Troppo forte [New]

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«È morta, vero?» ripeté la voce rotta di pianto di Roxy al telefono.

David rimase stupito con la cornetta a mezz'aria: era in pigiama, nella sua casa, nel villaggio sotto la scuola. Erano quasi le nove e sua moglie Ariel stava litigando con le gemelle che non ne volevano sapere di andare a letto. Il salotto era tutto un rincorrersi: cuscini che volavano, urla della moglie. Il caos assoluto; prese il cordless e cambiò stanza.

«Roxy, sei tu?» Gli era sembrata la sua voce, ma non ne era certo, ora sentiva solo un pianto dall'altra parte della cornetta. «Fai un bel respiro, calmati e dimmi cos'è successo? C'è stato un problema col recupero?»

«No, Liv sta bene, sta dormendo. È decisamente blu. Ti hanno chiamato dalla Lotus Academy?»

«Non ancora perché?»

«Ho sentito Kathy morire» confessò Roxy con un fremito.

David rimase per un attimo senza parole. Il potere di Roxy l'aveva sempre lasciato attonito: come poteva aver percepito una sensazione o un'emozione di Kathy trovandosi dall'altra parte dell'oceano? Non si essersi accorto che avesse stabilito un legame così profondo con Kathy. Roxy gli aveva promesso di non farsi coinvolgere emotivamente ed era stata brava negli ultimi recuperi, anche quando la situazione si era complicata. Per ora non aveva tempo di parlare con lei del perché era nato quel legame. Roxy non si era mai sbagliata su queste visioni. «Calmati, sento subito e ti aggiorno. Mrs. Lorenz è ancora a scuola. Faremo il possibile. Dimmi esattamente cosa hai visto.»

«Una moquette, una stanza buia, dei vetri per terra dappertutto e tantissimo sangue» descrisse Roxy con la voce rotta. Poi riportò della fitta che aveva avuto alla spalla.

«Sta tranquilla, ci pensiamo noi» chiuse David mentre si infilava i pantaloni e la giacca direttamente sul pigiama. Scrisse un biglietto per la moglie, lo lasciò sul tavolo della cucina, prese le chiavi della macchina e uscì nella notte tersa.

Senza attendere oltre accese il mezzo: doveva andare a prendere la funivia, che sarebbe stata spenta e quando fosse arrivato in cima c'erano almeno altri venti minuti a piedi di passo spedito, anche se li avesse compiuti di corsa sarebbe arrivato tardi. Non c'erano elicotteri disponibili e non poteva aspettare che tornassero da Berlino. Compose il numero dall'auto e sentì il telefono squillare più volte. Era il diretto dell'infermeria, continuava a suonare a vuoto. Al terzo tentativo attaccò e compose il numero di Tom. Forse dalla sua postazione aveva visto qualcosa. Vetri infranti? Come era stato possibile? Le pareti di specchi della scuola erano infrangibili! Dovevano averlo colpito con una granata o una bomba per abbatterle. Dal villaggio però non avevano udito alcun boato. Sentì squillare due volte poi una voce incerta rispose.

«David, per fortuna sei tu: è successo il pandemonio qui» esordì Tom.

«Mrs. Lorenz è lì con te?» Voleva parlare con un adulto. Non che Tom non lo fosse, ma aveva pur sempre ventitré anni e sembrava decisamente sconvolto. Sentì armeggiare col telefono e una voce di donna che lo invitava a passargli la comunicazione.

L'infermiera afferrò la cornetta. Tornò per un attimo in corridoio alla luce. Nella camera perfino l'elettricità aveva smesso di funzionare, come se fosse scattato un corto circuito. Il corridoio era pieno di studenti curiosi e spaventati. Quando la videro comparire calò il silenzio. Suzanne piangeva ancora e rifiutava di allontanarsi dall'uscita di sicurezza, probabilmente era sotto shock. Era stata la prima ad arrivare sulla scena. Continuava a ripetere la stessa frase. «Michael se ne è andato!»

«Kathy è messa male. Ha perso tantissimo sangue. Sai che io non posso operarla, ci vuole mio marito, ma è a Bruxelles e prima di domani non credo riesca a essere qui.»

«Sto arrivando, puoi usare anche il mio sangue.»

«Potrebbe essere morta in meno di un'ora, se non trovo un modo per arrestare l'emorragia.»

«Hai il siero?» La sua domanda cadde come un sasso nello stagno. Sapeva quello che aveva chiesto e anche il suo cuore aveva fatto lo stesso salto, ma quale altre alternative ormai potevano avere?

«Sei sicuro, David? Dopo non si torna indietro!» gli ricordò la donna.

«Non voglio perdere nessuno dei nostri studenti, stasera.»

«Nemmeno io» rispose l'infermiera. Guardò Jamson inginocchiato a fianco della ragazza che ne studiava le ferite. Tom era immobile dietro lui, pareva sconvolto.

«Vedi alternative?»

