Capitolo 14

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Serafine non riusciva a crederci.
Quella ragazza aveva un medaglione molto simile al suo.
Quando l'Alata dai capelli neri fu più vicina, riuscì a scorgere i dettagli dell'oggetto.
Era anch'esso di oro, rotondo, ma al posto delle ali incise sopra, vi era l'immagine di una clessidra.
Possibile che quella ragazza fosse...?
«Come ti chiami?» chiese Serafine all'Alata dai capelli neri.
«Dalila. Dalila di Kirdwin.»
«Dove sono i tuoi genitori?» domandò ancora la ragazza.
Dalila abbassò lo sguardo.
«Loro... sono morti. Quando ero molto piccola.»
L'Alata dai capelli biondi guardò i suoi amici.
I ragazzi capirono subito.
«E...chi te lo ha dato quello?» chiese Bahryus indicando la collana della ragazza.
Quella, appena capì di cosa il ragazzo stesse parlando, strinse il medaglione tra le mani, spaventata.
«N-nessuno. I-i-io l'ho solamente trovato. I-io...»
Si capiva chiaramente che Dalila stava mentendo.
Serafine la comprendeva. Aveva paura che scoprissero che era una Guardiana.
Portò la mano al collo, e mostrò il medaglione di sua madre alla ragazza.
«Tranquilla» disse sorridendole, «Di noi puoi fidarti!»
Nel momento in cui vide la collana di Sera, la ragazza si illuminò in viso.
«Allora non ci eravamo solo noi! Pensavo di essere la sola Guardiana rimasta!»
A quel punto i ragazzi rimasero sbigottiti.
«Cosa? Tu... tu conosci gli altri Guardiani?» esclamò Serafine.
Dalila si rattristò nuovamente.
«Sì? disse abbassando nuovamente lo sguardo, «I miei genitori, prima di sparire nel nulla, mi dissero che loro erano due dei Guardiani nominati dalla Regina. Mi consegnarono i loro medaglioni per poi andarsene, lasciando me e mio fratello dai nostri parenti.»
«E dov'è l'altro?» insistette Serafine riferendosi al medaglione.
Quella si rattristò ancora di più.
«Lo ha mio fratello, Erkim, ma... è stato... è stato...» cercò di continuare la ragazza sull'orlo delle lacrime.
«...catturato» proseguì Serafine tristemente. »Anche il nostro villaggio è stato distrutto.»
«Erkim è stato fatto prigioniero insieme a tutti gli abitanti del villaggio» disse Dalila, «Io sono riuscita a nascondermi e poi sono scappata tra gli alberi. I soldati hanno fatto entrare tutti in delle gabbie e i draghi li hanno portati via. Poi hanno bruciato tutto.»
Dalila cominciò a singhiozzare e Luce le si avvicinò e la abbracciò.
Beh, non si può dire che la abbracciò veramente, ma ci provò.
In ogni caso la ragazza si sentì consolata dalla ninfa e sorrise leggermente, asciugandosi le lacrime che, per via del freddo e della neve avevano incominciato a ghiacciarsi.

Mentre Luce consolava Dalila, i quattro si allontanarono un pochino per parlare.
«Secondo voi dice la verità?» domandò Shaida sbirciando di sottecchi l'Alata.
«Sì. Mi sembra abbastanza sincera...» rispose Bahryus.
«Che sia sincera o no, lei è una Guardiana. Deve venire assolutamente con noi» continuò Serafine.
Aveva bisogno di quella ragazza. Tutta Aahor aveva bisogno di lei.
«Io dico che possiamo fidarci» disse Kaspar appoggiato di schiena contro un albero dal tronco ricoperto di brina.
«Anche io» risposero Bahryus e Serafine contemporaneamente. Si guardarono un momento, poi distolsero lo sguardo.
Shaida, invece, era ancora sospettosa.
«Secondo me ha qualcosa che non va!» mormorò continuando a fissare a braccia conserte la ragazza dai capelli neri.
«In ogni caso, deve seguirci.» Serafine si avvicinò a Dalila e le disse:
«Ti va di venire con noi?»
Quella, ormai ripresasi dal pianto, si illuminò e sorrise.
«Sì! Certo! Grazie grazie grazie!» esclamò abbracciando la ragazza «Grazie... ehm...»
«Serafine» sorrise lei.
«Grazie, Serafine.»
«Quanto entusiasmo» sbuffò Shaida passando oltre le due ragazze.
«Ah, non fare caso a lei. Fa così con tutti, all'inizio. Ma vedrai che poi cambierà atteggiamento. Io sono Kaspar» disse il ragazzo tendendo la mano a Dalila e rivolgendole un sorrisetto.
La ragazza non fece in tempo a ricambiare la stretta di mano, che Bahryus le si piantò davanti.
«Io invece sono Bahryus, molto lieto di conoscerti!» disse tutto d'un fiato spostando l'amico da un lato.
Dalila rise e si presentò ad entrambi.
«E quella noiosa laggiù è Shaida!» disse Kaspar abbastanza forte da farsi sentire dalla castana.
«È mia sorella» intervenne Bahryus.
Dalila sembrò sorpresa.
«Davvero? Non vi assomigliate per niente!» esclamò.
«Lo so! Non capisco come facciamo a essere gemelli!»
«Tu sembri molto più simpatico, però... e carino, anche...» disse l'Alata dalle ali nere, sbattendo visibilmente le lunghe ciglia e sorridendo al ragazzo, che divenne immediatamente paonazzo.
Shaida alzò gli occhi al cielo, osservando la scena.
«Incredibile, non sa neanche chi siamo e già pensa di poterci abbindolare con i suoi occhioni dolci...» sibilò a Luce, che nel frattempo si era avvicinata alla ragazza.
«Anche secondo me. Ma non sembra pericolosa...» disse Luce. Ma tanto non la sentiva nessuno.

