Capitolo 33 - Rose In A Glass

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

TW: scena sessuale violenta

Le labbra di Gufo erano fredde. La sua lingua umida setacciava la sua bocca, con un bisogno che Anita non aveva alcuna idea che uno come lui potesse provare.


Lei seppe all'istante che Gufo stava lottando contro sé stesso da tempo per evitare che quel momento accadesse.
La paura era tanta quanta l'eccitazione nel sentire le mani di lui esplorare il suo corpo con quella frenesia animalesca, così diversa dalla sua abituale natura fredda e calcolatrice. Era come se ogni centimetro di lei fosse suo.


L'aveva inchiodata a quell'albero, finto come tutte le piante di quel giardino sotterraneo, e le aveva liberato le mani per potersi concentrare sui suoi fianchi e sul suo seno. La accarezzava lentamente.
Anita si sentiva troppo stordita e terrorizzata per riuscire a rispondere in alcun modo a quello che stava vivendo.


La lingua di Gufo scese dalla sua bocca fino al suo collo, facendole ricoprire il corpo di brividi. Un leggero gemito sfuggì dalle sue labbra, mentre lui le accarezzava il seno.


«Non riesco più a trattenermi, Anita», sussurrò lui, con evidente astio nel suo tono di voce.
Anita voltò lo sguardo lontano, come se non riuscisse a guardarlo.
Non riusciva a credere di essersi ritrovata in quella situazione. Con Gufo. Il lato peggiore era che le stava piacendo.


Se solo non avesse avuto così tanta paura di lui...
Gufo sembrò avvertire il suo terrore, i suoi occhi gialli si fecero più profondi e il desiderio che provava per lei si fece più denso, come sangue. Anita lo vedeva scorrere sotto la sua pelle di carta velina. Ne era attratta.


Gufo le leccò la giugulare, sentendo il suo battito cardiaco accelerato pulsare sotto il suo tocco umido.
Anita allacciò le gambe al bacino di Gufo, spingendoselo contro. Avvertì la sua erezione premere contro di lei.


Si lasciò sfuggire un altro gemito che costrinse Gufo ad affondare i denti nel suo collo. Un fiume copioso di sangue le si riversò sul seno parzialmente scoperto. Anita venne colta da un orgasmo misto a dolore che le lasciò la vista annebbiata.
Gufo le asportò totalmente un pezzo di carne cruda, masticandolo avidamente. Anita urlò dal dolore e dal piacere, incurante del luogo dove si trovavano. Gufo l'aveva trasportata in un'altra dimensione fatta di sangue, carne ed eccitazione.


Gufo scese con la lingua fino al suo capezzolo e iniziò a morderlo voracemente.
Anita sembrò sul punto di perdere la ragione, ma poi l'improvvisa consapevolezza della pericolosità di ciò che stava succedendo le fece riacquistare il senno.


«Fermati», sussurrò, appoggiando le mani sul torace di Gufo. Il suo tatuaggio sembrava ancora più imponente del solito, considerando che non indossava più la camicia. Anita dovette trattenersi dal fissare i suoi addominali. Si sentiva una ragazzina in preda a una crisi ormonale. Doveva riprendersi.


Gufo alzò lo sguardo verso di lei, interrogativo.


«Non possiamo farlo...» proseguì lei, slacciando le gambe dal suo bacino e sistemandosi la camicetta. Gufo sembrò sull'orlo del collasso.


«Perché no?» sbraitò, a denti stretti.


«Perché non mi fido di te. E poi stiamo cercando di lavorare insieme... questo complicherebbe le cose», spiegò Anita, cercando un fazzoletto per tamponare la ferita sul suo collo. Ora bruciava molto di più, ma non aveva intenzione di rinfacciare quel dolore a Gufo. Probabilmente entro la fine del rapporto avrebbe fatto la stessa cosa anche a lui. Il pensiero la fece ribollire nuovamente.


«Puoi rimetterti la camicia, per cortesia?» bofonchiò, voltandosi dall'altra parte.
Gufo fece spallucce e raccattò l'indumento in mezzo alle piante plastiche del giardino.
Anita lo sentì armeggiare coi bottoni, mentre, ancora girata di schiena, continuava a tamponare il fiume in piena che le scorreva lungo il collo.


Poi lo avvertì dietro di lei. La presenza ingombrante della sua erezione a contatto con la sua schiena la rese nuovamente debole. Lui sorrise e la fece voltare. Teneva un grosso lembo di tessuto fra le mani. Doveva averlo strappato dalla sua stessa camicia. Non se ne era neanche resa conto, tanto era distratta e accaldata.


«Vieni qui», sussurrò lui, ponendo il tessuto sulla ferita. «A casa disinfettalo e cambia fasciatura».


Anita annuì, ma il suo pensiero era fisso sulle labbra di lui che si muovevano in modo maledettamente sensuale e ipnotico.


Anita decise che era il momento di scappare via da quel posto.


«Vorrei dire che mi dispiace per questa ferita, ma mentirei», sorrise lui, allusivo.
Fece aderire bene il pezzo di camicia sul suo collo, e poi fece scivolare le sue dita lentamente su tutto il corpo di lei, fermandosi sul fianco destro.


«Sei sicura?» sussurrò lui, strusciando la sua gamba contro quelle di Anita.
Lei inghiottì il vuoto e poi annuì, decisa.


«Ci vediamo domani in centrale», asserì, con voce quasi robotica.
Si divincolò dalla sua presa e corse il più veloce possibile verso l'uscita di quel maledetto viale.



Il giorno seguente, Anita aveva passato venti minuti di più del solito per prepararsi. Non riusciva a trovare una sciarpa, per coprire quel mostro sul suo collo, che non la facesse sentire ridicola.


Maledisse Gufo in tutte le lingue di sua conoscenza e si diresse a lavoro.
Le ritornarono in mente le parole che aveva sentito dire da Jep. Anche solo la sua voce aveva il potere di risvegliare in lei ricordi terribili e angoscianti.


Gufo gli aveva raccontato di essere al servizio della polizia e Jep aveva riso. Strinse forte i pugni, mentre calpestava la terra ambrata con la stessa forza di un carro armato. Immaginò Gufo ridere di lei allo stesso modo quando non c'era... era stata stupida.
Veramente una bambina credulona.


Varcò la soglia della centrale, il solito odore di caffè nero e putrefazione le ferì le narici sensibili.
La fame si era fatta più pressante, soprattutto dopo la vista di tutto quel sangue il giorno prima. In quella situazione poi... si ritrovò ad arrossire, mentre poggiava la borsa sulla scrivania.


Lanciò uno sguardo verso le postazioni dei suoi colleghi, e si rese conto di essere da sola.
Si recò all'ufficio di Rottemberg e lo trovò chino su alcuni documenti.


«Toc toc?» bisbigliò Anita, sorridendo. Rottemberg alzò lo sguardo a malapena.
«Che cazzo ti sei messa al collo?» borbottò, burbero.


Anita imprecò sottovoce e decise di cambiare argomento.
«Vuoi un caffè?» chiese lei, dolcemente.
«Già ne ho presi quattro», asserì Rottemberg, «e sono solo le nove», continuò lanciando uno sguardo all'orologio da polso, rassegnato.
Anita stiracchiò un sorriso.


«Oggi dimettono Gus, appena finisco di compilare queste pratiche vado da lui. River si è preso una giornata»


Anita tremò visibilmente, ben conscia di come stava per andare a finire quella conversazione. River non era a casa quella mattina, pensò.


«Ci rimani tu con il pennuto oggi. Fatti dire tutto su quella strega del cazzo».


Complimenti per il tempismo, Rott.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro