36 - Perdere

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Era snervante dover starsene in camera ferma a fare nulla quando stava male. Ovviamente, il suo corpo aveva voglia di muoversi quando non poteva e non faceva altro che far peggiorare il suo stato mentale. Le passavano per la testa tanti di quei pensieri da farla impazzire e non riposava affatto proprio per questo. Anche se non era quello che le serviva in quel momento.

– Non riesco quasi a muovermi, non pensavo che la mancanza di sangue mi desse questi problemi.– bofonchiò mentre cercava di mettersi in piedi. Le gambe sembravano cederle, le ossa, i muscoli, ogni parte del corpo era più che dolente. Sheera... Sgranò gli occhi quando risentì dopo tempo quella voce femminile. Erano giorni che era svanita nel nulla.

– Di nuovo tu, chi sei?–

Provò a guardarsi intorno ma non c'era nessuno, nemmeno fuori dalla finestra. Ricorda... continuò lei.

– Cosa? Cosa devo ricordare?– chiese alla sconosciuta. Una fitta alla testa la colpì assieme ad un fischio simile a quello che sentiva quando stava rinchiusa al buio, portandola a piegarsi in due e tapparsi le orecchie con le mani, invano.

– Smettila!– gridò a qualsiasi cosa le stesse scaturendo tutto quello. Uccidili... I traditori... Risvegliati... Non lasciare che ti plachino... Il fiato iniziò a mancarle, un dolore al petto si propagò ovunque per un istante prima che tutto svanisse.

– Ehi, che bello sapere che per una volta hai ascoltato rimanendo qui.– disse Fenrid una volta entrato nella camera della ragazza dopo molte ore. Non ci aveva sperato molto ad essere sinceri. Però cambiò espressione in fretta nel momento in cui non ebbe risposta, nemmeno qualche frase dal tono acido o annoiato.

– Sheera?– chiamò la ragazza a quel punto notando che gli dava le spalle. Sembrava assorta, il volto chino, le mani tremanti. Le si avvicinò prendendole il polso preoccupato, ignaro di cosa sarebbe accaduto. Appena vide i suoi occhi una volta voltatasi si sentì il sangue gelare nelle vene. Erano di un viola scuro, così intensi e luminosi, profondi ma avevano qualcosa che non andava, qualcosa di maligno. Erano a dir poco agghiaccianti. Si allontanò di qualche passo e la sentì ridacchiare, un ghigno sul volto. La vide leccarsi le labbra lentamente e poi toccare un canino che era un po' più lungo del normale con la lingua. Cosa le era preso?

– Sheera... Così mi spaventi.– disse indietreggiando cautamente quando la corvina iniziò ad avvicinarsi.

– Non avrai paura da morto.– la sentì dire ridacchiando maligna, il terrore che iniziava ad insinuarsi nel corpo del ragazzo. Cosa le stava accadendo? Perché si comportava in quel modo? Che abbia perso di nuovo il controllo? Cosa dovrei fare?

– Voglio solo parlare.– provò a dirle tenendo una certa distanza, come poteva farla tornare normale? Non voleva minimamente avvicinarsi a lei per come lo stava guardando, come un predatore fissava vogliosa la sua preda.

– Beh, io non sono molto loquace.–

Sheera lo guardò freddamente poi, non seppe come, Fenrid si ritrovò a terra, la ragazza sopra di sé con un coltello in mano. Da dove aveva preso quella lama? A nessuno era concesso possedere armi al di fuori della sala da combattimento. La sua attenzione però fu portata al suo corpo che riusciva a muovere, era come bloccato e nel mentre la corvina gioiva delle sue emozioni negative passandogli la lama fredda lungo il collo ma senza fargli ancora del male.

– Che idiota.– gli disse senza smettere di ridacchiare con fare per niente rassicurante.

