43 - Isolata

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Stare soli può diventare insopportabile. Crea sofferenza e anche la perdita di fiducia in sé stessi tanto da entrare in uno stato di agitazione in certi casi, il timore di perdere ogni cosa che si ha come le persone che si ha sempre avuto vicino. Ci si può isolare consciamente volendo solo stare con sé stessi, oppure essere stati abbandonati dagli altri, coloro per cui si pensava di essere importanti. O così aveva letto da qualche parte in quel libro tempo addietro. Aveva richiuso quelle pagine alle prime frasi dato che il concetto di solitudine era troppo vasto, in più leggere quelle parole, al tempo, quando ancora andava a scuola, erano state peggio di una pugnalata. Eppure le ricordava ancora, e proprio in quel momento le ritornavano a galla. Momento in cui non era delle migliori condizioni ma che non voleva ammettere.

Era da giorni che evitava chiunque in quella casa stando rinchiusa nella sua camera, o quasi. Di tanto in tanto usciva dalla grande finestra e se ne stava seduta sul tetto per ore ed ore a sentire il vento sulla pelle e osservare ogni cosa che la circondava. Come in quel momento: il sole davanti a lei che stava sorgendo all'orizzonte, di quella colorazione così calda e che tingeva con i suoi timidi raggi il cielo blu della notte in una sfumatura arancio-rosata, mischiandosi ad un azzurro limpido e privo di nuvole. Le ombre svanivano, venivano scacciate dalla luce, o forse se ne andavano via per dare spazio al giorno e lasciando che l'equilibrio della natura continuasse nel suo corso. I variopinti uccelli iniziavano a canticchiare e volare sempre puntuali, accompagnando le poche persone che per le strade camminavano pronti per una nuova giornata di lavoro.

Aveva imparato a memoria, a forza di osservarsi intorno, tutto ciò che accadeva di prima mattina e scoprendo quanto fosse un'attenta osservatrice: le imposte della villa di fronte alla sua venivano spalancate dalle domestiche, probabilmente, sempre al primo rintocco delle campane che si sentivano in lontananza, lasciando che la luce illuminasse le grandi stanze; nel mentre, alcune donne iniziavano a recarsi nel grande giardino fiorito per prendersi cura di quei fiori dai mille colori con grande maestria e amore, lo vedeva dai loro occhi e dai loro gesti delicati; per la strada che divideva i loro giardini passava sempre una donna anziana con un cesto in mano, vestita tutta dalla più chiara tonalità di marrone della camicia alla più scura delle gonna che cadeva morbida fino alle caviglie, i capelli raccolti in una crocchia grigia ordinata e impeccabile. Probabilmente non voleva imbattersi nel caos della capitale e fare le sue compere in tranquillità, dato che da lì a poco le strade sarebbero diventate piene zeppe di gente.

Non capiva esattamente come delle persone traessero piacere solo a comprare, girare per le botteghe, tra gli artigiani, ammirare gli oggetti fatti con maestria e comprarli, spintonarsi in mezzo alla folla. Proprio non lo capiva. Preferiva starsene tranquilla in un angolo e veder crescere durante il giorno i sorrisi, i colori e, soprattutto, la vita che caratterizzava Stavira. Le piaceva osservare le persone, l'aveva scoperto da poco. Era incredibile come riuscisse a spendere il tempo con così poco, senza dei libri tra le mani a portarla lontano con la fantasia. A volte non si rendeva conto delle ore che aveva passato seduta lassù sulle tegole grigiastre da sola. O quasi, dato che il vento stava sempre con lei a farle compagnia.

– Sai, a volte è come se tu mi conoscessi, come se sapessi cosa mi passa per la testa.– gli disse mentre teneva il volto appoggiato sulle ginocchia portate al petto. Sorrise quando lui le accarezzò ancora il volto.

– È così strano che io parli con un qualcosa che non è completamente materiale, ma allo stesso tempo è così... normale. Tu che dici?–

Il vento soffiò ancora e le scompigliò i capelli candidi facendola ridacchiare prima che si alzasse, salutandolo e lasciandolo spirare libero mentre lei tornava nella sua camera tranquillamente grazie all'aiuto dei rami di un albero che fuoriusciva dalla finestra. Non aveva mai avuto piante nella sua stanza fin quando non era spuntato dal nulla un piccolo alberello accanto alla finestra e nell'arco di due giorni era cresciuto con una velocità mai vista, i rami robusti e spessi che si erano affacciati oltre la finestra. Era come se quell'albero avesse percepito in lei la voglia di scappare e non sembrava aver problemi nel vivere fuori dalla terra, le radici ad intricarsi tra loro sul pavimento. Sembrava nutrirsi esclusivamente di luce.

– Grazie, oggi stai proprio bene vedo.– disse alla pianta poggiando una mano sulla corteccia, sentendo tutta la vita scorrere in lui. Le sue foglie erano di un verde sgargiante e iniziavano anche a sbocciare i primi fiori bianchi. Un bussare incerto alla porta la fece sussultare.

– Ehi, Kyra.–

Era la voce di Nissa. L'avrebbe riconosciuta ovunque.

– Possiamo parlare? O se non ne hai voglia almeno fammi vedere che stai bene.–

Non sapeva quanto fosse passato in realtà da quando si era confinata lì, forse una settimana ormai. Usciva raramente quando non c'era nessuno tra i corridoi.

