3. Il marchio

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Alex accompagnò Destiny fino al suo armadietto; aveva appena finito di parlare con il preside, che le aveva assegnato il programma delle lezioni.
-Ci sono molti corsi interessanti- osservò lei mentre lo rileggeva.
Il ragazzo alzò le spalle. -È il liceo migliore della contea, si sta bene qui.-
Destiny controllò il codice per aprire l'armadietto. -Ah sì? Beh qui a Malkres ci si vanta di molte cose.-
Alex non poteva essere più d'accordo. -È vero, ma credo che essendo la capitale della contea forse l'assemblea si sente un po' troppo influente.-
Destiny fece un sorriso sghembo. -Mi piace come ragioni, Alex- commentò mentre apriva il suo armadietto. -Credevo che tu fossi più un tipo che segue le regole per essere omaggiato.-
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. -E cosa te lo ha fatto pensare?-
Destiny ridacchiò. -Non so, forse quella finta aria da menefreghista e la decina di trofei con il tuo nome esposti vicino all'entrata.-
Alex si rese conto di quanto la sua interlocutrice fosse attenta ad osservare. -Quelli?- fece lui alzando le spalle. -Nulla di che.-
Destiny si morse il labbro inferiore. -Oh, ne sono certa- rispose; il suo tono di voce era lascivo ed Alex non si lasciò sfuggire questo dettaglio. -Un vero leader non si vanta mai dei propri successi.-
-Lascia che siano gli altri a ricordarglielo- concluse lui, appoggiandosi con la schiena alla parete degli armadietti.
Destiny lo osservò con sguardo attento, sollevando leggermente il labbro. -E tu, Alexander?- incalzò. Il ragazzo sentì una scossa nel sentirle pronunciare il suo nome completo. -Sei un vero leader o preferisci seguire gli ordini?-
-E di chi dovrei seguire gli ordini?-
Qualcosa scintillò negli occhi smeraldo di Destiny, una luce che Alex era fiero di aver causato. Il ragazzo sentiva i suoi muscoli contrarsi per cercare di avvicinarsi a Destiny, come se non riuscisse a starle più lontano di qualche centimetro. Quella spinta era qualcosa che non aveva mai provato ed era la cosa più eccitante che gli fosse capitata nelle ultime settimane. Il modo in cui quella ragazza lo aveva sfiorato, facendo scivolare via tutto il suo dolore, era impresso nella sua mente ogni secondo che la guardava. Non riusciva ad andarsene, voleva sapere di più... voleva sapere tutto di lei.
Destiny richiuse l'armadietto. -È stato un piacere conoscerti- fece sorridendo. -Ora devo andare in classe.-
-Se ti serve qualcos'altro, chiamami- si congedò Alex, staccando la schiena dalla parete degli armadietti.
La ragazza lo guardò inarcando un sopracciglio. -Ti dovrei semplicemente venire a cercare?-
Lui sorrise. -Ti basta chiedere di Alexander Campbell, tutti qui sanno chi sono.-


-Sono già passate tre ore e non si è ancora fatto vivo.-
Hailey stava cercando il libro di storia nell'armadietto; Kayla era in piedi accanto a lei, cercando di tranquillizzarla come meglio poteva; Elijah non era venuto a scuola né aveva contattato la sua ragazza per informarla di dove fosse finito.
-Forse sta male, capiterà anche a lui ogni tanto- tentò Kayla, sistemandosi i capelli corvini davanti al piccolo specchio che teneva appeso nel suo armadietto: aveva il vizio di controllarsi in ogni riflesso che si trovava davanti, ossessionata dall'idea che il suo aspetto dovesse essere sempre perfetto.
Hailey prese il libro e chiuse il suo armadietto. -Sì, forse hai ragione.- Sistemò lo zaino e se lo mise su una spalla. -Anche se non si ammala mai- si contraddì. -Avrebbe potuto chiamarmi.-
Kayla afferrò il suo zaino e chiuse l'armadietto senza risponderle. Faceva spesso anche questo: Hailey le parlava e lei si distraeva perdendosi nei suoi pensieri. Stavolta, però, aveva un buon motivo.
Il suo migliore amico, Alec, era scomparso da quattro giorni e quella fatidica notte Kayla era certa di aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto. Ricordava perfettamente cosa fosse successo il giorno della sua scomparsa, dalla mattinata che avevano passato insieme alla sera dell'incendio in città. Il caos, le urla, l'improvviso coprifuoco... quella era la notte perfetta per far sparire qualcuno.
E Alec era caduto nella trappola.