– Sembri così innocente.– continuò. -La tua anima rimarrà sempre nera.- sentì la ragazza nella sua mente osservando quello sguardo impaurito. -Perché placarsi quando puoi unirti a me, Sheera?- proseguì la voce maschile, la stessa della sfera d'acqua. La lama ormai era stretta nella sua mano e sul collo del ragazzo pronta a trafiggerlo, sentiva già l'odore ammaliante del sangue che gli scorreva nelle vene, il battito accelerato. -Uccidi questo essere inutile che pensa di poter aiutare un essere spietato come te.-

Successe qualcosa negli occhi di quella ragazza, Fenrid lo vide, non sembravano più velati. Lei si alzò in piedi di scatto e fece dei passi indietro, la lama che teneva in mano le scivolò dalle dita finendo a terra per poi svanire nel nulla. Il suo sguardo era disorientato e fisso su di lui che non riusciva nemmeno a parlare. Perché sei qui? Non capiva, non ricordava nulla. Si era ritrovata attanagliata dal dolore, Fenrid davanti a sé a terra, lei con una lama in mano. Cosa gli aveva fatto?

– I-io...– la sentì dire a mala pena, le mani le tremavano, il respiro era irregolare, tutto intorno stava diventando confuso e girava come ad essere in un vortice. NOn riusciva a pensare, qualcosa le stava comprimendo il petto, scavando nel profondo per ferirla e farla impazzire, divorarle pezzo per pezzo fino a toglierle ogni energia. Un attacco di panico.

– Ehi, no, ferma.– disse lui alzandosi e prendendole le mani nel momento in cui notò che stesse iniziando ad autoinfliggersi dei profondi graffi.

– Calmati.– le disse lentamente guardandola negli occhi ma lei si divincolò, o per lo meno ci provò.

– Vattene!– gli disse.

– No, sei sotto la mia tutela, non posso...–

– Vattene dannazione!– gridò spingendolo via con forza. I suoi occhi viola erano così autoritari e taglienti che non riuscì a disubbidire, abbandonandola a delle voci che si stavano accavallando sempre di più nella sua testa. Non riusciva più a capire nulla, la vista si offuscava sempre più. Voleva solo star bene, non avere problemi. E la sua oscurità sembrava potergliela dare, era la sua unica certezza. Così la abbracciò e lasciò che si impossessasse del suo corpo freddo.

                  

L'odore del sangue arrivava pungente alle sue narici, a tratti sembrava dolce, poi aveva qualcosa di selvatico, ferroso. A mala pena aprì gli occhi, il sole che le toccò la pelle chiara e macchiata di rosso. Scattò subito a sedere quando si rese conto di avere mani completamente insanguinate, anche se ormai quel liquido denso era secco. In bocca le era rimasto il solito sapore dolciastro che le lasciava ogni volta il bere sangue.

Si guardò intorno, notando che fosse nella sua camera. Qui non c'è nessuno, non avrò per caso ucciso qualcuno... Scosse la testa, doveva cercare di ricordare nonostante l'agitazione si stesse insinuando nel corpo, anche se la maggior parte delle volte che ci provava in quelle condizioni non scopriva nulla. E, ovviamente, anche quella volta.

È tardi ormai, non dovrebbe esserci alcun ragazzo in giro pensò mentre uscì dalla camera per raggiungere il bagno e togliersi di dosso quelle tracce mentre pensava alla sua vittima. Non era sangue di Salir, devo esser riuscita ad oltrepassare la barriera magica. Gli animali si trovano solo lì, è l'unica spiegazione o non ha senso continuò a ripetersi anche mentre l'acqua entrò a contatto con il suo corpo.

Riconosceva il sapore già provato svariate volte, e non era solo il solito cervo ma anche uno nuovo che la sua mente collegò al leone di montagna. Era un animale pericoloso, estremamente, ed era anche raro poterlo solo intravvedere. Come era possibile che la sua mente le stesse dicendo che aveva bevuto il sangue da quella creatura?

