Capitolo 13 - Trapped (again)

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La mattina giunse abbastanza in fretta. Lei era sdraiata a terra in posizione fetale. La stanza si illuminò grazie a uno spiffero di luce che oltrepassava la finestra coperta da diverse assi di legno ammuffito. Il pallido chiarore la riscosse da quel sonno plumbeo che l'aveva avvolta. Decise di alzarsi ed esplorare un po' l'ambiente circostante, sperando che ci fosse una via di fuga nascosta.


Il pavimento sembrava sorreggerla a malapena, tanto era provata dalla situazione in cui si era ritrovata. Tutta colpa sua. Cosa le aveva detto la testa? Come aveva potuto pensare, anche solo per un attimo, di potersi fidare di Gufo?


Raccolse le forze e si diresse verso la scalinata che conduceva al sotterraneo del negozio. L'aria era gelida, lì sotto, tanto che si strinse nel cappotto di pelle che indossava ancora dalla sera prima, e sperò che bastasse a tenerla al caldo. Il posto era completamente deserto, non c'erano voci o suoni in lontananza. Fu chiaro che in quel luogo non avrebbe mai trovato Brick. Gufo aveva mentito su qualsiasi cosa.


Anita si sentì ancora una volta priva di forze, ma decise di continuare a esplorare. Il corridoio proseguiva per almeno un metro, concludendosi poi con la cella frigorifera.
Era il posto che la terrorizzava di più, quindi decise di non entrare all'interno.
Ritornò all'entrata, sperando che due spallate sulla porta fossero sufficienti per aprirla.
Purtroppo la sua forza non fu sufficiente.


«GUFO!» gridò ancora, in preda alla disperazione.


Fu allora che lo sentì muoversi sopra di lei, camminava beatamente lungo il cornicione della finestra, troppo in alto perché lei potesse raggiungerlo.


«Mi piace il fatto che invochi il mio nome ogni volta che sei disperata», mormorò, fissandola con un sorrisetto fastidioso. Anita aveva gli occhi pieni di lacrime. Avrebbe voluto reagire, ma si sentiva troppo piccola e indifesa di fronte a quella situazione. Non poteva sopportarlo di nuovo.


«Mi hai sempre mentito?» mugugnò, abbassando lo sguardo verso il pavimento. Gufo si accomodò sul cornicione, facendo oscillare i suoi piedi nel vuoto.


«Che cosa pensi che stia facendo, in questo momento?» chiese Gufo, trafiggendola con il suo sguardo di ghiaccio.


«Stai per uccidermi...?»


Gufo scoppiò a ridere, più pazzo del solito.


«Ma no, mia piccola Anita! Come farei senza di te?» urlò Gufo, toccandosi il cuore con fare teatrale. Lei pensò che la stesse prendendo in giro, ma non riusciva a capire dove stesse andando a parare.


«E allora cosa vuoi?»


«Ti sto salvando, Anita», disse con ferale serietà, prima di spalancare la finestra dietro di lui, permettendo a una pesante nube di ruggine di entrare nella stanza.


Anita sgranò gli occhi, terrorizzata. Si voltò immediatamente per recuperare la maschera antigas che aveva gettato la sera prima a terra, ma non ve n'era più alcuna traccia.


«Cerchi questa?» chiese Gufo, sbatacchiando la sua maschera da una mano all'altra.
«Che cazzo stai cercando di fare?» urlò Anita, mentre lacrime rabbiose scorrevano sul suo viso accaldato.


«Te l'ho detto... ti sto salvando»
La prima boccata di ruggine le penetrò le narici come tante piccole schegge di metallo. Non l'aveva mai respirata prima d'ora, non aveva idea che fosse così doloroso.


«Non mi sembra», borbottò lei, tossicchiando.
«In questo modo potremmo stare insieme per sempre, Anita», mormorò, prima di lasciarla da sola. Anita non riuscì a comprendere cosa lui le avesse detto.


River era ancora di ronda alla ricerca di Brick, quando ricevette la chiamata di Rottemberg. Gli comunicava che Anita non si era presentata a lavoro quella mattina. Si mise a correre il più veloce che poté per raggiungere la loro casa. La porta d'ingresso non sembrava essere stata forzata, all'interno era tutto in ordine. Eppure, lei non c'era.


Non c'era neanche più il suo odore. Strano come solo poche ore possano cancellare l'intera permanenza di una persona all'interno di un luogo. River setacciò tutte le stanze, finché non ebbe l'idea di cercare sul tetto. Anita passava ore intere in quel posto, tutte le notti.
Ovviamente lei non era neanche lì. Setacciò tutte le tegole se ci fosse qualche indizio, ma non trovò nulla.


Si accasciò a terra, afferrandosi il viso tra le mani. Aveva perso due amici in tre giorni e si sentiva morire. Sperò che Rottemberg avesse qualche notizia.

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