2. Fiamme

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Alex non aveva mai visto Malkres così silenziosa. Il cielo era di un blu chiaro, un limbo tra la notte e il giorno, e il ragazzo era come ipnotizzato.
La sua sembrava una città come qualsiasi altra ma il ragazzo non la pensava affatto così: era sempre stato convinto che dietro all'apparenza del luogo perfetto in cui vivere ci fosse qualcosa che non andava. Malkres era il cuore pulsante della contea omonima, il centro, eppure quell'organo all'apparenza così sano e perfettamente funzionante pompava veleno nelle arterie. C'era qualcosa che non andava, una rete di bugie così ben costruita da sembrare uno specchio dall'immagine tanto bella quanto tremendamente falsa, effimera.
La città più sicura della contea, questo era lo slogan, come quello che si poteva trovare su una pubblicità da quattro soldi che tentava anche la più vile tattica persuasiva per attirare l'attenzione dell'osservatore. Alex, tuttavia, non si sentiva affatto al sicuro: gli sembrava piuttosto di essere costantemente osservato, circondato da telecamere che lo seguivano ovunque come quell'inquietante effetto ottico dello sguardo su un dipinto che si muove insieme a chi lo osserva. Il ragazzo se le sentiva addosso, fin sotto la pelle, e non erano garanzia di sicurezza... bensì di paura.

Tornò a Grace Park, sedendosi su una delle panchine vicino alla pista di skateboard. Il leggero vento mattutino gli scompigliava i capelli e il silenzio di quel luogo lo fece rilassare all'istante... finché non ripensò alla notte precedente.
Non voleva credere a quella lettera, non perché la ritenesse falsa, ma perché aveva visto i nomi dei suoi genitori scritti su quella carta con un'inchiostro colmo di odio e rancore.
Chi poteva avere certe informazioni sulla sua famiglia? Chi poteva affermare di sapere qualcosa su Alex di cui nemmeno lui era a conoscenza?

Sa cosa sono veramente... E cosa sono?

Non riusciva a darsi una risposta. Iniziò anche a pensare che fosse proprio quello l'obiettivo del misterioso mittente: confonderlo, disorientarlo, fargli dubitare non solo della sua famiglia ma soprattutto di sé stesso.
Questi pensieri gli ricordarono del libro che aveva nello zaino. Aprì la cerniera e lo tirò fuori, aprendolo su una delle pagine in cui l'angolo superiore era piegato in una linguetta. Era un romanzo thriller, il preferito di suo padre. Alex lo aveva letto per la prima volta a quindici anni e ne era rimasto così sorpreso che ogni volta che voleva staccare dalla realtà lo rileggeva. C'era un particolare paragrafo, in uno degli ultimi capitoli, che era uno dei suoi preferiti. Alex sfiorò la pagina con le dita, trovando il punto esatto in cui iniziava la frase, e la rilesse a mente:

Se vuoi far sì che l'anima di un tuo nemico lasci il suo corpo, devi spingerlo all'autodistruzione: fagli perdere ogni certezza, ogni speranza, ogni punto di forza. Ma più di tutto, fagli dubitare della sua stessa identità, di ciò che lo rende se stesso; finirà in mille pezzi davanti ai tuoi occhi.





Kayla era in ritardo.

Non che fosse una novità, a dire il vero: era sempre in ritardo. Aveva fatto colazione con i pancake che gli aveva lasciato sua madre e si era preparata in fretta e furia per uscire in tempo.
Ogni mattina si vedeva con Hailey, la sua migliore amica, alla fermata dell'autobus. Si trovava perfettamente tra casa sua e quella dell'altra ragazza, e in meno di venti minuti si trovavano davanti al cancello principale del loro liceo. Di solito li raggiungeva anche il ragazzo di Hailey, Elijah, ma quella mattina Hailey aveva mandato un messaggio all'amica per informarla che non aveva idea di dove si trovasse il suo ragazzo. Kayla era convinta che l'avrebbe trovati insieme alla fermata, appiccicati come se fossero un'unica persona, ma Hailey si era in piedi da sola.

Kayla accelerò il passo per raggiungerla, fermandosi a riprendere fiato solo quando si ritrovò davanti alla sua migliore amica. Hailey la guardò inarcando un sopracciglio: i suoi occhi azzurri brillavano sotto la luce del sole.
-Scusami- farfugliò Kayla mentre riprendeva ancora fiato.
-Ci sono abituata- scherzò Hailey, passandosi una mano tra i capelli biondi perfettamente pettinati. -Almeno non abbiamo dovuto rincorrere l'autobus questa volta.-
Quel ricordo si proiettò nella mente di Kayla mentre drizzava la schiena; il giorno di cui parlava la sua amica, quando avevano inseguito quel maledetto autobus fino a perderlo di vista, aveva promesso a se stessa che non avrebbe più fatto in ritardo.
Erano passati cinque mesi, e aveva infranto quel giuramento così tante volte che a malapena lo considerava reale.
-Dov'è Elijah?- domandò Kayla guardandosi intorno.
Hailey si morse interno della guancia, dando un occhiata al suo cellulare. -Non ne ho idea, doveva essere qui mezz'ora fa.-
Kayla ed Elijah erano molto diversi, praticamente gli opposti. Se la prima arrivava sempre in ritardo, il secondo era sempre in anticipo. Se lei usciva spesso di casa in jeans e scarpe da ginnastica, lui arrivava sempre vestito come se dovesse partecipare a una cerimonia.
Kayla non aveva mai capito cosa ci trovasse Hailey in lui, considerato il fascino un po' inquietante del suo sguardo di ghiaccio e la pelle color alabastro. Sembrava uno spettro più che un umano, un'ombra dalla voce profonda e i capelli corvini che parlava sempre con un tono vagamente saccente.
Forse a Kayla non dispiaceva affatto che non fosse lì con loro ma Hailey sembrava preoccupata... e non era da lei.
Kayla si mise gli occhiali da sole e allungò il collo per controllare la strada, avvistando l'autobus in lontananza. -Forse ci raggiungerà dopo- disse ad Hailey, sperando di tranquillizzarla.
La bionda annuì ma era distratta, la sua mente era altrove e non cercava nemmeno di nasconderlo. -Certo, ne sono sicura.-
Hailey aveva uno strano tono di voce e non guardava Kayla negli occhi. Quest'ultima la osservò salire sull'autobus, camminandole appena dietro, mentre percepiva una strana sensazione farsi spazio nella sua mente.





