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«Kathy?» una voce la raggiunse nel mondo dei sogni. La ragazza mugugnò. Non voleva abbandonare ancora quell'illusione. Era in una stanza silenziosa e vuota, non sembrava quella della sua scuola e nemmeno quella della Lotus; eppure, era certa di averla già vista. C'era un ragazzo in un angolo, con gli occhi chiusi e le ginocchia al petto, seduto su un letto d'ospedale. Sembrava avesse freddo, tremava. La stanza spoglia, il pavimento con le piastrelle verdi. Kathy stava per raggiungerlo, ma poi vide un disegno sulla porta a vetri che chiudeva la stanza: un fiore. Si avvicinò tremando e trattenendo il fiato. Stese la mano per toccare quel simbolo, ma prima che potesse farlo sentì di nuovo quella voce che la chiamava. Si girò verso il ragazzo e tutto sparì. La biblioteca ricomparve attorno a lei.

«Kathy, sai che ore sono?»

Si strofinò gli occhi mentre tentava di mettere a fuoco quel viso. «Tom?»

«A New York mangiavi di solito?»

Kathy non lo degnò nemmeno di una risposta e cominciò a raccogliere spaventata i fogli.

«È la terza sera consecutiva che non ti si vede a cena. Mi hanno chiamato dalla mensa.» Studiò i suoi occhi blu profondi: il colore era molto diverso da quelli di Michael. Era come se fosse più puro, ma almeno lui aveva ancora i capelli di una texture normale, scura, quasi tendente al nero. La sua chioma, invece, stava diventando quella di una strega: le sue ciocche sbiadivano e tendevano ormai pesantemente al grigio. Già essere un LWF non le sembrava una grande vincita alla lotteria genetica, se possibile tra gli LWF stessi si sentiva ancora più sfortunata. Rimpiangeva terribilmente il suo biondo naturale. Anche il colore delle sue iridi adesso si stava spegnendo.

«Stavo finendo una ricerca. Dopo passo a prendermi un panino.» Promise con la voce impastata. Cominciò a riordinare i fogli che aveva sparpagliati sul tavolo. La biblioteca era deserta.

«Ti hanno tolto la benda» notò Tom.

Kathy annuì mascherando uno sbadiglio. «Stamattina, giù in infermeria: adesso il polso è quasi a posto. Un'altra settimana e riprendo gli allenamenti.»

«Hai fregato i cerotti, come fanno i bambini?» Il ragazzo indicò l'adesivo blu con balene bianche che campeggiava poco distante dal polso.

«Non è niente!» Kathy lo stracciò. Lo strappo la costrinse a sussultare. Stava per buttarlo, ma Tom glielo prese di mano.

«Questo è della Lotus, lo riconosco: sono quelli che mandano agli ospedali» C'era un tale desolazione nei suoi occhi. «Tu avevi dei dubbi? Pensavi di non essere LWF? Così avresti potuto tornare a casa?»

Kathy nascose la faccia tra le mani. Non voleva fargli vedere le sue lacrime, la sua debolezza.

Tom la prese tra le braccia. «Mi dispiace tanto, Kathy!» Rimasero così un lungo istante, poi Kathy si allontanò e lo ringraziò con un sorriso asciugandosi gli occhi, in imbarazzo.

«Passerà...me ne farò una ragione come tutti, col tempo.» Kathy tentò di cambiare discorso.

Un foglio dalla pila ammassata sulla scrivania cadde a terra. Tom si chinò per primo a raccoglierlo, ma lei lo spostò col piede spingendolo dietro di sé. Era il logo a forma di fiore e non voleva assolutamente che Tom lo scoprisse. In ogni caso, per ora non aveva trovato nulla: aveva scorso migliaia di simboli e niente da fare. «E' solo uno schizzo che mi ha regalato Michael.»

«Non pensavo disegnasse ancora. Michael è bravissimo. Quando la squadra è venuta a prenderci, mi hanno liberato prima di lui. Siamo entrati nella sua stanza: è stato come mettere piede in un fumetto, aveva tappezzato tutte le pareti di disegni e aveva solo con un paio di pennarelli neri a punta fine. C'erano cowboy ovunque! Credo sia stato l'unico modo che abbia trovato per non impazzire. Ho un paio di suoi disegni fantastici sulla mia scrivania, puoi venire giù a vederli se vuoi, così ti mostro la mia tana» la invitò Tom.

Kathy non si azzardò a chiedere nulla a Tom sul laboratorio o gli esperimenti che avevano subito: le pareva di camminare su un sentiero minato e poi aveva fatto una promessa e non voleva tradirla, non ora che aveva riconquistato faticosamente la fiducia di Michael. Aveva bisogno di sgranchirsi un po' le idee prima di cenare e di tornare nella stanza 412. In più lui era sempre nervoso quando gli diceva che il suo articolo non stava progredendo e che aveva bisogno di altre informazioni, così accettò di buon grado l'invito di Tom. Passò in camera a lasciare i suoi fogli e lo raggiunse.

