Gradoni [New]

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Due mattine dopo Kathy si svegliò con un orribile prurito al braccio, non vedeva l'ora che le togliessero le ultime parti di quell'impianto per mettere uno nuovo. Era esentata dalle lezioni fino a quel momento e così aveva un sacco di tempo libero e nessuno con cui passarlo. Non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Angela. Poteva davvero esistere un mutante? Era ciò che avevano fatto ai ragazzi LWF rapiti? Una mutazione genetica certamente non era un gioco. In quale modo era possibile che rendesse un essere umano in grado di spostare oggetti? Il suo interesse, solitamente scarso per le scienze, in questo caso era vivo e pulsante. Se Michael era un LWF, come lei, ed era stato mutato, allora era da quel destino che l'aveva salvata la Lotus?

Con le mani sul vetro freddo, fissava la vallata verde sotto i suoi piedi. Non aveva la più pallida idea di dove si trovassero: non aveva mai visto, in vita sua, delle vette tanto alte, sembrava grattassero il cielo. Osservava persa le punte delle montagne ancora innevate coperte di conifere, rocce e cascate. Il paesaggio davanti a lei aveva un che di innaturale, quasi troppo accurato per pensare che fosse stata la natura a crearlo e i suoi colori erano così vividi, quella mattina, da farle bruciare gli occhi. O forse era il bianco asettico della sua stanza che contrastava con la forza di quelle tonalità decise: il verde dei prati, il marrone scuro del legno bagnato delle baite, l'azzurro cristallino delle cascate e dei ruscelli, il grigio acceso delle rocce e il ghiaccio che rifletteva il sole.

Le sembrava di guardare il mondo attraverso uno schermo, ma non si sentiva più in grado di poter giurare se la vita vera fosse fuori o dentro; la sensazione era quella di essere sospesa in un limbo, senza coordinate temporali certe. Era nata in una città immensa, aveva conosciuto i tramonti specchiati nei vetri dei grattacieli e ora era come se fosse prigioniera in uno di questi. Non si era mai sentita così piccola o insignificante nella sua città: forse era una prerogativa di New York, dopo tutto. Per quanto alti fossero i suoi edifici, sapevi che erano meraviglie umane, una rappresentazione del potere che l'uomo perpetuava sullo spazio. Ora, invece, si trovava in una sorta di mondo specchiato al contrario, un maniero di vetro appeso ad un monte, schiacciato e chiuso dalle rocce, soffocato da esse.

Si sentiva una piccola e fragile creatura nascosta, non più padrona della sua storia. Per la prima volta nella sua vita non aveva controllo o sponde a cui aggrapparsi: era sola a dover affrontare quell'infausto destino che la lotteria del DNA le aveva riservato. Non aveva più una vera scelta, non aveva più futuro: quella maledetta "lista" le aveva portato via ogni possibilità. Non aveva fatto che rigirarsi tutta notte in quel letto a una piazza e mezzo dalle lenzuola immacolate ripensando al suo nome in quell'enorme database: una condanna all'oblio.

Dopo pranzo, invece di rientrare in stanza, decise di seguire Michael per vedere dove andava. Non si era attentata ad avvicinarsi al suo tavolo: non c'erano ragazze, tutti maschi e non voleva risultare una stalker o una sfigata. La Lotus Accademy poteva non essere la sua scuola, ma aveva pur sempre delle regole non scritte. Finché non si fosse fatta degli amici, era meglio mantenere un basso profilo. Eppure, non riusciva a non perdersi a osservarlo.

In mezzo agli altri, Michael era divertente, affabile, pungente, un bel tipo come tanti, ma quando i suoi amici si allontanavano o si perdevano in discorsi non di suo interesse, il suo sorriso si spegneva: sembrava che la sua mente vagasse a milioni di chilometri da lì, in luoghi molto oscuri. Era in quel tavolo eppure non c'era. Fissava il cielo fuori dalla vetrata come un animale in gabbia. Forse era questo in lui che l'attirava così profondamente: contrariamente a molti altri ragazzi della scuola, lui non fingeva di sentirsi fortunato e grato per essere stato salvato. Le sbarre potevano essere di vetro e le celle di design, ma quel posto era comunque una gabbia. Non c'era davvero altro modo per proteggere la loro vita?