Alex non era riuscito a trovare un posto isolato. Mentre sedeva tranquillo nel parco la sensazione di bruciore era tornata a tormentarlo, quasi come se si fosse ridestata quando meno se lo aspettava.

Si fermò davanti al cancello del suo liceo e cercò di riprendere fiato. Il bruciore alle mani era diventato insopportabile e tutto il suo corpo sembrava essere ricoperto di fiamme; apriva e chiudeva i pugni e sentiva delle piccolissime scintille che danzavano tra le sue dita.
Appoggiò la testa alle grate e strinse i denti, trattenendosi di urlare.
Il marchio sul dorso della sua mano era diventato rosso, e brillava: era quel simbolo la fonte di quel calore crescente che scorreva nel suo corpo.
Non ne aveva più il controllo, come se fosse cambiato qualcosa in lui, o si fosse risvegliato.

Ormai era al limite: sentiva già un grido di dolore che cresceva nella sua gola e i polmoni come stretti in una morsa letale. La sua vista si stava lentamente annebbiando e non riusciva più a tenere gli occhi aperti.
Fuoco. Era l'unica cosa che riusciva a pensare. Sto andando a fuoco.
Non c'era nessuna fiamma intorno a lui né tantomeno sul suo corpo, eppure le percepiva, molto più che nel suo incubo.

Quando credette che quello sarebbe stato l'ultimo minuto della sua vita, qualcuno gli sfiorò il braccio. Fu un gesto semplice, nessuna stretta o spinta, solo una mano che gli accarezzava la spalla... e quella sensazione svanì immediatamente: niente più calore né bruciore. Non percepiva più la sua pelle come ricoperta dalle fiamme, e il dolore stava scivolando via dal suo corpo.

Alex tossì contro la grata del cancello e fece scivolare le mani lungo i fianchi. Si lasciò cadere a terra e ispirò a di nuovo, a pieni polmoni, mentre sentiva il marchio che doleva sempre di meno. Alzò la mano e vide che era improvvisamente schiarito: aveva l'aspetto di una classica macchia dopo una lunga esposizione al sole.

-Non ti senti bene?-
Quella voce dolce e femminile lo spinse a girarsi verso la sua interlocutrice, incrociando due occhi verdi racchiusi in delle ciglia lunghe ed eleganti.
-Non molto- ammise Alex. -Ma non preoccuparti.-
Il suo viso era bello e delicato, incorciniato da una cascata di ricci rossi.
Gli sorrise. -Vuoi che ti accompagno a casa?-
Alex si alzò da terra e si asciugò le mani sudate sui pantaloni. Avrebbe accettato volentieri il passaggio a casa da quella ragazza ma cambiò idea quando notò che lei aveva la cartella che davano sempre ai nuovi studenti con scritto sopra il nome della sua scuola.
-Sei nuova?-
La ragazza annuì. -Sì, oggi è il mio primo giorno- riferì. -Mi chiamo Destiny.-
Lui le sorrise. -Alex.- Drizzò la schiena. -Se vuoi posso guidarti fino all'ufficio del preside- si offrì. -Così puoi saltare l'inutile tour per i nuovi studenti.-
Destiny ridacchiò. -Non voglio farti perdere tempo.-
Il ragazzo alzò le spalle. -Nessuna perdita.-
Si girò verso la scuola: era mattina presto e la vecchia bidella Genevieve aveva aperto forse da solo cinque minuti.
Alex spinse il cancello e lo tenne fermo per farla entrare. -Prego.-
Destiny lo ringraziò con un cenno e sorpassò la soglia. Alex rimase fermo a guardarla e poi lasciò andare il cancello.

Ha qualcosa, pensò, non riesco a staccare gli occhi da lei.

Non era solo la sua bellezza, era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che aveva completamente catturato l'attenzione di Alex. Fino a un minuto prima credeva che sarebbe morto su quel marciapiede, poi lei si era avvicinata e il dolore si era dileguato come per magia.

Mentre raggiungeva Destiny davanti all'ingresso, vide con la coda dell'occhio Elijah Sullivan seduto su una panchina che li osservava attento. Alex aveva sempre pensato che quel ragazzo avesse qualcosa di strano, che i suoi occhi di ghiaccio seguissero sempre con scrupolosa attenzione chiunque gli passasse davanti.
Lo ignorò e tornò dalla ragazza, accelerando il passo per raggiungerla il prima possibile.

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