Capitolo 02 - Misery Business

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Anita si arrampicò sulla lunga scala di metallo, che conduceva alla terrazza del suo appartamento. La solita maschera antigas ben piantata sul viso minuto e scarno.

La notte aveva lo stesso colorito vinaccia malato, che caratterizzava il giorno.

Costringendoli a vivere, da sempre e per sempre, circondati da quel chiarore rossastro.

La luna, al contrario, svettava altissima e grandissima, come se una calamita gigante la stesse avvicinando al loro pianeta piano piano.

Attese per minuti interi, poi avvertì un lieve fruscio sulla sua pelle candida, e vide il Gufo poggiarsi a fianco a lei.


«Ti sono mancato, Anita?»


Anita trasalì. Ogni volta che lo vedeva le mancava il respiro, e una intensa paura le attanagliava lo stomaco.

La mano robotica tremava, e sentiva tutte le cicatrici sul suo corpo farsi di carta velina, tanto pareva fragile.


«Per niente, Gufo».


Il biondo sollevò gli angoli della bocca, in un sorriso macabro e psicotico. Anita non riusciva a guardarlo neanche con la coda dell'occhio, tanto la terrorizzava.


Lui le si fece più vicino, e le prese la mano robotica tra le sue. Lei resistette all'impulso di ritrarla a sé.

Gufo giocherellò per un tempo infinito con la punta delle dita fredde e meccaniche. Quando la toccava lui, Anita riusciva quasi a percepire la presenza della sua vera mano.


«Ancora non hai raccontato ai tuoi amichetti che mi vedi quasi tutte le sere?»


«Non lo faccio di certo per piacere personale», commentò Anita, tirando fuori tutto il suo coraggio.

La pistola era saldamente incollata alla sua coscia destra, anche se era consapevole che, con lui, sarebbe servita a poco.


«No, certo... tu vuoi solo notizie di Jep», biascicò, sornione. Era evidentemente ironico.

Sapeva bene che Anita lo odiava tanto quanto Jep, e forse anche di più.


«Beh dolcezza, non ho notizie»


Anita lo fulminò con il migliore dei suoi sguardi gelidi.


«Fonti certe mi hanno detto che è rientrato al Distretto oggi. Non mi dire cazzate»


Gufo rise più forte che poté, rendendo la presa più salda sulla mano di Anita.


«Oppure cosa farai?»


'Mi stai minacciando? Non vali niente senza il tuo stupido capo mafioso'

Avrebbe voluto rispondere Anita, ma la paura che provava non le permetteva il respiro. Troppi traumi dentro di lei avevano la faccia del Gufo.

«Niente»

La prima volta che lui comparve accanto a lei, di notte, sul tetto, quasi le venne un infarto.

Era convinta che fosse una delle sue frequentissime allucinazioni. Qualche strascico del suo disturbo da stress post-traumatico, o qualcosa di simile.

Invece era lui, in carne e ossa, pronto per finire quello che avevano iniziato due anni prima.

Quasi non si lanciò dal tetto, prima che lui riuscisse a dire una parola.

«Devo chiedere il tuo aiuto, Anita»

Le aveva detto, come se fosse la cosa più normale del mondo. Come se Anita non si fosse ritrovata di fronte al suo peggior incubo.

Gufo era una trasmutazione genetica, causata dalla costante inalazione della polvere di ruggine nell'aria. Lui non indossava mai la maschera antigas.

«Che cazzo vuoi da me, mostro?»

Le aveva chiesto aiuto per incastrare Jep. Il suo stesso braccio destro si riteneva stufo delle azioni barbare del suo capo, e voleva che la polizia intervenisse.

Anita, ovviamente, non credette a una sola parola, ma decise di assecondarlo per vedere a cosa avrebbe portato quella messinscena.

Da quel giorno erano trascorsi due mesi, nei quali il Gufo le era venuto a far visita quasi ogni sera.

Non si era mai scusato, non le aveva mai detto come si chiamava, e, a dire la verità, non aveva mai neanche raccontato chissà quali segreti scottanti sul suo capo.

Era come se avesse solo avuto bisogno di qualcuno che gli facesse compagnia.

Anita faticava a capirci qualcosa, ma alla fine dei fatti si rese conto che, anche lei, tutte le sere si presentava a quel consueto appuntamento strambo.

Di tanto in tanto, Gufo le passava le dita sulle cicatrici dei tagli e delle ustioni che lui stesso le aveva inferto durante le torture.



Brick fece il suo ingresso in centrale, tormentandosi il ciuffo rosso di capelli che faceva capolino dalla maschera che stava ancora indossando.


Si diresse con passo gioviale alla scrivania della sua amica, e ci si accomodò sopra.


«Buondì, raggio di sole»


Anita lo squadrò, truce.


«Cosa?»


«Dove cavolo eri ieri?»


Brick fece spallucce, sfilandosi finalmente la maschera, e rivelando un viso giovanile ricoperto di lentiggini.


«Ferie. Giorno libero. Vacanza. Entiende? Ricordi ancora cosa significa?»


Anita sollevò il dito medio della mano robotica, e riprese a scribacchiare appunti.


«Hai idea di dove Rottemberg tenga i fascicoli sulle trasmutazioni?»

«Se non sono nel seminterrato, allora fanno parte di quelli che tiene sottochiave», comunicò il collega, accomodandosi alla sua scrivania, posta accanto a quella di Anita.


«Che ci devi fare?»

Respirare la ruggine nell'aria aveva svariate controindicazioni sul lungo periodo, tra cui, ovviamente, la morte.

I più fortunati venivano trasmutati. Pochissime persone erano riuscite a vedere qualche Diverso da così vicino, e sopravvivere per poterlo raccontare.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro