Capitolo 06 - Red Wine

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Anita sentiva la lama quasi affondare nella carne tenera del suo collo. Se avesse chiuso gli occhi sarebbe riuscita a sentire il calore del sangue riversarsi sulla sua camicetta. Il respiro pesante del Gufo sapeva di sigaretta e ferro, mentre le stringeva con forza l'addome per tenerla immobile.

«Ti sono mancato, ieri?»
«Che cazzo vuoi da me, psicopatico?»

Gufo ridacchiò, facendo scorrere la lama del coltello delicatamente sulla sua pelle. Anita rabbrividì.

«Volevo il tuo aiuto, Anita, invece mi fai spiare dai tuoi scagnozzi. Lo sai che non si fa... non erano gli accordi»
«Ma di che parli? Sei impazzito?»

Gufo strinse la presa sul suo stomaco, facendole mancare il respiro per un secondo.

«Non prendermi per il culo»
«Non ho alcun interesse nel farti seguire. Se ti rilassi possiamo parlarne, e puoi farmi capire che diavolo è successo»

Parlare con Gufo era come cercare di non squarciarsi la pelle, mentre si camminava tranquillamente su una strada lastricata di vetri rotti.

Sfiancante e inutile.

Gufo sembrò rifletterci sopra un secondo, poi fece scattare indietro la lama del coltello e si accomodò sul tetto.

«Oggi eravamo a pranzo al Mountain Top, e quel tuo amico coi capelli rossi si è presentato facendosi chiamare Drew. Ha ascoltato tutti gli affari di Jep, e non mi staccava gli occhi di dosso»

Anita rimase turbata da quel mare di informazioni, ma cercò di mantenere la calma e pensare a qualcosa di ragionevole da dire.

Mentire era fuori questione, - ricordava ancora come aveva reagito l'ultima volta che gli aveva detto una bugia -. Il pezzo di pelle mancante fra l'attaccatura del lobo dell'orecchio e il suo collo era rappresentativo della sua collera.

Per quel motivo avrebbe confermato che l'uomo dai capelli rossi era effettivamente Brick. Ma...

«Non era lì per mio ordine», concluse ad alta voce.
«Quindi il tuo capo sta continuando a indagare su Jep alle tue spalle», borbottò Gufo, accendendosi l'ennesima sigaretta.

Anita ringraziò di indossare la maschera antigas altrimenti sarebbe morta asfissiata, a forza di frequentarlo.

«Immagino di sì. Lo biasimi?»

Gufo fece spallucce. Rimasero in silenzio qualche momento.

«Avete trovato il cadavere, no?»

Anita trasalì. Si era completamente scordata di tutto l'odio che aveva provato per quei due esseri spregevoli, dopo aver assistito a quell'ennesima bruttura.

«È stato Jep o sei stato tu?» chiese Anita, fissandolo dritto negli occhi argentati.
Gufo la fissò, come se fosse impazzita.

«Che ti importa? Potevi farmi così tante domande sull'omicidio, e invece chiedi una cosa così banale»
«Vorrei solo che non fossi stato tu», asserì Anita, abbassando lo sguardo.

Gufo strinse i pugni, ma riuscì a esternare solo una risata da pazzoide.

«Sei diventata anche romantica adesso, Miller?»

Anita fece una smorfia disgustata. «Intendevo dire che spero che non sia stato tu, altrimenti il nostro accordo salta. Non potrei fidarmi di te»

Gufo sollevò le sopracciglia e fece di nuovo spallucce, poi decise di dileguarsi.



I Diversi avevano iniziato a popolare i vari Distretti circa cinque anni dopo l'avvento della ruggine. I medici e gli scienziati del mondo decretarono che si trattasse degli effetti collaterali dell'inalazione prolungata, anche se non tutti sembravano essere d'accordo su questa ipotesi.
Qualche visionario riteneva che le persone che mostravano già qualche disturbo della personalità fossero più soggetti alla trasmutazione.

Con il tempo avevano smesso di studiare il fenomeno, e i Diversi erano stati confinati in un Distretto interamente dedicato a loro, a Dritch, per sradicare il problema alla radice.

Jep aveva prelevato Gufo, strappandolo dai suoi genitori, e messo al suo servizio così tanti anni prima, che lui non riusciva neanche a contarli.

Quella faccenda non aveva contribuito a rendere migliore il suo umore già altalenante.

Jep lo vide rientrare a casa con la solita aria svogliata, ma quella sera sembrava diverso.

Sorrideva. Gufo, al massimo, ghignava.

«Che ti prende, idiota?» brontolò Jep al suo indirizzo, mentre una cameriera serviva a entrambi due calici di vino rosso.

«Sono di buon umore, paparino»

Jep avvertì il tic al suo labbro sinistro tirare forte verso l'alto. Odiava quando lo chiamava così. Strinse forte il calice nella mano, poi glielo lanciò contro.

Gufo si scansò giusto in tempo per vederlo infrangersi sul pavimento di marmo bianco. Una vermiglia chiazza rossa che si espandeva andando a insozzare tutte le fughe.

Gufo gli rivolse un altro sorriso di sfida, e ingollò il vino in un solo sorso, dirigendosi verso la sua stanza.

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