Stanza 412 [New]

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Kathy inspirò a fondo e chiuse gli occhi. Si trovava sdraiata su un tappetino in un angolo della palestra della scuola. Sentiva lo scalpiccio delle scarpe: alcuni ragazzi, tra cui Jamson, stavano giocando a Basket tre contro tre. Aveva ripassato con Suzanne per quasi un'ora, ma poi l'aveva lasciata sugli spalti a studiare per sgranchirsi le gambe e allontanare i pensieri. Era pomeriggio inoltrato e fuori dalla vetrata la valle stava sprofondando nell'oscurità. La neve indugiava ancora nei campi e agli angoli delle strade giù nella vallata. Quello era l'unico luogo di quella scuola in cui si sentisse vagamente a casa. Per il resto il disagio di essere precipitata in un luogo inospitale e delirante non la lasciava mai.

«Con un polso rotto, me ne starei a letto venti ore al giorno» disse una voce dietro di lei. Kathy aprì gli occhi e vide sotto sopra la sagoma di Tom in pantaloncini e canottiera. Lo guardò stupita: non lo faceva uno sportivo e non l'aveva mai visto prima laggiù. Il ragazzo si sedette di fianco a lei.

Kathy si passò una mano tra i capelli sudati. «Sono abituata a farmi male, te l'ho già detto.» Si fermò un attimo incerta davanti agli occhi profondamente blu di Tom. Quel colore non faceva che lasciarla senza fiato. I suoi non erano ancora così intensi però. «Come mai in palestra, anche tu?»

«Mi ha chiesto Michael di sostituire Luke che ha un esame: giochiamo tre contro tre la prossima ora.»

Kathy si guardò intorno circospetta. Non vedeva Michael da più di tre giorni, dalla sera in cui le aveva quasi rotto il polso. In un certo senso la lontananza forzata aveva inaspettatamente portato la sua mente a pensarlo sempre più spesso. Rimase un attimo incerta se accampare una scusa e darsi alla fuga prima che comparisse o aspettarlo per parlargli. Tom la stava forse mettendo alla prova. In ogni caso, non aveva speranza di passare inosservata. Si morse la lingua, ma alla fine decise di fingere che Tom non avesse pronunciato quel nome. Ci mancava solo che riferisse cose spiacevoli a Roxy.

«Sono abbastanza negato, anche se mi diverto molto, sono un appassionato di NBA» continuò Tom.

Kathy gli sorrise. Le faceva piacere che si sganciasse dai computer ogni tanto. Anche perché così era meno probabile che si accorgesse che lei stava usando le sue credenziali seppure senza cercare di lasciare tracce visibili.

«Tanto è solo per staccare un po', giusto?» Kathy fissò per un attimo i ragazzi che stavano giocando in quel momento e senza distogliere lo sguardo da loro, prese coraggio e chiese a Tom la domanda che le ronzava in testa da giorni. «Come faccio a sapere se il mio nome e il mio DNA sono sulla "Lista"?»

Tom la guardò colpito. L'aveva chiaramente preso alla sprovvista. «Quella lista non è pubblica, lo sai!»

«La Lotus non è una ditta farmaceutica?»

«Non è americana, volutamente.»

«Non dirmi che un esperto come te non riuscirebbe ad avere una copia di quella lista.»

«Perché vorresti vederla? È chiaro che tutti i nostri nomi sono su quella lista, se no non saremmo qui.» Kathy forse non si stava rendendo conto di cosa gli stava chiedendo di fare cercando di accedere a quel database usando un proxy americano e impersonando gli IP di una ditta farmaceutica rivale.

«Non è così scontato come pensi, non se la mia professoressa di Scienze ha fatto quello che mi aveva promesso.»

Tom la guardò incuriosito.

«Mi ha detto che avrebbe messo il suo sangue al posto del mio nella provetta dell'esame genetico.»

«Spero che non l'abbia fatto. È un reato federale punibile col carcere e lo è altrettanto vedere quella lista impropriamente.» Non gli piaceva affatto la piega che aveva preso quel discorso.

«Evidentemente lei aveva più coraggio di te» aggiunse Kathy sprezzante.

«Non è di coraggio che stiamo parlando Kathy: è la legge!»

«Devo sapere se sono o no in quella lista e troverò un modo, legale o meno!»

Tom sospirò. Non capiva bene perché per Kathy fosse tanto importante. «Non posso farti avere quella lista, mi dispiace. Ma forse ho un contatto: un tipo che gioca con me online e lavora in una ditta farmaceutica a Seattle. Posso chiedergli se guarda se c'è o meno il tuo nome, ma niente più di questo.»

«Mi accontenterò, grazie. Ti devo un favore!» I ragazzi dell'ora precedente stavano lasciando il campo. «Salutami Michael» concluse prima di andarsene.