Seguì il gruppetto tenendosi a distanza di sicurezza, corridoio dopo corridoio, scala dopo scala, sentendosi ridicola e fuori luogo. Ogni angolo aveva la tentazione di tornare sui suoi passi, ma poi si ricordava dall'alternativa: una stanza vuota con una bella vista verso un paradiso inaccessibile, che pareva l'impalcatura di un set cinematografico. Alla fine, vide i ragazzi scomparire tutti nello spogliatoio antistante la palestra. Non sapendo che fare proseguì semplicemente, curiosa. Entrò e chiuse gli occhi annusando l'odore di scarpe, gomma e sudore. Un miscuglio pungente e affascinante che rievocava nella sua mente la parte più bella della sua vita. Vide subito i palloni nei cestoni ordinati in fondo alla sala: il materiale era di tutto rispetto e in ottime condizioni, Angela non aveva indorato la pillola, aveva detto la verità, eppure non osò stendere la mano su uno di essi. Percepiva le dita gelide, il sangue che pulsava nelle vene della fronte, il sudore freddo che le scendeva lungo il collo. Era una ferita aperta e ancora non se la sentiva di comportarsi come se niente fosse.

Fece appena in tempo a girarsi quando una palla di cuoio arancione le piovve addosso. I suoi sensi acuiti da anni di sport le consentirono di afferrarla con entrambe le mani. Sentì il contraccolpo degli addominali sul ventre. Stava per voltarsi e protestare contro il fautore del lancio quando si trovò di fronte gli occhi profondi e il sorriso divertito di Michael.

«Bella presa! Nella tua scheda non avevo letto che giocassi a basket.»

«Infatti, io sono una pallavolista e, per tua informazione, ero prima palleggiatrice della mia scuola. Se non fosse stato per quel test del DNA, ora starei scorrendo le liste dei migliori college dell'NCAA» commentò Kathy risentita.

«Strano, pensavo che gli LWF W fossero negati nello sport.»

«Io non sono solo LWF W.» Lei era molto più di una catena del DNA. Quel ragazzo aveva decisamente sbagliato se pensava di poterla conoscere dai suoi geni.

«Comunque la palestra è prenotata da noi, se vuoi allenarti devi tornare un altro giorno.»

«Non sono qui per questo» negò decisamente Kathy. Doveva inventarsi una scusa per poter rimanere a osservare l'allenamento di Michael, senza risultare una stupida. «Con lo sfogo allergico in ogni caso non riuscirei, ma devo distrarmi in qualche modo, mi fa un prurito da impazzire» sussurrò lei avvicinandosi giusto a pochi centimetri dal suo orecchio. Tra loro c'era solo la palla arancione e ruvida sotto le sue dita sudate. Michael l'afferrò: le loro mani si sfiorarono per un istante. Kathy percepì una lieve scossa, ma cercò di rimanere impassibile, trattenendo il fiato.

«Potresti sempre fare i gradoni su e giù, a volte io faccio così quando sento che sto per esplodere. Alla fine, sono talmente stanco che crollo a letto e il mattino dopo mi sento molto meglio.»

Kathy lo guardò stupita: in effetti poteva essere una buona idea. Non era meravigliata che anche Michael avesse i suoi momenti di sconforto in quell'assurda scuola, l'aveva letto correttamente. Faceva di lui, forse, l'unica persona umana e normale. Gli lasciò la palla e gli sorrise.

«Ottima idea» annunciò staccandosi da lui e correndo verso la scalinata.

Michael rimase lì impietrito a guardarla per qualche minuto, prima che i suoi amici lo raggiungessero per l'allenamento.

Kathy cominciò a salire e scendere con passo regolare: era un esercizio che conosceva e che aveva eseguito molte volte anche nella palestra del suo liceo. Sentì il cuore salire di pulsazioni, l'adrenalina entrare in circolo e le gocce di sudore che man mano le imperlavano la fronte. Il prurito, in effetti, diminuì notevolmente. Infine, sfinita si sdraiò sui gradoni più alti e rimase a guardare l'allenamento aspettando che il suo respiro tornasse normale.

Michael era molto bravo a giocare: non era un'esperta, ma aveva assistito a diverse partite del suo istituto. Da tre era quasi infallibile, il che era notevole. A volte però aveva come l'impressione che la palla cambiasse direzione prima di toccare le sue mani. Ripensò all'antistress che usava nel corridoio di fronte alle aule e con cui girava sempre per la scuola. Nonostante l'avesse visto coi suoi occhi, stentava ancora a crederci.

Prima che finissero l'allenamento, per salvare le apparenze, recuperò un tappetino e si mise a far stretching. Aveva la gamba destra tirata su di sé e gli occhi chiusi quando sentì un peso gravarle sul ginocchio. Protestò sommessamente con un grugnito. Michael rise e gettò il suo materassino accanto a quello di Kathy. Lei lo guardò stupita.