Forse era già morte quando l'ho trovata ipotizzò mentre si sfregò le mani in continuazione anche dopo che le macchie rosse svanirono. Ritornò un poco in sé dopo una manciata di minuti, sbrigandosi ad uscire e sparire tra i corridoi freddi e bui avvolti dalla notte una volta vestita frettolosamente.

– Deathblack.– sentì pronunciare da quel vecchio odioso davanti a sé con cui per poco non si scontrò una volta varcata la soglia dei bagni.

– Che cosa fai qui a quest'ora?–

Sheera ridacchiò appena alla domanda di Maestro, cosa voleva che facesse in un bagno?

– È notte fonda.– continuò lui.

– Non mi piace avere gente intorno, posso andare ora o mi devi continuare a tormentare con discorsi sulla mia aura viola?– ribatté invece lei. Doveva aver bevuto quel che sembrava un bel po' di sangue quella notte, si sentiva in forze, potente, come prima di entrare in quella struttura infernale e schifosa o anche di più. Come quando ho assaggiato quello di Kyra...

– Non proprio. Ho sentito che hai minacciato Fenrid e che avevi un'arma da un giovane passato nei paraggi per caso.–

La corvina si immobilizzò mentre la rabbia saliva. Perché le persone non riuscivano a farsi gli affari loro? Non potevano semplicemente lasciarla in pace e non controllarla?

– Che vorresti fare? Mandare una letterina ai piani alti per i problemi che continuo a creare?– lo stuzzicò. Ma non si sarebbe mai aspettata ciò che sentì in seguito.

– Abbiamo le nostre regole e i provvedimenti al riguardo. Dato che dovrai prendere una decisione importante ancora per la posizione di Superior e con le lezioni potresti non avere tempo, ho pensato di darti un po' di ore da passare da sola chiusa in quelle che un tempo erano stanze di isolamento.–

– Come se già non facessi la stessa cosa in camera.–

– Sì, ma lì hai qualcosa con cui passare il tempo. Non avrai altro che buio e solitudine. Potrai riflettere anche sulle tue azioni e forse, uscita da lì, cambiare comportamento. Abbiamo provato ad essere gentili ma se non funziona così allora cambieremo metodo e finirai lì ogni volta che disobbedirai.–

– Ma che bel paradiso!– esclamò ironica, perché sapeva che c'era una fregatura, ne sentiva l'odore.

– Bene, meglio sbrigarci allora. Visto che è la prima volta te ne starai lì fino a pranzo.–

– Cosa!? Io non ci starò neanche morta là dentro!–

Era completamente fuori discussione, la notte era cominciata da poco e volevano mandarla in un posto dove non avrebbe avuto nemmeno uno spiffero d'aria. L'agitazione si insinuò in lei in fretta, la spinsero ad indietreggiare e iniziare ad allontanarsi ma venne presa da qualcuno, Xerxes, l'insegnante di combattimento. Appena la toccò, lei si sentì più debole, nell'aria un aroma dolce e soporifero. Sapevano che si sarebbe opposta.

– Lasciami o ti ammazzo!– minacciò cercando di divincolarsi invano, l'effetto della polvere che era stata sparsa nell'aria apposta per lei che la stava indebolendo in un modo che odiava.

– Dovevi pensarci prima, ascoltavi e non finivi nei guai. Non impari mai dai tuoi errori.– le disse l'uomo invece tenendola con presa salda.

– Voi non capite, non posso stare lì, non sapete cosa significhi!– urlò irata, in testa aveva più che bene i ricordi delle notti passate rinchiusa. Ma ora, la differenza era nettamente più grande: quella notte la luna piena splendeva più che mai e dentro di sé la ragazza sapeva che, se fosse stata rinchiusa, sarebbe stata la peggiore che avesse mai sopportato.

– Sbrighiamoci prima che svanisca l'effetto.– sentì dire da Maestro, la voce così lontana, mentre il suo corpo cadeva in un abisso profondo, stordito da quel profumo fin troppo dolce per lei.

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