Kayla era così persa nei suoi pensieri che non si accorse di Hailey che le parlava. -Ti sei di nuovo distratta- osservò la bionda. -A cosa stai pensando?-
Kayla scosse la testa, già formulando nella sua mente la prima scusa che riusciva a trovare. -Sono in ansia per la presentazione- disse poi. -Sai quanto odio parlare in pubblico.-
Hailey alzò le spalle. -Dovremmo sbrigarci- le ricordò. -Stiamo facendo tardi a lezione.-
Kayla stava per rispondere quando i suoi occhi caddero su una figura a pochi metri da loro. Una ragazza, per la precisione, che stava frugando in un armadietto prima inutilizzato; una ragazza che non aveva motivo di trovarsi lì.
Hailey aggrottò le sopracciglia. -Che stai guardando?-
Kayla spostò la sua attenzione dalla giovane ai due uomini in divisa alle sue spalle. -Quelli sono agenti- fece sottovoce, parlando più con se stessa che con l'amica. -Le stanno controllando l'armadietto?-
Hailey si girò e vide una ragazza mentre tirava fuori le proprie cose e le mostrava a due agenti, che la osservavano attenti; i suoi occhi si strinsero, forse cercando di capire chi fosse.
-Magari ha nascosto qualcosa- scherzò, cercando di spezzare quella strana tensione che si era creata. Kayla invece non rise: era stranamente seria. -Sarà meglio andare- disse allora Hailey.
Prese Kayla per un braccio e l'amica la ignorò nuovamente, continuando a guardare in quella direzione come se fosse ipnotizzata.
-Tu va' in classe, io arrivo subito- fece, con un tono di voce che non accettava repliche.
Senza aspettare una risposta di Hailey, Kayla si diresse verso la ragazza che aveva catturato la sua attenzione: Jade Robertson.
Mormorò educatamente un "arrivederci" ai due agenti che si stavano allontanando.
-Hey- esordì con la ragazza, più imbarazzata di quello che voleva dare a vedere.
Jade si girò verso di lei e sgranò gli occhi non appena la riconobbe. Kayla non vedeva quella ragazza da soli tre mesi eppure le sembrava improvvisamente cambiata: i suoi capelli biondo cenere erano cresciuti, e ora le superavano di poco le spalle. I lineamenti del suo viso sembravano più accentuati e la leggera linea di eyeliner nero sopra i suoi occhi castani evidenziava il suo sguardo.
-Hey!- esclamò Jade di rimando. -Come stai?-
Kayla ricambiò timidamente il sorriso. -Bene, non pensavo di vederti qui.-
Jade si passò una mano tra i capelli. -La mia vecchia scuola non mi piaceva- ammise. -La situazione non era delle migliori.-

Kayla aveva conosciuto Jade un anno prima grazie ad Alec: il ragazzo era stato fidanzato con Jade per quattro mesi e in quel periodo Kayla usciva spesso con dei loro compagni di scuola, amici della coppia. Il loro liceo era a qualche miglio da lì e ed era conosciuto come il Radger High School. Non aveva mai avuto una buona fama ma la situazione era peggiorata nell'ultimo anno, quando molti suoi studenti erano stati arrestati dall'Ordine. La scuola era caduta nel caos e il preside si era ritrovato con pile di documenti da firmare pieni di richieste di trasferimento di professori e alunni.

-Mi fa strano vederti senza Alec- parlò ancora Jade, chinando la testa e sbattendo le ciglia.
Sotto la fioca luce del corridoio i suoi occhi sembravano di un castano scuro, ma a Kayla sembrò di vedere delle sfumature dorate intorno alla pupilla.
-Siete inseparabili.-
Kayla si bagnò le labbra, improvvisamente secche.

Lo stavi cercando quella notte, pensò, e probabilmente lo stai cercando anche adesso.

-Già- le diede corda Kayla, cercando di non dare voce ai propri pensieri. -È stato un periodo difficile per lui ultimamente e uscire di casa non è il suo primo desiderio al momento.-
Jade annuì perplessa, mordicchiandosi il labbro inferiore. -Sì, immagino- disse poi. -Rimanere al Radger non è per niente una buona decisione.-
Kayla colse un riflesso di disagio nei suoi occhi e le sorrise. -Se ti serve qualsiasi cosa puoi chiedere a me- si offrì con forse troppo entusiasmo. -Sono incaricata di accogliere i nuovi studenti.-
Jade alzò di nuovo lo sguardo su di lei, aggrottando le sopracciglia. La fissò per qualche secondo poi ricambiò il sorriso e i suoi occhi sembrarono illuminarsi. -Fantastico.-
-Volevo sapere se ti servisse una mano- continuò Kayla. -Sono a tua disposizione- scherzò, sperando che la ragazza non cogliesse l'imbarazzo che si celava dietro quelle parole.
Jade le sorrise di nuovo e Kayla vide di sottecchi gli agenti che le fissavano da lontano. La ragazza di fronte a lei chinò la testa da un lato, avvolgendo una ciocca di capelli biondo cenere con le dita; i suoi occhi dorati scrutavano attenti la sua interlocutrice, ma non la mettevano a disagio: era uno sguardo innocente, così sincero che Kayla per un momento dimenticò il motivo per cui si era avvicinata a lei.
-Grazie, sei davvero gentile- ammise Jade infine.
La ragazza scambiò un rapido sguardo con gli agenti, un gesto pressoché impercettibile, ma non per una persona attenta come Kayla. I due uomini si allontanarono poi verso le scale.
-Avrei la lezione di chimica all'ultima ora e non ho capito dove si trova l'aula- riprese Jade, forse ignara che la sua compagna se ne fosse accorta. -Dopo possiamo vederci di nuovo qui?-
Kayla annuì. -Certo, non c'è problema.-
Continuò a guardare Jade come se volesse studiare i suoi lineamenti: era lei, non c'erano dubbi, era lei quella notte di quattro giorni prima.
La ragazza in questione chiuse l'armadietto. -Allora ci vediamo- si congedò. -È stato un piacere rivederti.-
-Anche per me- riuscì a rispondere Kayla prima di vedere Jade sorridere e allontanarsi, camminando a passo svelto nella direzione dove prima si trovavano i due agenti.