«Posso farti compagnia?»

Kathy annuì, alzandosi a sedere e studiando per un attimo la palestra. I suoi amici erano già in spogliatoio a lavarsi, perché lui era rimasto lì con lei?

«Allora, dici che mi avrebbero preso nell'NCAA?» le chiese lui tirandosi le gambe affaticate. Era completamente coperto di sudore; la canottiera bianca col numero stretta attorno al corpo tonico e disegnato. I suoi capelli sembravano molto più rossi sotto la luce dei led della palestra.

«Avrei dovuto vederti giocare senza barare per dirlo» rispose Kathy mordendosi il labbro. Era un azzardo, ma voleva sapere la verità. Michael scoppiò a ridere.

«Si vede così tanto?»

«Dal campo forse no, ma dagli spalti sì, sempre se sei concentrato sulle mani. Perdonami, ma dopo l'altro giorno in corridoio ero curiosa.» confessò la ragazza.

«La telecinesi è l'unico aspetto divertente del mio potere... sarebbe un peccato non usarlo per ottenere un posto in prima squadra» cercò di giustificarsi Michael.

«Non penso tu ne abbia davvero bisogno» scosse la testa Kathy, arrossendo leggermente.

«Non sono più quello che ero, se alle operazioni al cuore, aggiungi un anno e mezzo di immobilità in una stanza: a volte la vita ti cambia per sempre. Hai una buona resistenza sui gradoni, se continui ad allenarti, non dovresti perdere troppo» consigliò Michael.

«Vedremo con l'impianto nuovo» Kathy osservò pensierosa la fasciatura.

«Tranquilla, andrà bene. Mio padre ha tanti difetti, ma come medico e genetista è un grande» confessò Michael con una punta di orgoglio.

«Non l'ho ancora visto... Non viene spesso qui?»

«Lui videochiama, telefona, ma è sempre troppo occupato a salvare il mondo. Gli importa solo degli esami o dei parametri medici, ma come sia la mia esistenza, non gli interessa.»

Kathy sentì molto rancore in quella risposta. «A me interessa la tua vita»

Michael le sorrise e si alzò riponendo il tappetino. «Quale high school frequentavi?»

«La Pacific, Upper west side di Manhattan» rispose brevemente Kathy respingendo in gola un singulto. Pronunciare quel nome la faceva tremare: le ricordava quanto aveva perso.

«Veramente? Ci sarò passato davanti in auto migliaia di volte. Sarebbe stato bello incontrarci in altre circostanze» sognò ad occhi aperti Micheal.

«Vivevi anche tu a Manhattan?»

«Sì, ma mio padre mi ha mandato alla Regis.»

Kathy scoppiò a ridere. «Mi dispiace, scusa, è che quelle uniformi... sono orribili» tentò di giustificarsi la ragazza.

«Non dirlo a me!» le sussurrò Michael spostandole i capelli sudati dal viso. Nel frattempo, erano giunti davanti agli spogliatoi.

«Noi facciamo allenamento anche giovedì: se vuoi passare, mi fa piacere.»

«D'accordo» sorrise Kathy. Lo salutò imbarazzata e scomparve nello spogliatoio femminile. In realtà non aveva nulla lì con lei per cambiarsi, ma aspettò comunque di sentire la porta dell'altro spogliatoio chiudersi prima di rientrare in camera per farsi una doccia.

Mentre correva nei corridoi bui che si illuminavano al suo passaggio, un sorriso le si dipinse sul viso. Non era mai stata così in confidenza con un ragazzo della scuola: fin dai primi giorni aveva frequentato le compagne della squadra e non aveva mai cercato altri contatti, troppo concentrata sulla sua carriera pallavolistica, sul suo sogno, per pensare ai ragazzi. Il pensiero che c'era stato un tempo in cui lei e Michael erano stati vicini, solo a pochi isolati di distanza, anche senza conoscersi, la faceva sentire speciale: era come se il destino li avesse scelti in mezzo a quegli 8,5 milioni di abitanti della grande mela. Mentre si lavava, immaginò di vederlo scendere da una grossa automobile con l'autista e il completo elegante della Regis, la borsa di pelle nera e due scarpe che probabilmente costavano quanto la sua mountain bike. Forse a Manhattan non si sarebbe nemmeno fermato a guardarla attraversare la strada, con la tuta della squadra addosso, ma alla Lotus Academy non era più una tra tante e per la prima volta non le dispiaceva del tutto.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro