In frantumi [New]

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Michael si lavò la faccia e poi iniziò a strofinare nervosamente le mani col sapone. Avrebbe preso a pugni lo specchio se avesse potuto, tanto odiava quella immagine che non riconosceva più, quel volto che la vita gli aveva strappato via imponendogli una maschera. Si era fidato, aveva fatto l'ennesimo salto nel buio. Nonostante quello che aveva passato, si era detto di dover tentare, almeno un'altra volta, per quanto dura fosse abbassare le difese e lasciare entrare qualcuno nel suo mondo, eppure, si era sbagliato, di nuovo. Kathy non si era vista a cena, così era andato a cercarla, ma era arrivato tardi. Le porte dell'ascensore della biblioteca si erano aperte e li aveva visti abbracciati l'uno all'altra, Kathy, tra le braccia di Tom, il suo miglior amico, l'unica persona in tutta la scuola con cui non dovesse fingere di essere chi non era. E ora?

Aveva lasciato che l'ascensore suonasse e infine le porte si erano richiuse e lui si era mosso come in apnea fino alla stanza 412. Non era andato nella camera che il padre aveva approntato per lui per quei momenti, con pareti insonorizzate e muri di cemento armato rinforzato: quella gabbia gli ricordava quanto fosse sul limite di un abisso. Era venuto lì, nella stanza in cui per la prima volta, da anni, si era sentito un ragazzo normale, con Kathy. Non era stato un colpo di fulmine, non era stato lui il primo a provare qualcosa. Aveva sentito il suo cuore battere così forte; in fondo, era rosso e quello era il suo potere: percepire le emozioni altrui... dolore, amore. Lentamente quel battito accelerato, quel flusso si era rivelato più indispensabile per lui. Le aveva chiesto di fuggire insieme, le aveva promesso di portarla via da lì: cosa poteva fare di più? Perché Kathy perdurava con quella indagine? Non poteva dirle tutta la verità. Non era pronta per sentirla e, comunque, conoscerla non l'avrebbe riportata a casa. La lista non sarebbe mai caduta, scoprire chi li aveva mutati, non avrebbe cambiato nulla.

Si trascinò nella camera e franò dietro al letto, seduto a terra, nel buio. In ogni caso, il pensiero di Kathy era l'unico che riusciva a riportarlo indietro dall'abisso di pazzia in cui rischiava sempre più spesso di cadere. Non aveva anche lui diritto ad un sogno, a sperare di vivere una vita normale? Accusare chi gliel'aveva tolta non avrebbe cambiato la sua storia, ma fuggire poteva ridargli la libertà. Aveva i suoi piani: doveva solo trovare un modo di uscire dalla scuola, sbloccare quelle porte e volare via.

Teneva lo sguardo fisso verso la vetrata: perso. Pensava sempre più spesso a come avrebbe potuto incontrare Kathy in un mondo senza LWF. La vedeva sfrecciare in bicicletta per Central park, passare in mezzo al traffico bloccato della cinquantanovesima. Finché, inaspettatamente, le auto partivano; l'autista frenava di colpo. Riusciva quasi a immaginare le scie sull'asfalto e la bici di Kathy che franava a terra. I suoi capelli biondi che volavano via nel vento e il suo cuore che si fermava in un istante eterno. Nei suoi sogni scendeva dall'auto senza fiato e correva verso di lei, l'aiutava ad alzarsi da terra, le spostava una ciocca di capelli dal viso e la guardava dritta negli occhi. Non era la Kathy che era stata, era diversa, come lui si immaginava sarebbe stata mutata, con gli occhi grigio cenere e le ciocche bianche e funeree, quel volto spavaldo, pallido e il sorriso acerbo che nascondeva una luce viva. Avvertiva il suo cuore soverchiare i clacson, le urla, le sirene della polizia.

«Come mai non hai acceso la luce?» Non si era accorto che Kathy fosse entrata. Alzò le spalle, ma non le rispose. Sentiva la rabbia montare di nuovo dentro di sé, invece doveva rimanere nel suo sogno. «Vuoi un panino?» chiese lei sedendosi al suo fianco nel buio.

«No, ho già mangiato, tu dov'eri?»

«Mi sono addormentata in biblioteca mentre facevo ricerche sul simbolo, mi dispiace. Per fortuna è arrivato Tom a svegliarmi, se no rischiavo di stare là fino a domani mattina» aggiunse la giovane addentando il suo panino. A sentire il nome dell'amico, Michael si irrigidì.