«No, in realtà no, ma non sono molto lucida. L'idea che sia stato Michael a fare questo è terribile, quasi peggio del pensiero che sia scappato e ora si trovi da solo chissà dove, ferito e totalmente fuori controllo. Suzanne giura di averlo visto fuggire. L'uscita di sicurezza era aperta, ma non può averla sfondata a spallate! La parte finale del corridoio è al buio, forse il corto circuito ha interessato anche la porta. Non avevano garantito che resistesse ad un assalto armato?»

«Me l'hanno assicurato quando l'hanno montato, non so che dirti. Sei certa sia stato lui a fare tutto questo?» gli chiese David desolato. Il suo potere era diventato talmente forte da non riuscire a controllarlo? Perché non aveva chiesto aiuto?

«L'antisiero non stava più funzionando, David. Roxy mi aveva avvertito che aveva già perso il controllo con Kathy, qualche giorno fa a cena. Le ha quasi rotto il polso e ora questo. Non è un caso.»

«Perché Kathy? Perché adesso?» David si passò una mano sulla fronte perplesso.

«Prendo il siero: quando arrivi, vieni in infermeria. Io mi faccio aiutare a trasportarla.» Mrs. Lorenz si impose di reagire: sapeva che ormai avevano i minuti contati. Aveva bisogno di Jamson, ma non di Tom. Si girò verso di lui. «Quanto sei veloce a correre?».

«Non sono un rosso.»

«Ma tieni a Kathy, giusto?» Mrs. Lorenz fregò nella tasca e gli passò un paio di chiavi. «Il frigo bianco dietro la scrivania, questo apre il lucchetto.»

Tom mollò il telefono a terra e cominciò a correre. Invece che prendere l'ascensore prese le scale di sicurezza. Tutti lo guardavano passare ammutolendo. Non si era nemmeno accorto che aveva la maglietta sporca del sangue di Kathy. Era tutto così assurdo. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine del suo corpo esanime a terra con un frammento di vetro conficcato nella spalla. Era stata lì con lui fino a poco prima. Perché aveva raggiunto Michael in quella stanza? Non riusciva a credere che il suo migliore amico l'avesse quasi uccisa. Sentiva le mani formicolare e l'equilibrio molto precario tanto che si appoggiava ai muri nel procedere, ma non si sarebbe fermato: ne andava della vita di Kathy. In poche settimane quella ragazza aveva cambiato tutto. Non si era accorto che qualcosa non andava tra lei e Michael. Non li aveva nemmeno mai visti assieme negli ultimi giorni. Come avevano scoperto l'esistenza della stanza 412? L'idea di pensarli lì da soli, al di fuori del suo controllo, lo ferì più di quanto fosse disposto ad ammettere.

Entrò in infermeria praticamente in apnea, aprì il lucchetto, lo lasciò scivolare a terra senza troppe cerimonie, prese una manciata di siringhe già pronte col siero. Chiuse il frigo facendo sbattere la porta e riprese il corridoio. Quasi urtò Luke che l'aveva seguito fino all'infermeria per offrire il suo aiuto. Tom si scusò con gli occhi e poi ripartì di corsa. Arrivato al piano, rallentò. Era come se improvvisamente avesse compreso cosa sarebbe successo a Kathy, esattamente ciò che era capitato anche a lui, il giorno più terribile della sua vita. Recuperò il proprio coraggio ed entrò nella stanza, passò le siringhe a Mrs. Lorenz che non perse altro tempo. Intanto, insieme all'aspirante medico, avevano ripulito alcune ferite di Kathy ed estratto il pezzo di vetro più grosso. Ora Jamson stava tenendo premuto un asciugamano sulla ferita, per tentare di diminuire l'emorragia. A Tom la sola idea di avere il sangue di Kathy sulle mani faceva girare la testa; Jamson sembrava quasi indifferente, non si capacitava di come facesse. Mrs. Lorenz applicò la prima iniezione nel collo di Kathy decisa, seguita a stretto giro dalla seconda. Quindi si fermò, sentì il polso e attese. Quando il battito scomparve infilò la terza siringa nel collo di Kathy, poi si ritrasse, come spaventata da quello che aveva fatto. Rimase lì col dito sulla giugulare, pregando. Non salvarla, equivaleva ad ammettere che suo figlio, il sangue del suo sangue, era questo ora: un assassino, un mostro, in questo l'avevano trasformato. Chiuse gli occhi e si concesse un profondo respiro. Allora sentì il battito, tenue, ma regolare. «Brava ragazza, così!»

Tom si concesse un profondo respiro, anche se non riusciva a smettere di tremare. Gli pareva che le sue gambe stessero per cedere. Jamson lasciò il campo all'infermiera, come da istruzioni, lo prese tra le braccia e cercò di tranquillizzarlo.

«Andate a prendere la barella in infermeria. Devo chiamare mio marito.»

Jamson trascinò l'amico in corridoio, recuperarono Luke vicino agli ascensori e presero a correre verso l'infermeria.



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