Alex cercò di passare inosservato mentre si dirigeva verso il proprio armadietto. Avrebbe dovuto trovarsi in classe durante quell'ora e stava rischiando l'ennesimo richiamo dal preside. Non che gli importasse più di tanto, non avrebbero espulso lo studente modello del liceo. Appena dopo l'ingresso dell'edificio c'era una vetrata pieni di trofei con il suo nome inciso sopra, quelli che Destiny aveva notato: il ragazzo aveva vinto tutte le partite come capitano della squadra di pallacanestro contro gli altri licei della contea.
L'ordine aveva approvato una legge per la quale gli studenti più brillanti di tutte le scuole venissero premiati con delle borse di studio per una delle due università della contea, che davano accesso anche ai corsi delle migliori università degli Stati Uniti.
Questi studenti rientravano nella categoria degli "Scelti", e da quando Alex era uno di loro tutti i suoi compagni non gli davano tregua. Far parte degli Scelti significava avere dei piccoli vantaggi sui ritardi in classe e sui compiti, cosa che certamente gli altri studenti non gradivano affatto.
Alex era oggetto di numerosi complimenti ma anche preso di mira poiché largamente avvantaggiato, e questo gli dava molto fastidio.
Se lo avessero beccato in quel momento a gironzolare per i corridoi probabilmente il preside l'avrebbe tenuto nel suo ufficio per circa un quarto d'ora: l'uomo avrebbe riservato i primi due minuti a una finta strigliata da vero preside per bene, mentre gli altri tredici li avrebbe impegnati in una melensa lode al padre di Alex, all'importanza del suo ruolo nell'Ordine e ai numerosi soldi che dava alla scuola.
Alex non vedeva l'ora di finire il suo ultimo anno e andare all'università di Vermaine, nella parte Est della contea, il più lontano possibile da Malkres.

Aprì il suo armadietto e un pezzo di carta scivolò per terra. Si appoggiò al muro con la mano, le dita gli tremavano.

Ti prego, non di nuovo. Non Robert.

Circa due anni prima riceveva sempre biglietti dentro l'armadietto, tutti colmi di insulti e minacce contro di lui. Era il periodo in cui il suo migliore amico, Robert Blake, era misteriosamente scomparso. Dopo essere stati convocati dall'Ordine, i signori Blake non avevano più denunciato la scomparsa del figlio, e il caso era stato chiuso.
Gli studenti incolpavano Alex per ciò che era successo a Robert, senza preoccuparsi di quanto il ragazzo fosse distrutto di aver perso il suo migliore amico.
Dopo qualche mese le minacce erano cessate, tuttavia Alex aveva ancora incubi su Robert quasi ogni notte, e dopo la faccenda del marchio ne avrebbe certamente avuti altri. Aveva provato a ragionare con i genitori dell'amico scomparso ma i due sembravano decisi a voler archiviare il caso; Alex gli aveva urlato contro, dicendo che lui non avrebbe creduto alla morte di Robert fino a che non avesse visto il suo corpo. Da allora i signori Blake lo avevano bandito da casa loro.

Alex raccolse il pezzo di carta e lo girò. La bella calligrafia catturò subito la sua attenzione e non fu difficile riconoscerla. Il mittente della lettera del giorno prima aveva scritto anche quel biglietto, e lo capì da quelle poche parole scritte sopra:

Non ignorare la lettera.

Quella frase fu come un pugnale dritto al petto, e i ricordi della notte di quattro giorni prima colpirono ancora Alex senza che lui ebbe il tempo di impedirlo. Le terribili immagini di ciò che aveva visto scorrevano davanti ai suoi occhi, una dopo l'altra.

