Capitolo 19 - Red Waterfall

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Alexander Restev indossava un ampio cappello grigiastro e una palandrana nera, che lo aiutavano a mimetizzarsi nel luminosissimo ospedale. Jep era stato molto chiaro nelle sue disposizioni. Doveva far credere a Brick di essere riuscito a scappare dal luogo in cui era stato rinchiuso da Jep, e, una volta acquisita la sua fiducia, finire il lavoro.

Alexander non si riteneva in grado di uccidere nessuno, motivo per il quale non era riuscito a eliminare Natalia con le sue mani. Strinse i pugni ed entrò nella stanza d'ospedale.

Jep lo aveva informato che Drew era un poliziotto sotto copertura di nome Brick, ma l'Alexander che Drew conosceva non avrebbe mai potuto saperlo; quindi, si annotò mentalmente di seguire quel copione.


«Drew!» esclamò il russo, facendo il suo ingresso nella stanza. Brick si tirò in piedi, focalizzando subito il malridotto sguardo verso il suo ex suocero.


«Alexander?» chiese Brick, incredulo.
Alexander si avvicinò alla sponda del letto di Brick, con passi lenti e cadenzati.


«Come ti senti?» chiese, carezzando il braccio del figlioccio, «Mi dispiace non esserci stato...», mormorò, indicando con un cenno del capo il suo occhio.


Brick sembrava incredulo, un misto di felicità e tristezza tormentava il suo viso fanciullesco.


«Io sto bene... tu c-come... c-che ci fai qui?»


Alexander notò che il poliziotto aveva la voce incrinata, come se stesse per piangere. Immaginò che non sapesse come dirgli di Natalia. Poveraccio, commentò fra sé. Alexander assunse la sua migliore espressione dolente e prese a recitare le parole che gli aveva riferito Jep.


«Mi ha preso e mi ha tenuto recluso in un sotterraneo da solo. Fortunatamente non mi ha fatto del male... solo qualche percossa. Voleva i codici di alcuni miei conti» spiegò Alexander «Un giorno il suo collaboratore, quello con il gufo tatuato addosso, ha dimenticato di chiudere a chiave la mia cella e sono riuscito a fuggire».


Brick lo osservava, l'espressione contrita come se stesse analizzando attentamente le parole che pronunciava.


«Strano... io e Natalia non abbiamo mai visto il Gufo in quegli ultimi giorni», commentò, con aria spenta.
Alexander si guardò intorno, rivolgendo un sorriso a Brick una volta che elaborò una risposta convincente.


«Sai dove hanno ricoverato Natalia?» chiese Alexander, immedesimandosi nella parte di padre speranzoso che non gli si addiceva.


Vide immediatamente quel coglione di poliziotto tirare tutti i muscoli del viso in una espressione di puro dolore.


«Alex io... cioè... mi dispiace, ma...» balbettò Brick, abbassando lo sguardo alle sue mani intrecciate tra di loro e adagiate sulle coperte bianchissime dell'ospedale.


Alexander decise di caricare ancora la sua performance, avvicinandosi a lui.


«Cosa stai cercando di dirmi, Brick?» gli chiese, cercando di afferrare le sue mani, pronto a tenerlo immobile il tempo sufficiente per estrarre il coltello dalla tasca del giaccone.
Brick sollevò subito la testa, come se fosse stato colto da una epifania.


«Come sai il mio nome?» chiese il poliziotto, poco prima di vedersi afferrare le mani in una morsa che venne presto colorata da una copiosa cascata di sangue proveniente dal suo collo. Alexander lo osservò rantolare e vomitare rivoli di sangue marroncino fino a che non perse conoscenza.



La prima cosa che Anita fece fu precipitarsi a casa sua, certa di trovarla vuota. Conosceva bene River e sapeva che non si sarebbe dato pace finché non l'avesse ritrovata. Esattamente come aveva fatto l'ultima volta. Una volta entrata dentro si rese conto che la loro abitazione versava in uno stato ancora peggiore di come lo ricordava. Uno strato alto almeno dieci centimetri di rifiuti copriva tutta l'area del pavimento, i piatti sporchi erano impilati nel lavello creando una torre che sfidava le leggi della fisica. Anita non ebbe il cuore di concentrarsi su altri dettagli. Si diresse al frigo. Una feroce fitta allo stomaco le segnalò l'urgente senso di fame che la stava annichilendo.


Il frigo era vuoto. Anita lo richiuse con una furiosa manata che fece tremare la parete. Doveva imparare a regolare la sua forza.


Si chiese se Gufo fosse tornato. Chissà come avrebbe reagito alla sua assenza? Si chiese, sentendo una scossa allo stomaco data da uno spiacevole senso di colpa.


Doveva essere impazzita a sentirsi in colpa per aver abbandonato il suo carceriere. Diede un altro colpo al frigo che si ammaccò evidentemente. Aveva una fame inconcepibile, la stessa sensazione che avrebbe provato se una entità serpentina e velenosa la stesse divorando dall'interno.


Finalmente udì la porta d'ingresso tremare, rivelando River dietro di sé.

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