avrebbe potuto distruggere tutta Stavira o anche tutto il Regno Assoluto se l'avesse voluto. Anche se aveva perso i sensi per chissà quante ore aveva percepito un dolore lancinante alla schiena che si stava affievolendo solo in quel momento che si stava svegliando dopo quella lunga notte.

Cercò di aprire gli occhi, mentre il corpo intorpidito si riprendeva e tornava in forze. Una volta tornata ad avere il controllo sul suo corpo si mise a sedere e si guardò attorno. Era ancora rinchiusa in quella piccola stanzetta lugubre, sul pavimento il sangue incrostato, lo stesso che ancora era sulle sue mani e parti del corpo.

Sentì dei passi avvicinarsi ma non erano quelli di Maestro né dell'insegnante di combattimento. Erano lievi e titubanti, e poteva essere solo Fenrid. Difatti, la porta di pietra si aprì dopo che su esso apparve un simbolo strano di luce azzurra, spostando il massiccio ostacolo che la dividevano da quell'aria fresca che subito la travolse. Ma anche la luce del sole pomeridiano la colpì, obbligandola a coprirsi il volto e sbattere più volte le palpebre per riabituarsi dopo ore e ore di puro buio.

– Ehi ma che...–

Fenrid la fissò confuso e un po' spaventato, inorridito. Non era da biasimare dato che davanti a sé aveva una ragazza in pessime condizioni: se ne stanza in un angolo seduta, il corpo, vestita di una semplice veste nera, pieno di graffi e ferite, sangue secco sul collo e soprattutto le mani. I lunghi capelli neri le coprivano parte del volto stanco e provato da una notte devastante.

– Non fare domande, ti risparmi il caos dell'essere me.– gli disse Sheera con voce roca, la gola che le faceva male. Si alzò a fatica e sentì il corpo improvvisamente pesante e non cadde grazie al ragazzo che riuscì a prenderla e avvolgerle un braccio sulle spalle.

– Te li sei fatti tu?–

– Hai visto qualcun altro chiuso là dentro?– gli ringhiò contro lei mentre lui la portò verso i bagni. Per fortuna non c'era nessuno a quell'ora, tutti troppo presi dalle lezioni. Cosa sarebbe potuto accadere se l'avessero vista conciata in quel modo?

– Meglio medicartele. E hai bisogno di riposare.–

– Guariranno da sole e sto benissimo. Smettila di assillarmi.–

– Odi proprio essere aiutata, eh?–

– Vuoi davvero che ti risponda?–

– Tranquilla, mi ha solo mandato Maestro a liberarti.–

Non era dell'umore adatto in quel momento, per quello Fenrid lasciò perdere e aspettò che la ragazza si ripulisse di dosso il sangue e che si riprendesse. E di sicuro non le sarebbe stato d'aiuto il contatto con l'acqua misteriosamente calda della pozza quel giorno, motivo per cui la raffreddò con un semplice schiocco di dita. Appena s'immerse si sentì subito meglio, il suo corpo non era più indolenzito come prima e le ferite si rimarginarono quasi all'istante.

Una volta uscita si stiracchiò dopo tanto e si mise la solita divisa nera violacea e fece per uscire ma si bloccò quando passò davanti al grande specchio di fianco a sé, sfiorando con le dita il proprio riflesso. Un paio di ali in carne ed ossa erano sulla sua schiena, nere come la pece e toccavano terra. Le piume sembravano morbide e aprì quelle ali per osservarle meglio, ogni singola piuma scura toccandole con le dita. Erano reali così come i suoi occhi di quel viola ammaliante. Poi si guardò le mani e le sue unghie erano come la pece e lucide.

Quando era entrata lì non aveva niente, o forse sì ma non se ne era accorta. Però, Fenrid, non le aveva detto nulla. A meno che... Si passò istintivamente una mano sul volto e i suoi occhi tornarono neri, le ali svanirono ma solo allo sguardo altrui in quanto le sentiva ancora parte di sé. Probabilmente erano rimaste nascoste, il freddo deve avermi rilassata e l'incantesimo si è spezzato...

