Capitolo 12 - Fucking Nightmare

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Ogni notte era lo stesso tormento. La sua cella era ricoperta da un pesante strato di melma verdognola data da un misto di muffa e umidità imperante.

Anita dormiva rannicchiata su un fianco, cercando di coprire sia le orecchie sia gli occhi con il braccio. Tutte le notti Gufo entrava nella sua cella e, nel buio e nel silenzio più totale, la abbracciava da dietro.

Anita era così terrorizzata da non riuscire più a dormire. Non sapere assolutamente di cosa possa essere capace la persona vicina può essere totalizzante. Anita non dormiva mai durante quelle notti, doveva rimanere sempre vigile, sempre attenta che lui non si muovesse troppo, che non scattasse per ucciderla.

C'erano cose peggiori della morte, la paura era una di queste.


Anita era tornata a casa da un'ora. Avrebbe voluto parlare con River, ma di lui non c'era traccia. Non avrebbe mai perdonato né lui né Rottemberg per quello che stava succedendo.

Sebbene fossero la sua famiglia acquisita, non si stavano comportando da tale. L'unico che riusciva a darle sollievo era Gufo. Soprattutto perché tramite lui avrebbe potuto reperire le informazioni necessarie per ritrovare Brick.


Attese, fremendo, la notte. Il tetto era coperto da una fumosa coltre rossastra, in netto contrasto con l'oscurità.


Gufo emerse da quella profondità qualche istante dopo, sfoggiando un sorriso brillante. Anita provò la stessa sensazione che aveva sentito durante quelle notti passate abbracciati. Puro terrore.


«Piaciuto il regalo?» chiosò, avvicinandosi alla donna.
«Smettila di fare il buffone. La situazione è seria», berciò Anita, con pochissima voglia di scherzare, «Hai intenzione di collaborare veramente oppure no?»


Gufo la scrutò ammirato.
«Finalmente esprimi un po' di rabbia, Anita»


Lei continuò a fissarlo come se il suo sguardo avesse magicamente acquisito il potere di sbriciolarlo.


«Collaborerò. Preparati, ti porto da lui»


L'ultima volta che aveva percorso quelle strade era giorno. Gufo le camminava accanto, aveva gentilmente deciso di percorrere la distanza utilizzando un passo umano. Durante il cammino le loro mani si erano sfiorate più di una volta, notò Anita, dandosi subito della scema per quel pensiero da ragazzina. Ci mancava solo che il suo stupido cervello si mettesse a romanticizzare il suo torturatore.


Dopo mezz'ora di silenzio si ritrovarono davanti a un negozio abbandonato. Doveva essere l'ennesima macelleria della zona. Era stata ingenua a non esplorare quelle, come prima cosa, in fondo conosceva bene Jep.


Gufo le fece cenno con la testa di entrare. Un lieve alito di paura le iniziò a scorrere lungo la schiena. Stava entrando in un luogo molto simile al posto in cui era stata tenuta prigioniera per giorni, accompagnata dalla persona protagonista della maggior parte delle torture peggiori. Non era esattamente una mossa intelligente.


Gufo dovette notare un suo cambiamento di umore, perché si bloccò accanto a lei e le prese le mani fra le sue. La mano robotica stonava a contatto con la pelle alabastrina di Gufo.


«Non ho intenzione di farti del male», scandì, più serio di quanto Anita lo avesse mai visto.
Gli credette. Anita sciolse subito la presa dalle sue mani e fece il suo ingresso nella macelleria.

All'interno era tutto buio, solo una piccola luce intermittente illuminava a tratti l'ambiente circostante. Anita sentiva i brividi di terrore percorrerle le braccia e le gambe, ma nonostante questo non poteva fermarsi.


«Dov'è Brick?» chiese, girandosi verso Gufo. Lui non era più dietro di lei, chissà da quanto tempo. Anita si bloccò sul posto, sempre più terrorizzata.


«Gufo!» urlò, quasi tentata di accasciarsi al suolo. Si tolse la maschera antigas per cercare di respirare. Niente. Il panico le stava stringendo la gola, era come se ci fossero due mani strette sul suo collo, che non facevano altro che stringere.


«Gufo, ti prego», mormorò Anita, accasciandosi a terra, atterrita dal troppo terrore.
Lui non emetteva più alcun suono, lui non c'era più.


L'ultima cosa che riuscì a sentire fu la porta del negozio che si chiudeva a chiave, segregandola ancora una volta all'interno di un incubo.

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