Quel ragazzo poteva uccidermi, pensò. Perché non l'ha fatto?

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Quattro giorni prima, per la precisione verso le 20, era scattato un coprifuoco improvviso nella città di Malkres. Alex si trovava già fuori casa quando aveva ricevuto la comunicazione e sapeva bene che sarebbe dovuto tornare subito... Ma non lo fece.

Malkres sembrava deserta, eppure Alex sentiva che c'era qualcosa che non andava: ne ebbe la conferma quando arrivò vicino alle mura, dove c'erano decine di persone che urlavano e correvano da tutte le parti.
Terrorizzato, si rifugiò in un vicolo... E lì assistette alla scena a cui si riferiva la lettera: un suo compagno di squadra, Luke Redford, che mordeva il collo di un uomo molto più robusto di lui, ormai al suo ultimo respiro.

Luke riuscì a percepire la presenza del compagno e lasciò cadere a terra il corpo della sua vittima in una pozza di sangue, gettandolo come se fosse spazzatura.
Alzò la testa verso Alex e il ragazzo vide che i suoi occhi erano rossi, un rosso che incarnava il colore del sangue più puro. Sul suo viso pallido si aprì un sorriso sadico e iniziò ad avanzare verso di lui pronto a nutrirsi di nuovo.
Alex non riusciva a muoversi, era completamente paralizzato; sembrava essere diventato il protagonista di un incubo o di uno di quei racconti dell'orrore che suo padre amava tanto. La sconcertante realtà si presentava davanti ai suoi occhi sotto forma di un essere corrotto dalla sete e dal desiderio di uccidere.

Luke aveva saltato almeno due settimane di allenamenti e quando i suoi amici avevano iniziato a chiedere di lui, il coach aveva detto che si era trasferito per problemi personali. Alex si era chiesto perché nemmeno loro sapessero del trasferimento, ma quando due giorni prima di quella notte avevano smesso di cercarlo, il ragazzo era convinto che situazione si fosse risolta in qualche modo.

Invece no.

-Il marchio...-
Alex era così distratto dai suoi pensieri da non essersi accorto che Luke si era fermato di fronte a lui e lo stava fissando. Il suo sguardo era rivolto al palmo della mano di Alex, eppure non c'era nessun marchio sulla sua pelle.
-Allora sei tu- disse chinando la testa da un lato, mentre un rivolo di sangue gli colava sul mento. Non sembrava nemmeno più lui nonostante il suo aspetto fosse ancora in parte umano. Alex voleva rispondere ma le parole sembravano morirgli in gola davanti a quello spettacolo raccapricciante: il corpo dell'uomo era a terra con un orribile squarcio sul collo e Luke se lo trascinava dietro con una mano come avrebbe fatto un animale selvatico con la sua preda.
-Hai un grande dono, Alex- biascicò Luke. Dal suo tono di voce suonava più come una minaccia che come un complimento. -Potresti uccidermi con un solo tocco delle dita se solo lo volessi.-
Luke si avvicinò ancora, lasciando la presa sulla sua precedente vittima come se non gli interessasse più. Si fermò di fronte al suo interlocutore, così vicino che Alex riuscì a sentire il suo odore: sul collo era impregnata una piacevole colonia ma il suo alito era caldo e ripugnante.
Il vampiro aprì la bocca e si leccò i canini appuntiti, lasciando Alex completamente pietrificato dalla paura.

È ultimo istante della mia vita, pensò, l'ultimo ricordo che avrò.

Luke lo afferrò per le spalle affondando i suoi artigli nella carne del ragazzo, ma i suoi occhi rossi guizzarono alla vista di qualcosa e si distrasse. Alex seguì il suo sguardo attento e vide una figura sopra le loro teste: era certamente il corpo di un essere umano eppure aveva due bellissime ed estese ali nere come il carbone. Volò a pochi metri da terra tenendo tra le braccia un ragazzo che sembrava privo di sensi.
Alex non fece in tempo a girarsi di nuovo verso Luke che il vampiro era svanito nel nulla.
E con lui erano svanite anche le urla in lontananza; la città era annegata di nuovo nel silenzio, come ogni notte, o forse come appariva ogni notte agli occhi ignari dei cittadini.

Dopo aver rischiato la morte e aver visto quella strana creatura alata, Alex tornò a casa, e l'immagine di quel cadavere lo tormentò tutta la notte.

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Prima la lettera e poi il biglietto: il mittente non concepiva il silenzio di Alex come risposta, voleva di più.
Doveva averli scritti qualcuno che sapeva tutto di lui e della sua famiglia, sostenendo anche di avere delle prove sulle bugie che aveva detto suo padre.
Qualcuno che sicuramente lo stava osservando anche in quel momento.

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