Era strano, cos'era accaduto quella notte? Perché aveva delle ali? La mia magia diversa dagli altri, i sensi più sensibili... Era possibile che fosse una Yarix? Però, loro non avevano le ali grigie? Scosse la testa, la verità era che conoscevano poco di quel popolo, non sapevano niente riguardo la magia che possedevano. Non devo mostrarlo a nessuno, è questo che mi dice l'istinto. Fece un respiro profondo e uscì, raggiungendo il castano pazientemente poggiato al muro in attesa. Quando la vide di nuovo sé stessa sorrise.

– Ora ti riconosco.– le disse portandola a fissarlo truce.

– Come se mi conoscessi.–

– Beh, in realtà qualcosa di te l'ho capito.–

Sheera lo guardò ma ogni suo pensiero svanì, ricordandosi ciò che gli aveva fatto o ciò che stava per fare. Aveva rischiato di ferirlo sul serio e, forse, se non si fosse fermata in tempo, l'avrebbe anche ucciso. Ovunque io vada sono un pericolo...

– Ti ho fatto male?– gli chiese coprendosi il capo con il cappuccio della mantella, fissando per terra con le mani in tasca. Lui ci mise un po' a capire che si riferiva alla sua perdita del controllo.

– No, sto bene. Solo un po' di spavento.–

Se fosse accaduto a Nath... Non me lo sarei mai perdonata pensò, sospirando frustrata. Maledizione! Non ho mai perso il controllo così tante volte insieme! Perché sta accadendo!?

– Sheera, calmati.–

Fenrid le toccò la spalla serio, indicando le sue mani e il pavimento sotto di loro. La sua pelle era avvolta da fuoco nero, il terreno in pietra aveva delle crepe. Da quando la magia rispondeva al suo stato d'animo così in fretta? La mia magia... è aumentata... ok, non ci sto capendo più niente!

– Devo andarmene da qui, questo posto mi sta facendo impazzire! Un mese è già passato e sto peggio di prima!– esclamò cominciando a camminare massaggiandosi le meningi. Il ragazzo non poté non seguirla.

– Sei la prima che non trae positività da questo luogo.–

– Ma davvero?–

– Cambiando argomento, la tua lettera è arrivata al tuo amico.–

Sheera si bloccò tornando a guardarlo negli occhi. Bastava poco per farle cambiare umore.

– Non ha risposto da quel che so ma se vuoi potrò parlare con lui.–

Lei lo guardò confusa, non lo conosceva nemmeno.

– Maestro ha detto che finalmente potrò tornare a fare una vita normale, tornerò dal mio amico dopo anni. Solo che dovrà accompagnarmi.–

– Non vedo come questo possa centrare con me.– lo interruppe, e Fenrid sbuffò.

– Se mi dessi il tempo di finire... Comunque, Maestro vorrebbe approfittare di questo per parlare direttamente con il Protettore della magia che ti ha mandato qui, non so di cosa, ma da quanto ho capito lo farà prima di lasciare me alla libertà.–

Una stretta si insinuò nel petto della ragazza, un fuoco bruciante: invidia. Quando sarebbe potuta scappare da lì? Aspetta, ho già attraversato la barriera anche se fuori controllo. Ora però è come se la mia magia fosse più forte. Forse...

– Quando partiresti?– gli chiese mordendosi il labbro nervosa.

– Questo pomeriggio. Posso... Posso prendere i tuoi disegni?–

La corvina inclinò la testa da un lato, a cosa gli potevano servire? Oltretutto, non le piaceva molto che altri avessero cose sue, su cui aveva messo parte della sua anima.

– Dovrò fare un resoconto su di te da questo Protettore, verrà pure Rohin dato che anche lui ha avuto più contatto con te fra tutti.–

– Mi stai dicendo che il mio futuro dipende da voi due? Meglio che mi prepari a restare qui in eterno!–

La ragazza alzò gli occhi al cielo ricominciando a camminare verso la sua camera sentendo l'altro seguirla ridacchiando. Nella sua testa però c'era ben altro. Se la lettera è arrivata a Nath, allora anche Kyra ha letto le mie parole... Spero solo che Andreas non si impicci.

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