«Allora? Dovevamo raggiungere il villaggio di Phoenix, no? Dov'è?» chiese Shaida ad alta voce, girandosi verso il gruppetto dietro di lei.
«Oh, giusto...»
Serafine estrasse dalla borsa di cuoio la mappa che il Re degli Elfi le aveva dato.
La aprì e cercò il punto in cui si trovavano, mentre piccoli fiocchi di neve si posavano sulla carta.
«Dunque... il Bosco degli Smeraldi è qui... abbiamo continuato verso ovest... il villaggio di Phoenix è oltre quelle colline là in fondo!» esclamò indicando delle montagnette innevate a qualche chilometro da loro.
«Perfetto.»
«Dovremmo sbrigarci, prima che diventi una vera e propria tempesta di neve» esclamò Kaspar osservando il cielo totalmente bianco.
Aveva ragione. Il freddo li faceva tremare e se la temperatura fosse calata ancora sarebbe stato impossibile volare.
Così, dopo che Serafine ebbe sistemato accuratamente Luce nella borsa di cuoio, spiccarono il volo e si lasciarono alle spalle i resti del villaggio bruciato.

In alto, nel cielo, il vento era ancora più freddo.
La neve era molto più spessa e impediva di vedere a un palmo dal naso.
Le colline si scorgevano appena da lassù, ma non appena si trovarono a sorvolarle i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.
«E così... tu sei una Guardiana...»
Shaida si avvicinò a Dalila, che osservava la neve ammaliata.
«Credo di sì. Insomma, è tutto nuovo per me. Non sono mai uscita dal villaggio...»
«Quindi non sai come combattere. Intendo combattere veramente
«Oh, in verità mi hanno insegnato a combattere fin da piccola, quindi...»
Shaida la guardava in modo sospettoso, ma la ragazza non sembrò per niente intimidita.
Al contrario, ricambiò lo sguardo e disse: «...so benissimo come trattare i miei nemici!»
Poi accelerò e si accostò a Bahryus, lasciando l'Alata dai capelli castani da sola.
«Sei gelosa, per caso?» le disse Kaspar per irritarla, mentre il vento gli scompigliava i capelli chiarissimi.
La ragazza gli lanciò un'occhiata.
«Chi? Di quella lì? Si comporta da smorfiosa. Secondo me è è troppo sicura di sé.»
«Se lo dici tu. Per me è carina!»
Shaida sbuffò.
«Per voi maschi sono tutte carine... Ecco perché poi ci cascate come degli idioti.»

«È meglio scendere e continuare a piedi! Fa troppo freddo!» disse Serafine ad un certo punto del viaggio.
La neve aveva cominciato a cadere più fitta e il sole stava calando.
In poco tempo sarebbe stato impossibile muoversi.
E se non volevano morire di freddo, dovevano trovare un riparo per la notte.
Si abbassarono lentamente verso terra, cominciando a scorgere delle piccole case di legno che dall'alto non avevano notato.
Quello doveva essere il villaggio di Phoenix.