– Ti prego.–

Le si formò un nodo in gola quando percepì il suo dolore e la sua tristezza. Mi dispiace pensò osservando la porta in legno. Era davvero dispiaciuta, non le piaceva far soffrire le persone ma, non sapeva esattamente perché, in sé sentiva il bisogno di stare per un po' sola. Forse perché sentiva la propria magia cambiare. Aveva creato dal nulla un albero dopo che, frustrata, aveva sentito il bisogno di distrarsi dopo quanto era accaduto con Sheera. E lei, quella ragazza dai capelli neri e la pelle cadaverica si era rubata una parte di lei, lasciandole un vuoto che faceva male. Tutto in così poco tempo. Mai si sarebbe aspettata di poter provare sentimenti del genere per una sconosciuta.

I passi di Nissa si fecero sempre più lontani dopo un po', probabilmente si era arresa. Sapeva che Kyra non le avrebbe aperto, o non in quel momento. Non potrò ignorarla per molto ancora. Vuole solo aiutarmi e io... Non faccio altro che ferirla. E non so nemmeno perché lo faccia...

Sospirò e si diresse lentamente verso la porta, rendendosi invisibile e girando subito dopo la chiave inserita nella toppa, aprendo la porta facendo attenzione che non ci fosse nessuno per i corridoi. Poi camminò tranquilla diretta verso la sala da pranzo dove sapeva che, a quell'ora, c'era ancora qualche cosa da mangiare. Infatti, le cameriere non erano ancora passate a sistemare ciò che rimaneva della colazione dei padroni di casa. Così la ragazza ne approfittò per prendersi un paio di mele dal cesto posto in mezzo alla tavola dalle tovaglie chiare e pregiate, ritornando subito in camera dove si lasciò cadere sul letto dando un morso alla mela. Di nuovo questa monotonia...

Osservò il soffitto mentre ripensava a quei giorni in cui la sua vita era cambiata in un attimo, e lei pure. Mai nella vita avrebbe pensato di ignorare le persone intorno a lei come se nulla fosse. Per non parlare di quanto avesse scoperto di essere testarda. O forse lo era sempre stata. Sheera era stata in grado di far uscire una parte di lei che non aveva mai conosciuto e a cui ancora non si era abituata molto. Di nuovo...

Un bussare alla porta chiusa a chiave, una voce maschile, un'aura magica decisa: Andreas. Di solito passavano sua madre o Nissa a provare a farla uscire da lì. Magari si stava preoccupando davvero anche lui per il suo comportamento infantile. Poco le importava.

– Apri dai, non potrai startene qui a vita.– lo sentì dire con tono da rimprovero. Ovviamente non rispose.

– Non obbligarmi a scassinarla con la magia.–

Kyra scosse la testa, non ci sarebbe mai riuscito, lo sapeva solo perché lei aveva usato la magia per bloccare l'accesso agli altri per quella stanza, e ormai aveva capito che tutto in lei era diverso, l'aspetto, la magia, la propria aura. Lo sentì armeggiare per qualche secondo prima che Andreas si arrendesse e iniziasse a parlarle. Lei però si alzò sbuffando e andò in bagno e riempì la vasca d'acqua calda, per poi immergersi una volta svestita. Si specchiò nell'acqua cristallina, osservando il volto spento. Non le piaceva ciò che stava diventando, e non sapeva come tornare indietro. Chiuse gli occhi e rimase in silenzio ad aspettare che il tempo passasse.

          

"Era in un luogo mai visto né immaginato tra le righe dei numerosi libri che aveva letto in quegli anni. L'erba di quei campi in cui era apparsa era azzurra e non verde come sarebbe dovuta essere. C'erano anche fiori di vario tipo tra i prati e anche loro, come le chiome folte degli alberi erano variopinti: rosa, blu, giallo, arancione, rosso e molti altri, infiniti. Tutto era così armonioso e pacifico in quel luogo dove degli uccelli continuavano a cinguettare felici portando vitalità in giro. Perché le sembrava familiare quello strano e meraviglioso posto che, in un attimo, cambiò?

Persone ferite che correvano, urla di disperazione, bambini che piangevano alla ricerca disperata dei genitori che avevano probabilmente perso nella folla. Il cielo, che aveva visto prima così limpido e luminoso, ora sembrava una coltre di sangue e fumo di quel grande incendio famelico che cercava di intrappolare le persone. Le loro pelli erano coperte di polvere, fuliggine, il sangue delle proprie ferite quali graffi, morsi, tagli di lame. C'era qualcosa di diverso in loro, la loro aura, lo percepiva. E non le ci volle molto per capire: erano Yarix, le ali grigie chiuse sulle loro schiene lo testimoniavano. Poi una voce maschile che rimbombò nell'aria, il cielo scosso da tuoni, una risata malefica, degli occhi rossi come il sangue versato dalle povere vittime.

Un bagliore la obbligò a chiudere gli occhi e quando li riaprì si ritrovò lo stesso mondo totalmente devastato. Era tutto grigio, desolato, tetro, nuvole scure nel cielo. L'erba era appassita, gli alberi secchi e spogli. Tutto era irriconoscibile e non c'era più traccia di vita.

Provò a fare un passo come a voler disperatamente cercare qualcuno, qualsiasi essere sopravvissuto a ciò che era accaduto ma si ritrovò all'istante catapultata nel Regno Assoluto, a Stavira. Le case in pietra erano ridotte in cenere, il cielo nero, tutto privo di vita. Centinaia e centinaia di corpi erano stesi a terra e tra loro riconobbe Nissa e i suoi genitori. Ed erano coperti di sangue che li rendeva a stento riconoscibili se non dalla flebile aura che emanavano. Le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance, un dolore al petto si espanse, un nodo in gola.

– Accadrà anche a loro, tranquilla.– disse la stessa voce che aveva parlato con gli Yarix. Era maligna e non le piaceva per niente.

– A meno che tu non lasci che prenda il tuo potere...– disse come ultima cosa, prima che cadesse nel buio più totale di cui aveva sempre avuto paura."

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