«Ha visto la tua ricerca?»

«No. Gli ho solo detto che era per scienze e che tu mi avevi regalato un disegno, non ha chiesto nulla» puntualizzò Kathy.

«Pensi che ti abbia creduto? Altrimenti lo dirà a David e mio padre lo verrà a sapere e non vuole che io cerchi informazioni.»

«Perché? È un tuo diritto capire cosa ti è successo e chi è stato.»

«Perché divento molto nervoso.»

«E adesso lo sei?»

«Sì, lo sono, non ho dormito questa notte.»

Kathy si concentrò sul panino, non sapeva cosa dire. Una parte di lei aveva paura, stava pensando se scappare da quella stanza; un'altra invece desiderava rimanere, abbracciarlo, voleva che gli rivelasse la parte più oscura dei suoi pensieri, quella che nascondeva a tutti nella scuola. Vederlo così affranto la distruggeva: si sentiva impotente e in colpa. Era stata lei a tirare fuori i suoi fantasmi, ma dal suo punto di vista non c'era un altro modo per affrontare i ricordi più dolorosi. Altrimenti, Michael non si sarebbe mai liberato delle sue angosce. A volte, la verità fa male: è come strappare un cerotto; presto o tardi verrà via, non ci puoi fare niente, non ha senso sprecare tempo e paure ad aspettare che si stacchi da solo. «Se vuoi che rallentiamo l'indagine non ci sono problemi.»

«No, anzi voglio che tu finisca il prima possibile... e se tu non te ne andassi in giro col mio migliore amico, divertendoti alle mie spalle, invece di fare quello che mi hai promesso, te ne sarei grato.» Si allontanò da lei e si sedette sulla moquette in un angolo.

Quelle parole la ferirono: l'aveva vista con Tom, sapeva che gli aveva mentito, ma non l'aveva fermata. L'aveva lasciata andare e ora aveva covato in sé la rabbia. Quella "maledetta indagine" l'aveva cominciata soprattutto per lui, per quello che lui le aveva detto, per salvarlo. Ora non poteva trattarla così: sentiva la rabbia e la vergogna montare dentro. Non aveva più voglia di rimanere in quella camera. Si girò verso la porta.

«Sì, brava, vattene, vai a cercare Tom. Lui è sempre gentile e di sicuro non ti fa del male. Vattene!» tuonò Michael alzandosi in piedi.

«Tu sei un ingrato! Sto lavorando giorno e notte per le nostre ricerche, ho anche smesso di studiare per i miei test. Perché credi mi sia addormentata in biblioteca? Ero sfinita! Volevo arrivare qui con una buona novità, con una risposta, invece niente. E tu cosa hai fatto in tutto questo tempo? Quante ricerche? Scommetto che te ne sei andato a giocare a basket. Sai che ti dico? Hai ragione, Tom non si comporterebbe mai come tu ora!» scoppiò Kathy.

«Allora perché non chiedi a lui di scappare insieme? Avanti!» la provocò Michael puntandole il dito contro.

Kathy notò che i suoi occhi erano mutati, erano di un colore scuro, livido, come il cielo un secondo prima della tempesta. «Guarda che anche lui vorrebbe scoprire la verità... Non ha mai problemi a parlarmi della vostra storia, sei solo tu che ne hai.»

«Forse, infatti, a me non interessa la verità. Sei tu che mi vuoi convincere a scoperchiare quel vaso di pandora! Non posso più cambiare quello che sono!» Michael abbassò le spalle e si accasciò a terra.

Kathy corse da lui e lo prese tra le braccia. «Vedrai che troveremo una soluzione» sussurrò. Sentiva il suo cuore battere così forte, le sue lacrime scorrere sul viso. Non erano mai stati più vicini.

«Io non guarirò. Lo capisci o no?»

«Non puoi saperlo, Michael. Sei già cambiato in passato, potresti farlo ancora in futuro.»

«La mutazione avviene una volta soltanto. Ora vattene, ho bisogno di stare da solo.»

Kathy indietreggiò, ma poi si bloccò, incerta. Era a pochi metri da lui e avrebbe tanto voluto ricomporre quel cerchio, quell'abbraccio. Michael si girò verso la vetrata. Inspirava a fondo, lentamente, come per calmarsi.

«Posso stare qui con te? In silenzio. Ti prego!» Kathy trattenne il fiato. Sentiva già gli occhi colmi di lacrime: non voleva che lui l'allontanasse di nuovo, non l'avrebbe sopportato.

«Vai via!» urlò lui deciso senza guardarla.

Kathy allungò il braccio per toccargli la spalla. Fu un attimo: la vetrata davanti a loro rimbalzò su sé stessa, come se fosse attraversata da un'onda o da un sussulto e poi esplose in mille pezzi, scaraventandoli uno distante dall'altra a terra, nel buio più totale. L'aria fredda le investì il viso con forza. Sentì i vetri trapassarle la cane, il respiro corto, il suo cuore galoppare come un cavallo imbizzarrito. Vedeva la stanza girare. Nel buio intravide una sagoma alzarsi, sorpassarla con un passo e svanire nel nulla, oltre la porta, quindi perse i sensi.

Suzanne era stesa nel letto e fissava le ombre della tenda sul soffitto. Sentiva i tocchi delicati di Jamson tra i capelli mentre le massaggiava la testa. La fitta che l'aveva sorpresa a cena stava scemando e sentiva meno nausea in gola. «Saresti dovuto rimanere giù, davvero non serviva.»

«Devi farti rivedere dalla Lorenz questa settimana è il terzo attacco» le ricordò Jamson.

«Non fare il solito melodrammatico! Ti prometto che non morirò. Guarda che ho sempre avuto questi attacchi!»Suzanne si sforzò di sorride. Jamson per un attimo studiò le sue labbra dolci incresparsi. «Mia madre chiamava sempre la vicina.»

«La magica signora Han! Da come ne parli sembra più una shamana che una massaggiatrice.»

Suzanne respirò profondamente. Il volto a piaghe di quella vecchina abbronzata dagli occhi a mandorla si fece largo nella sua mente. «Lei diceva che il mio Yin era forte, ma represso, che lottava per essere liberato. Ma lo Yang non lo permetteva, metteva freni.»

«E tu ci credi davvero?» chiese Jamson scettico.

«Se ci pensi è comunque strano che quella donna avesse percepito la mia natura diversa, senza aver nemmeno mai preso in mano un microscopio. Il suo infuso di mandragole comunque faceva miracoli.»

«Possiamo convincere la Lorentz a lasciarci andare per i campi in cerca di mandragole.»

«Non credo siano molto comuni nelle Alpi e poi la Lorenz non mi permetterebbe mai di ingerirla. La signora Han diceva che se sbagli le dosi è velenosa.»

«Farò qualche ricerca se ...» promise Jamson.

Non fece tempo a finire la frase che Suzanne scattò seduta, col respiro rotto. Allora la stanza iniziò a tremare per pochi istanti. La ragazza piantò le mani nella coperta terrorizzata.

«Cosa succede?» mormorò Jamson perplesso guardarsi attorno. Suzanne non disse una parola, prese la porta a piedi scalzi senza nemmeno rispondergli e scomparve in corridoio.

Tom stava guidando il suo elfo verso la "corona di Ghiaccio", il monumento alla sofferenza delle Shadowlands di Word Of Warcraft. La neve scendeva copiosa nel videogioco e si appoggiava su quelle scalinate fredde. Era talmente realistico che si era messo la sciarpa per giocare quel livello. Sentiva la musica spettrale nelle cuffie; il mantello del suo elfo sussultava sbattuto dal vento virtuale. C'era fin troppa calma su quella scalinata; Tom stava scrutando l'oscurità in cerca di nemici. Doveva inoltrarsi fin dentro al palazzo per la sua missione e non voleva fallire. Brava all'idea di coronare quella serata perfetta con un successo. Si trovò davanti una schiera di demoni in riga, in assetto di battaglia, al di là il trono vuoto e quella pietra che riluceva nell'oscurità. Una fiammella vibrava a ogni bava di vento. L'orda di nemici gli urlava contro, quasi sfidandolo ad avvicinarsi. I loro versi sembravano quelli di animali pronti a sbranare una preda. Impugnò il suo arco e tese la freccia: adesso o mai più. L'ombra del suo elfo si specchiò per un attimo sul ghiaccio tenebroso. Digitò velocemente sulla tastiera la combinazione e scagliò il primo gruppo di frecce su quella schiera infernale.

Fu allora che percepì l'esplosione. Si guardò attorno stupito, si tolse le cuffie che caddero a terra. Corse alla vetrata: tutto ciò che vide furono frammenti che precipitavano nel vuoto verso valle. Tornò di corsa alla console, minimizzò il gioco, con il fiato corto e le mani che tremavano, passò da una telecamera all'altra, ma non vedeva nulla. L'allarme segnava una breccia al quarto piano, pochi livelli sopra di lui. Prese la ricetrasmittente e corse verso l'ascensore. La camera in fondo a quel corridoio doveva essere vuota per ristrutturazione! Aveva una bruttissima sensazione. Non era mai successo nulla, nessuno aveva mai provato a entrare nella scuola. Era veramente possibile che li avessero trovati? Schiacciò nervosamente il tasto dell'ascensore più volte finché le porte si chiusero dietro di lui.

Roxy si appoggiò sfinita sul sedile del jet che stava decollando dalla pista dell'aeroporto turistico di Indianapolis. Guardava la ragazza davanti a lei: il suo fiore di loto blu riluceva nell'oscurità. Questa volta niente polizia, sirene o inseguimenti. Aveva seguito il piano per bene, le aveva detto tutta la verità, non l'aveva ammanettata a una moto. Quella ragazza che aveva di fronte era molto diversa da Kathy. Aveva abbassato le spalle e aveva mormorato: «dovevo immaginarmelo. Forse in fondo l'ho sempre saputo». Quelle parole le avevano strappato il cuore: Roxy era così. Non riusciva a non essere coinvolta. Sapeva che era la sua indole genetica, ma come poteva fare a non entrare in sintonia con quelle ragazze?

David era stato chiaro: "niente trasporto emotivo". Se avesse scoperto la realtà, le avrebbe tolto quel compito; invece, a Roxy piaceva così tanto. Le sembrava di avere uno scopo, finalmente. Con Kathy aveva fatto molti errori: era andato tutto storto. Riaprì la scheda che aveva preparato e osservò Liv dormire profondamente davanti a lei, col rimmel scuro ancora colato ai lati degli occhi, i capelli corvini, la pelle chiara. Le sue iridi color mandorla sarebbero cambiate. Finalmente Kathy avrebbe avuto qualcuno con cui condividere la sua strada, le lezioni e, col tempo, si sarebbe tranquillizzata. Era come se Roxy riuscisse a percepire la sua angoscia da chilometri di distanza. Gli ultimi due giorni però il segnale si era come spento. Forse, finalmente, aveva messo la testa a posto e stava studiando o si era già fatto qualche amico? Terminò il rapporto e lo chiuse.

Kathy non aveva idea di cosa comportava essere un LWF ed era meglio così. Non era necessario mutare, avere i poteri. Quelle capacità erano anche difficili da controllore e molto spesso pesanti da portare. Lei sentiva l'angoscia di Kathy, ma non solo quella, anche il dolore, fortissimo. Quando si era fatta male al polso le era parsa davanti agli occhi la scena per un secondo. Non aveva visto il viso di Michael, ma il suo braccio che le stringeva il polso e il gemito di dolore di Kathy l'aveva attraversata, quasi fosse stata al suo posto. Decisamente si era lasciata troppo coinvolgere da Kathy. La verità era che si sentiva in colpa: pensava che se fosse riuscita a portarla in salvo prima, per esempio all'uscita da scuola, tutto sarebbe andato liscio e Kathy avrebbe accettato più tranquillamente la sua nuova condizione. Invece le aveva lasciato salutare i suoi genitori, forse per nostalgia di non averlo fatto a sua volta, prima di finire in quel posto assurdo. E poi si era trovata la polizia e la preside tra i piedi. Se Kathy non fosse fuggita, Roxy avrebbe fallito quel recupero, questa era la cruda verità: quella giovane LWF aveva rischiato davvero troppo per salvarsi.

Chiuse gli occhi e cercò di addormentarsi. Una fitta profonda le trafisse la spalla facendole mancare il fiato. Per un attimo il respiro venne come risucchiato: l'unico flash che ebbe fu di un liquido scuro che si spandeva a chiazza d'olio tra i riflessi di vetri, poi tutto scomparve. Si guardò attorno preoccupata; prese il telefono di bordo e compose un numero che sapeva a memoria.

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