Non era come l'avevano immaginato: le strade erano sporche, piene di fango mischiato alla neve appena caduta.
Le luci dei lampioni erano spente e una folta nebbia rendeva l'ambiente ancora più grigio e squallido.
La maggior parte delle finestre e delle porte delle case erano sigillate con assi di legno.
Per le strade erano abbandonati vecchi carretti, su cui c'erano ancora delle botti di vino e dei sacchi di grano.
Il villaggio sembrava deserto.
Improvvisamente nel cielo si sentì un ruggito acuto.
Luce fece capolino dalla borsa di Serafine e, dopo aver dato un'occhiata al cielo, indicò spaventata una grande ombra che sorvolava la città.
Era un drago.
Il gruppo si nascose sotto ad un portico di legno ed attese che la creatura finisse il suo giro di perlustrazione.
Quando furono certi che il drago se ne fosse andato, uscirono, ancora timorosi.
«E ora? Dove andiamo?» domandò Dalila spaventata.
Serafine si guardò in giro.
«Ci dev'essere pur qualcuno, qui...»
Detto questo, si avvicinò ad una vecchia e decrepita casa, di legno scuro, l'unica che non avesse la porta o le finestre sigillate.
Bussò due volte e attese risposta dall'interno.
«Forse non c'è nessuno...» disse Bahryus avvicinando il volto alla finestra e cercando di scorgere qualcuno o qualcosa. Ma era troppo buio per vedere.
Serafine rabbrividì di freddo.
La temperatura si era abbassata di molto in poco tempo.
La neve per le strade cominciava ad aumentare.
Bussò ancora alla porta.
Dopo poco, finalmente, dall'interno della casa si sentì una voce maschile.
«Chi è? Che volete?»

I ragazzi si guardarono in faccia.
Era sicuro dire chi erano realmente?
«Ehm... ci scusi, non sappiamo dove stare. Sarebbe così gentile da farci entrare?» disse Serafine.
Passò qualche secondo di silenzio, poi la porta si aprì, rivelando il volto di un uomo.
«Entrate, svelti» disse quello spostandosi di lato per permettere ai giovani di entrare nella sua proprietà.
Quando la porta si richiuse dietro di loro, vennero investiti da un ultimo spiffero gelido.
L'ingresso era piccolo e buio, non c'era neanche un mobile o un tappeto, e delle scale conducevano al piano superiore, da cui proveniva una flebile luce.
I ragazzi, con le guance e il naso rossi per il freddo, ringraziarono l'Alato, felici di essere finalmente al riparo dalla neve.
Quando l'uomo si girò, cominciò a porgere lo sguardo verso i nuovi ospiti, poi disse:
«Avanti, venite al piano di sopra. Vi riscalderete meglio...»
Si avviò verso le scale e incominciò a salirle lentamente.
Serafine osservò l'uomo.

Era piuttosto alto, con i capelli biondo chiaro e un filo di barba del medesimo colore. Anche le ali erano bianche.
Camminava con passo claudicante, quasi avesse paura di cadere.
Non era vecchio, ma il suo volto era stanco, come se fosse appena uscito da una lunga malattia.
Salendo le scale, Serafine riuscì a scorgere lo sguardo dell'uomo: era vuoto e spento. Gli occhi chiarissimi erano velati da una patina bianca.
Era cieco.
O meglio, forse un po' ci vedeva, perché ad un certo punto si voltò e, guardando verso Dalila, disse:
«Non toccarla, ragazzina. È velenosa.»

