Capitolo 23 - Clues

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Riuscire a trovare un'ombra in un Distretto pieno di sotterranei era praticamente impossibile, si disse Anita, mentre vagava disperata tra la Streitmeier e il vecchio parco Derrsch. Oramai in quel posto non vi era più alcuna traccia di verde, solo terra battuta ricoperta da quel sottile strato di brillante ruggine che lo rendeva rossiccio. Anita si rese conto di non indossare la maschera antigas da giorni interi, e che nessuno le aveva fatto alcuna domanda in merito. Non che avesse parlato molto con le altre persone.

Sospirò, sedendosi pesantemente su una panchina in ferro battuto al centro del parco. Aveva sonno e fame, ma si rese conto di essere più sola che mai. A un tratto il suo telefono cellulare vibrò, segnalando l'arrivo di un messaggio. Anita lo afferrò, leggendo sul display il nome brillante di River. Aprì il messaggio e lesse:

'Torna a casa'

Anita quasi lanciò il cellulare a terra, producendo un suono gutturale di stizza dalle labbra serrate in una morsa. Col cavolo che sarebbe tornata a casa, non si sarebbe fatta mandare a quel paese un'altra volta.

Essere diventata una Diversa aveva sortito più effetti negativi che positivi: doveva nutrirsi di carne viva continuamente, tutti i suoi amici l'avevano allontanata, non aveva fatto in tempo a salvare Brick...

Al pensiero di Brick le si inumidirono gli occhi, che si fecero più verdi e languidi. Non aveva ancora pianto da quando era successo. Non si era ancora concessa il suo tempo per dirgli addio. Forse avrebbe dovuto, trattenere le emozioni non le aveva mai fatto granché bene.

«Te lo ricordi il giorno in cui ti ho preso, Anita?» mormorò una voce alle sue spalle, facendola sussultare. La detective cercò di ricomporsi subito, per non far notare al suo peggior nemico quanto l'avesse spaventata.

«Me lo ricordo», comunicò atona, evitando anche di girarsi a guardarlo.

«Eri così impaurita, facevi tanta tenerezza», commentò Gufo, muovendo dei passi leggerissimi per mettersi seduto accanto alla donna.

«Sì, ricordo di averti visto parecchio impietosito mentre mi prendevi a pugni», rispose lei, sarcastica. «Come mai questa malinconia?»

Gufo sorrise alla sua battuta, poi distese le lunghissime gambe fasciate da un paio di jeans scuri e si stiracchiò i muscoli delle braccia. Lui sembrava fragile, alto e magro come un giunco. Se Anita non avesse già conosciuto la sua vera forza, probabilmente non ne sarebbe stata neanche intimorita.

«Mi sono svegliato pensieroso, oggi», rispose lui, passandole un sacchetto. «La cena», spiegò subito dopo.

«Grazie», sussurrò Anita, scoprendo al suo interno il corpicino tremolante di uno scoiattolo. Anita lanciò un'occhiata a Gufo, poi gli diede le spalle spostandosi al lato della panchina e lo divorò quasi intero. Sentì Gufo sorridere, mentre si rimetteva seduta al suo posto.

«Ti vergogni a mangiare davanti a me?» chiese Gufo, sardonico.

Anita scacciò via la sua voce, come se fosse una mosca fastidiosa e si pulì la bocca con la manica della maglietta che indossava. Una sbavatura di sangue e rossetto le sporcò tutta la guancia.

«Non ti ho mai visto mangiare carne», sussurrò Anita.

«Ho trovato i miei metodi», spiegò Gufo, senza addentrarsi nei particolari. «Che cosa dovevi dirmi?»

Anita lo fissò, strabuzzando gli occhi. «Come sapevi che ti stavo cercando?»

«Intuizione».

Gufo non era uno che sprecava parole e sapeva bene che a breve sarebbe scomparso senza darle altre spiegazioni, quindi approfittò della sua presenza.

«Chi ha ucciso Brick? E perché?»

Gufo rimase in silenzio per qualche istante, come se stesse assaporando un momento preciso della sua vita.

«Non ci si può fidare proprio di nessuno a questo mondo, non credi?» chiese, alzandosi dalla panchina e indossando uno stranissimo cappello a cilindro che aveva tirato fuori da chissà dove. Anita lo osservava come se fosse stato un prestigiatore su di un palco illuminato.

«Una volta sapevi fare bene la detective», mormorò Gufo, stiracchiando un sorriso. «Io riprenderei da dove ha lasciato Brick».

Anita annuì, con una realizzazione amara che si faceva largo nel retro del suo cervello.

«C'è un disegno molto più grande di quello che pensi», concluse Gufo, prima di dileguarsi quasi senza un rumore, esattamente come era arrivato.


Ivor rimase piuttosto colpito nel vederla rientrare in centrale di gran carriera, senza quasi salutare. Il faldone pieno di documenti poggiato sulla scrivania di Brick non era stato ancora prelevato. Anita si accomodò sulla sedia che apparteneva al suo amico e iniziò a sfogliare tutte le sue ricerche.

Aveva finto di essere un ricco disoccupato di nome Drew Scott, emigrato dal Distretto Jisha, per quasi sei mesi. Durante quel tempo aveva inscenato una relazione con Natalia Restev, figlia di Alexander Restev.

I Restev erano stati una importantissima famiglia in declino finanziario, del Distretto Kolshew, prima di venire esiliati per i loro modi poco consoni di fare affari. Alexander si era misteriosamente arricchito di nuovo non appena aveva messo piede nel Distretto Meshert.

Durante le sue indagini, Brick aveva scoperto che Alexander aveva investito una importante somma di denaro nella produzione acquifera di Jep Tucci, ma i due non si erano mai davvero conosciuti di persona.

«Anita... non credo che tu possa leggere quei documenti senza autorizzazione», la ammonì la vocina piccola e vibrante di Ivor.

Un ringhio degno di un leone le fuoriuscì direttamente dal petto, senza che potesse frenarlo in alcun modo. Ivor si appiattì sul pavimento, terrorizzato, prima di correre di nuovo nel sotterraneo e sbarrarsi al suo interno.

Non perse tempo a sentirsi in colpa e continuò a leggere il lavoro incompiuto dal suo amico.

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