Risalì fino agli spogliatoi, quindi, entrò in quello delle ragazze, per ora deserto. Rimase vicina alla porta ascoltando le voci nel corridoio per diversi minuti; quando una voce che conosceva fin troppo bene passò a pochi metri da lì represse un brivido. Improvvisamente aveva dei dubbi su cosa fare e il polso le martellava fastidiosamente. E se Roxy avesse ragione? E se lui potesse farle di nuovo del male? Sentì la porta della stanza riservata ai ragazzi stridere. Prese il phon e si asciugò i capelli per ingannare l'attesa. Quando ebbe finito socchiuse l'uscio. Lo spogliatoio maschile era aperto: entrò di soppiatto trattenendo il fiato e si guardò attorno. Individuò la borsa di Michael in un angolo. C'era il suo nome sopra, non poteva sbagliarsi. Aprì il foglietto per controllare che tutti i dati fossero corretti.

"Camera 412, stasera. Dobbiamo parlare. K".

Lo infilò nella tasca dello zaino poi uscì in corridoio e rientrò nello spogliatoio delle donne. Aspettò qualche minuto che l'adrenalina rallentasse nel suo sangue, quindi, prese la sua borsa e si diresse verso la sua camera senza fermarsi. Davanti all'ascensore però cedette e lanciò un'occhiata alla telecamera. Da quando aveva visto dov'erano piazzate, non faceva che sentirsi osservata mentre attraversava i corridoi.

Il quarto piano era l'unica speranza. Oltre all'ascensore, le telecamere presenti erano sulle uscite di sicurezza. Per il resto quel piano era solo una stanza dietro l'altra e non c'erano studenti al momento. Tutte le camere risultavano non occupate e una stanza in fondo era stata tolta dal sistema di sicurezza per alcuni lavori di ristrutturazione, così diceva la nota di Tom. Era un doppio test: vedere se qualcuno si accorgeva del loro incontro e valutare se Michael era ancora disposto a fuggire con lei. Se Tom le avesse procurato quella risposta sulla lista, poi non avrebbero avuto più bisogno di lui. Non ci voleva un laureato per entrare col suo account e abilitare le aperture delle porte esterne. Doveva però stare molto attenta a non condividere l'accesso al sistema di sicurezza con nessuno, altrimenti si sarebbe giocata tutto il suo vantaggio: era un biglietto che valeva una corsa sola.

A cena entrò a testa bassa nella stanza. Si sedette di fianco a Suzanne e Jamson che mangiavano chiacchierando tra loro: di Michael e Luke non c'era traccia. Fissò con poco appetito il piatto di riso e carne che aveva davanti. Era nervosa per quell'incontro e, come sempre le succedeva, ciò le chiudeva lo stomaco. Forse non sarebbe venuto: in fondo, non era nemmeno certa che avesse avuto il bigliettino o che la riconoscesse in qualità di K. Improvvisamente le sembrò di nuovo tutto sbagliato, come se ci fosse una vocina in lei che gridasse: "Sei ancora in tempo. Non ti serve davvero il suo aiuto, per andartene di qui!"

Forse, in realtà, aveva bisogno di lui per restare. C'era un altro pensiero che la turbava molto: se scambiare il sangue era un reato e si erano presentati la sera stessa a casa sua, quanto ci avrebbero messo a capire chi era stato a fare lo scambio? Non si ricordava di telecamere nell'infermeria della scuola, ma quel sangue puntava dritto alla sua insegnante di scienze. Quanti anni aveva? Risultava già nella fascia dei DNA schedati? E se sì, cosa potevano farle? Quest'ultima ipotesi azzerò la sua fame residua. Sparecchiò sommariamente, passò in camera sua a recuperare il tablet e infine prese l'ascensore verso il quarto piano.

La stanza 412 era quasi in angolo, molto vicina alla parete rocciosa, in fondo al suo corridoio di pertinenza. Quando entrò ebbe un senso di smarrimento e confusione insieme. L'arredamento era simile alla sua, ma l'ambiente era molto più grande; il letto era enorme, perfino più di un matrimoniale e sulle tende campeggiava un fiore di loto gigante: assomigliava a una suite. Curiosò anche nel bagno e rimase stupita a guardare la vasca. Divertita decise di entrarci, tutta vestita e di stendersi là dentro per provare la sensazione. Non aveva mai visto una vasca di quelle dimensioni! Ovviamente non era il momento per farsi un bagno, ma il pensiero di tornarci un altro giorno, la divertiva. Come se avesse trovato un piccolo angolo segreto di mondo, in cui poter essere ancora sé stessa. Voleva una sola persona, al momento, insieme a lei. E se non si fosse presentato? Scacciò l'idea e si concentrò sul tablet. Accedette con l'account di Tom. Recuperò le testate giornalistiche che aveva usato in precedenza e cercò qualche riferimento alla sua professoressa. Sullivan però era troppo comune e non si ricordava il nome di battesimo. Tentò d'incrociarlo con quello della sua scuola. Un paio di articoli li riconobbe a vista dalla foto, ma l'ultimo la lasciò senza parole. "Complice nel rapimento?": titolava il Manhattan News. Kathy stava per cominciare a leggere quando sentì un rumore nella camera e si drizzò in allarme. Rimase immobile trattenendo il fiato finché un ciuffo rosso non spuntò dalla porta e Kathy tirò un sospiro di sollievo.