Dalila abbassò la mano che aveva alzato per sfiorare una pianta dalle lunghe foglie e si limitò ad osservarla, allontanandosi di poco dal vaso.
Il piano superiore, al contrario dell'ingresso, era pieno di mobili.
Al centro della stanza, c'era un piccolo tavolo quadrato, su cui era poggiata una lanterna ad illuminare l'ambiente, e ai piedi del tavolo delle piccole e strane piantine verdi.
C'erano anche un paio di sedie di legno.
Lungo le pareti c'erano una serie di scaffali e una finestra, oscurata da vecchie tende, sotto la quale c'era una credenza.
Sulla sinistra, invece, c'era un divano tutto rotto, ma che sembrava confortevole.
«Mettetevi comodi, prego» disse l'uomo camminando finalmente con passo normale.
«Volete una tazza di tè?» domandò mentre il gruppo prendeva delle sedie e si sedeva intorno al piccolo tavolino.
Luce, invece, si andò a stendere su una pianta poggiata sulla cucina.
Aveva passato tutto il giorno schiacciata in borse di cuoio, e non era stata bene.
«Volentieri, grazie» risposero cortesemente i ragazzi, guardandosi intorno.
Quando si sedettero, l'armatura metallica e le spade provocarono un lieve rumore metallico.
L'Alato, che nel frattempo stava prendendo delle tazze dalla credenza, alzò la testa.
«Siete armati?» domandò senza girarsi, ma rimanendo concentrato sui suoni.
I ragazzi si guardarono un attimo per poi rispondere.
«Beh... in verità sì» ammise Shaida.
L'uomo si girò verso il gruppo.
Cosa avrebbe fatto, ora? Avrebbe chiamato le guardie?
Invece l'uomo si avvicinò a Bahryus e tese la mano.
«Posso toccare la spada?»
Il ragazzo estrasse l'arma dalla fodera e la porse all'Alato.
L'uomo passò una mano lungo la lama, dalla punta fino all'elsa, con faccia seria e concentrata.
Quando arrivò alla parte finale, dove erano incise delle rune elfiche, si fermò e sorrise.
Restituì la spada a Bahryus e tornò alla credenza per prendere le tazze da tè.
«Sarnoron mi aveva informato del vostro arrivo. Il suo messaggero è arrivato proprio questa mattina.»
I ragazzi sbarrarono gli occhi.
«Sarnoron?»
«Sì, il giovane re. Sbaglio o avete appena lasciato il suo regno?» chiese tranquillamente l'uomo.
«Il re degli Elfi? Lei... lei conosce il re degli Elfi?» domandò stupita Serafine.
«Sì! Certo! Sono stato alla sua corte molte volte! Ma è stato tanto tempo fa...» disse quello con una nota malinconica nella voce.

Poggiò sul tavolo delle tazze di media grandezza, poi prese una grossa teiera contenente uno strano liquido verde scuro.
Porse le tazze ai giovani Alati e cominciò a versare il liquido.
Non riuscendo a vedere, i ragazzi dovevano dirgli quando fermarsi.
Quando arrivò il turno di Bahryus, l'uomo venne interrotto da Serafine.
«Mi scusi, signore, ma... come mai il Re degli Elfi ci ha mandato da Lei?»
«Vi ha consigliato di passare da qui di proposito, per incontrare me» disse.
Nel mentre, continuava a riempire la tazza di Bahryus, ma era troppo impegnato a parlare per accorgersi che era piena, nonostante il ragazzo provasse ad avvisarlo.
«...credeva che avreste avuto bisogno di sapere di più sulla questione dei Guardiani. Questioni che lui non poteva sapere.»
Finalmente, smise di riempire la tazza, oramai più che piena, e prese una bustina contenente una polvere che assomigliava molto allo zucchero.

«I Guardiani? Li conosceva?» disse Dalila sorpresa.
L'uomo rimase un po' in silenzio, mentre aggiungeva lo zucchero nelle tazze dei ragazzi.
Arrivò nuovamente alla tazza di Bahryus, il quale, leggermente allarmato, fissò il padrone di casa che impugnava un cucchiaino pieno di zucchero.
«Io non sono sempre stato qui» cominciò a dire l'uomo.
I suoi occhi girovagavano per la stanza, soffermandosi sulle nere e sfocate ombre dei ragazzi, mentre continuava ad aggiungere lo zucchero nella tazza di Bahryus.
«Un tempo abitavo in un piccolo villaggio, Yaahr,...>>
«È il nostro villaggio!» esclamò Shaida.
L'uomo si soffermò su di lei.
«Ma davvero?» disse leggermente sorpreso. Poi continuò:

«...ero una guardia Reale al servizio della Regina Wharia in persona. Certo, quando ancora ci vedevo...»
«Ero presente quando Dhort acquistò il potere la prima volta, ed ero sempre presente quando venne sconfitto. Io stesso sono stato a tagliargli le ali e a rinchiuderlo nella sua tomba...»
A questo punto, Serafine spalancò la bocca.
«Ma quindi lei...?!»
L'uomo volse lo sguardo verso la ragazza.
«Io sono Royt di Yaahr, quinto e ultimo Guardiano di Aahor» detto questo, si alzò in piedi e mise a posto lo zucchero, cosa di cui Bahryus fu molto felice.

Tornò a sedersi su una sedia, mentre i ragazzi lo guardavano a bocca aperta.
«Dopo qualche tempo, però, i suoi seguaci, quelli che ancora credevano possibile una sua rinascita, cominciarono a darci la caccia. Io lasciai il mio villaggio e mi stabilii qui. Poco dopo mi ammalai e cominciai a perdere la vista. Prima solo i piccoli oggetti, poi i contorni, poi solo le ombre...»
I ragazzi non sapevano più cosa pensare. L'ultimo dei Guardiani ancora in vita era lì, davanti a loro.