Quando l'ascensore si fermò al pieno zero, la ragazza rimase per un attimo pietrificata a guardarsi intorno. Era come essere precipitati in una città di computer: impilati gli uni sugli altri con le loro lucine che trillavano nel buio. Le ricordavano un po' lo skyline di New York dal mare. Tom studiò il suo sorriso soddisfatto e la guidò, inoltrandosi tra le macchine, finché non giunsero alla sua postazione. Kathy si sedette sulla sedia facendola ruotare su sé stessa. Tom sorrise, ma non la fermò: a volte gli sembrava ancora una bambina. Prese un'altra sedia, si sedette di fianco a lei e riaccese i tre schermi davanti alla sua postazione. Tom le indicò una bacheca e diversi quadri appesi a poca distanza. Kathy si alzò curiosa: oltre ai disegni, c'erano alcune foto di quando era piccolo e una coi suoi genitori, chissà come aveva fatto a recuperarle.

«Tua madre non era LWF, giusto?»

«No, infatti, vedo che stai iniziando a prenderci l'occhio.»

«In realtà no, non ho la più pallida idea di dove io abbia preso quel gene. I miei non hanno nessuna caratteristica LWF visibile.»

«Può essere recessiva per diverse generazioni.»

«C'è qualcosa nella genetica, che mi spaventa molto» confessò Kathy tornando a sedersi, questa volta nella sedia a fianco.

«Tipo?»

«Il fatto che un solo gene può cambiare chi sei. C'è una tale imprevedibilità. È come se la nostra esistenza fosse appesa a un filo sottilissimo.»

Tom la guardò colpito. «Scusa, dimenticavo che sei un bianco. La poesia è dentro di te, anche se fingi che non te ne importi» la apostrofò riportando la sua attenzione sullo schermo.

«È questo, vedi, che mi dà sui nervi. Perché non posso essere io a decidere cosa mi piace? Perché deve essere un gene?»

«È solo una propensione, Kathy. All'interno di quella decidi tu.»

«E se io volessi spaziare?»

«Tu sei una ragazza strana, Kathy Richardson, strana, ma interessante.»

«Aspetta, quello è un cerotto blu!» Kathy indicò la sua parete dei ricordi. Si alzò e si avvicinò di nuovo al quadretto. «Hai rubato anche tu il test in infermeria?»

Tom annuì e scoppiò a ridere.

«Perché l'hai incorniciato?»

«Per ricordami che non c'è nulla di male in quello che sono, anzi. Il mio DNA mi ha regalato tantissime cose!»

«Non ti manca mai quello che ti ha tolto?»

«Certo, nessun uomo ha tutti i geni del mondo. Non ha senso passare la vita a rimpiangere i geni che non hai avuto, dovresti essere grato per quelli che hai» Era un modo di pensare la loro situazione molto diverso da quello di Kathy o di Michael.

«Ma così avresti potuto evitare quello che ti hanno fatto.»

«Hai ragione, sarei ancora al college e con tutte quei LAN party, sarei fregato! Probabilmente i miei mi avrebbero già tagliato i viveri. In realtà ne faccio diversi perfino qui, ma non dirlo in giro» le sussurrò Tom.

Kathy sorrise e si guardò attorno ruotando sulla seggiola. Le piaceva quel posto, anche se i computer non l'avevano mai particolarmente attratta; quel ronzio basso la cullava. L'intera stanza pareva immersa in una calma senza tempo, come se varcata la soglia di quell'ascensore, ci si potesse inoltrare in questa isola al di fuori dei confini del mondo e osservarlo senza l'angoscia, la paura o la rabbia: svuotava la testa, faceva silenzio. Kathy si alzò e si incamminò verso la vetrata. La valle sprofondava sotto di lei con le luci delle baite sfavillanti nel buio e i lampioni che seguivano le stradine di montagna mentre si inerpicavano su per le salite fino a scomparire tra i boschi. Anche il senso di vertigine da lì era come ovattato. Era una serata serena e carica di stelle; avrebbe potuto rimanere lì per sempre. Se possibile, c'era una vista ancora più bella della stanza 412. Guardò sopra di lei e il suo cuore cominciò a battere all'impazzata. E se Michael la stesse aspettando su? Doveva trovare una scusa e raggiugerlo in fretta. Corse da Tom e gli disse che aveva una fame da lupi, quindi si fermò in mensa, prese alcuni panini rimasti nel frigo e corse a riprendere l'ascensore verso il quarto piano. Un po' le dispiaceva: Tom era stato gentile con lei, ma non poteva mollare Michael senza preavviso. Quando entrò in camera la stanza era immersa nel buio.


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