«Come hai fatto a trovare questo posto?» Michael entrò nel bagno stupito; quindi, aprì una porta a vetri a poca distanza dalla vasca. «Una sauna, nemmeno sapevo ne avessimo una!» rise contento sedendosi all'interno.

«Non accendere nulla, se vedessero i consumi potrebbero beccarci.»

Michael si girò verso di lei colpito. «Chi sei tu davvero? Dov'è Kathy, la sprovveduta ragazza allergica?» sbottò lui.

«Non sono così sprovveduta e non sono allergica a niente, a parte il nichel, ovvio» replicò Kathy punta sul vivo. Tentò di uscire dalla vasca, ma con una mano sola non era così semplice.

Michael sorrise, si alzò e la aiutò a scavalcare. «Ne varrebbe la pena, sai!»

«Cosa?»

«Passare un pomeriggio qui, anche a costo di essere scoperti, facendo la sauna e immergendosi nella vasca e poi rilassarsi su quelle comodissime sdraie affacciate alla finestra» aggiunse tornando nella stanza.

«Al momento sono sorvegliata speciale e non so ancora a chi Roxy abbia lasciato il compito.»

«Non vedo telecamere in questa stanza» obbiettò Michael sdraiandosi su una delle sedie e sgranchendosi il collo. «Questo è ufficialmente il miglior appuntamento di sempre» aggiunse sorridendo lui.

Kathy arrossì. «Non è affatto un appuntamento, toglitelo dalla testa, dobbiamo solo parlare!»

«Perché non parlare comodi?»

«E va bene» Kathy cedette e lo imitò.

«Cos'hai fatto a Roxy?»

«Ha visto il nostro alterco dell'altra sera a cena e adesso mi sta addosso come un cane da guardia.»

«Mi dispiace, Kathy, davvero, non volevo farti male! Quando mia mamma mi ha detto del tuo polso mi sono sentito malissimo. In effetti non merito questo posto e nemmeno che tu mi copra.»

«Ho toccato un tasto dolente, lo capisco, ma...»

«Che ma può esserci? Non ho scuse, davvero.»

«Intendevo, ma avevo le mie buone ragioni per farlo e volevo mostrartele.» Michael la guardò scettico. «Lasciamo stare Jacob, per ora. Questi articoli parlano di me» Kathy glieli passò a uno a uno.

«Come li hai avuti?» Michael alzò gli occhi su di lei colpito.

«Tom.»

«Vedo che qualcuno ha un ascendente molto più forte di me su di lui!»

Kathy incrociò le braccia e lo fissò fingendosi imbronciata. «Al di là che dovevo chiederti il permesso prima di farne parola con gli altri, la tua storia è davvero da raccontare!»

«O da dimenticare più in fretta possibile» Kathy piantò gli occhi sulla vetrata. «Pensi mai di essere nel posto sbagliato?»

Michael annuì, ma non la interruppe, la lasciò continuare.

«Io non ho niente a che fare con questo posto, non credo nemmeno di meritare di stare qui. Dovrei tornare e sistemare tutto il casino che ho fatto a casa.»

«Non è colpa tua, Kathy, non hai scelto tu di essere un LWF.»

«Il siero si sbaglia. Io non ho niente di uguale a voi.»

«Al momento hai due bellissimi occhi di ghiaccio e una cascata di capelli biondissimi» puntualizzò Michael sorridendole.

«Non amo le scienze o la genetica e la sola idea di passare i prossimi anni in quella biblioteca, invece che fuori, mi uccide. Io volevo solo entrare nella squadra di pallavolo del college e diventare una professionista: è sempre stato quello il mio sogno. Non possono portarmi via tutto, non così!» sussultò Kathy scoppiando a piangere.

Michael si alzò e si sedette di fronte a lei. Kathy era seduta con le ginocchia al petto, come una bambina in punizione. «Hai ragione. Nessuno ha diritto di tenerti qui o di chiederti di rinunciare ai tuoi bellissimi sogni» sussurrò lui aggiustandole una ciocca dietro ai capelli.

«Era la sera prima della mia festa. Almeno quella! Non posso andare al college. A cosa mi serve studiare, se poi sono costretta a vivere qui?» continuò Kathy nascondendo il viso tra le ginocchia.

«Ti porterò fuori di qui, è una promessa» Michael le alzò il mento dolcemente con un dito. «Io e te, insieme. Ci riprenderemo la vita che ci spetta, ci stai?» Le offrì la mano.

«Posso darti il gomito se vuoi» rispose Kathy scoppiando a ridere tra le lacrime.

«Andata allora! Ora spiegami cosa non ti torna in queste notizie, detective!» La prese in giro invitandola a proseguire.


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