«Allora, non lo bevete il tè?» domandò Royt di Yaahr cambiando argomento.
Il gruppo si ricordò delle tazze che avevano in mano e bevvero un sorso della bevanda.
Era orribile.
Aveva un gusto amaro, dolce e salato insieme.
Ma nessuno disse niente, per non far dispiacere l'Alato.
L'unico che esitava a bere era Bahryus.
Guardava timoroso la sua tazza, contenente un litro di "tè" e praticamente mezzo sacco di zucchero.
Poi, vedendo che il padrone di casa lo stava fissando, come se sapesse che non stava bevendo, portò la tazza alle labbra e si sforzò di non sputare la bevanda.
«Mmmmmmmh...» disse sforzandosi di sembrare soddisfatto mentre Shaida e Kaspar soffocavano dalle risate.
Quando l'uomo si girò verso Serafine, Bahryus gettò il contenuto della tazza in un vaso poggiato per terra, vicino a lui.

«Quindi Lei... conosceva i miei genitori?» domandò emozionata Serafine al Guardiano.
«E anche i miei?» chiese Dalila.
L'uomo fece girare le pupille da una ragazza all'altra.
«Come vi chiamate?» disse poi.
Non avevano ancora detto i loro nomi.
«Io sono Serafine» disse la ragazza.
L'uomo sembrò sorridere.
«Serafine... la figlia di Kimber e Gyon (Ghion), eh? I tuoi genitori mi avevano informato della tua nascita. A quanto pare sei tale e quale a tua madre... anche se io non posso dirlo» e rise di se stesso.
Anche i ragazzi abbozzarono una risata.
«E tu?» domandò alla ragazza dai capelli neri.
«Dalila, signore.»
«Ah! Dalila! Ti vidi una volta, quando eri piccola. Eri un vero diavoletto!»
Dalila sorrise. Lei non si ricordava di quell'uomo. Era troppo piccola.
Poi l'uomo parlò ai tre ragazzi, rimasti in disparte.
«E loro? Sono vostri amici?» domandò a Serafine.
«Sì. Sono del mio villaggio. Loro sono Bahryus, Shaida e Kaspar.»
Non appena sentì il nome di Kaspar, l'uomo fece un'espressione strana.
Tornò serio, sbarrando di poco gli occhi. Di colpo, cominciò a balbettare.
«K-kaspar?» chiese esitante al ragazzo.
«Ehm, sì, signore» rispose quello esitante.

All'uomo finì il cuore in gola.
«E... e dimmi... tua madre... si chiama Leila, giusto?» domandò con una nota di speranza nella voce.
Kaspar divenne subito triste. I suoi amici abbassarono gli occhi.
Non gli piaceva parlare di sua madre. Lui era convinto fosse stata colpa sua se era morta.
«Ecco... lei è morta, signore. Quando sono nato.»
«Oh... mi dispiace...» anche l'uomo sembrò triste.
I ragazzi sembravano confusi.
All'uomo cominciarono a luccicare gli occhi.
«Avvicinati» disse a Kaspar.
Il ragazzo si alzò titubante e guardò i suoi amici, perplessi quasi quanto lui.
L'uomo alzò una mano, andando a sfiorare il viso del ragazzo.
Sorrise commosso.
«Non sai per quanto tempo ho sperato di conoscerti, Kaspar. Non sai quante volte avrei voluto tornare a casa...»
Kaspar sbarrò gli occhi.
«P-papà?» disse sul punto delle lacrime.
A quel punto anche l'uomo scoppiò a piangere.
Abbracciò il figlio commosso, stringendolo a sé.
Anche il giovane si mise a piangere.
Aveva sperato per anni che il padre tornasse a casa. E ora era lì, con lui.
I suoi amici guardavano la scena commossi.

Ma a Serafine balenò un pensiero per la testa: se Kaspar era figlio di un Guardiano allora...

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RAGA SCLEROOOOO!! NON È BELLISSIMO?! 😭😭😭😭
In realtà avrei voluto fare una cosa del tipo: "Kaspar, io sono tuo padre" ma così mi avrebbero denunciato la storia per copyright nei confronti di Star Wars.

E niente, ve lo avevo detto io che ci sarebbe stato una gioia gioiosa.
Anche prima del previsto, cavolo!
Ciaooo!!

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