Capitolo 38 - A Movie Script Ending

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Jep sembrava un felino, si muoveva in modo sinuoso, la schiena un po' ricurva. Poggiò le mani sulle spalle di Vin, ancora inginocchiata davanti ad Anita.


«Che bel quadretto familiare, non trovate?» chiese lui, stirando un sorriso cupo.
Strinse forte la presa su Vin, ma lei non sembrò provare alcun dolore.
Anita sentiva una moltitudine di emozioni tutte nello stesso momento, ma non avrebbe saputo dare un nome a nessuna.


«Cosa volete da me?» balbettò infine, tirando le mani lontano da quelle di Vin, improvvisamente schifata e infastidita.


«Niente di preoccupante, Anita», spiegò Jep, risoluto. «Devi solo smetterla di remarci contro. Inizia a collaborare».


Anita spalancò la bocca, incredula.

«Mi stai chiedendo di spalleggiarti, mentre uccidi chi diavolo ti pare e piace?»


Jep fece per parlare, ma Anita non gli diede il tempo di rispondere.

«Brick è morto a causa di Jep e tu dovresti saperlo. Come riesci a sopportarlo?»


Vin sembrava una statua gotica, grigia e appoggiata su una torre altissima. Dal suo viso scaglioso non trapelava alcuna emozione.
Jep le carezzò ancora le spalle.

«La mia dolce metà si è addolcita molto da quando ha saputo che mi stavi dando la caccia»


Vin trattenne un moto di rabbia, ma riuscì a rilasciarla. Anita provò un misto di pena e comprensione.


«All'inizio nessuno di noi due sapeva chi fosse nostra figlia. Vin aveva l'unico indizio del nome Anita, ma si è ben guardata dal mettermi al corrente, per cui io ignoravo anche quello», spiegò Jep, con dolore nella voce. «Pensa la mia sorpresa quando proprio il carissimo Brick mi ha servito il tuo passato su un piatto d'argento»


«I fascicoli su Vin, su sua madre, ripercorrevano tutto il suo passato. Non aveva capito che fosse stata rapita da me, ma di certo era riuscito a rintracciare la sua sorellastra»


Anita balbettò qualcosa di incomprensibile, scossa. Brick aveva capito tutto, ma non le aveva mai detto nulla. Forse non ce n'era davvero bisogno. Il loro era un rapporto fraterno, e lo era sempre stato, senza alcuna necessità di dirsi niente.

«Vin sta collaborando perché ha troppa paura che, altrimenti, io possa fare del male anche a te. Scelta molto saggia».


Anita non sopportava più il tono di voce di Jep. Sembrava come miele avvelenato che trasudava su tutte le sue ferite.


«Certo... hai fatto quel passo falso con Restev, ma ti ho perdonato».


Anita strinse i pugni.

«Ha ucciso mio figlio e la sua stessa figlia, non meritava la vita», spiegò Vin, atona.


Jep le accarezzò le guance, producendo una pioggia di pelle grigia e morta sul grembo della donna.


«Non potrei essere più d'accordo», sorrise Jep.
Le stavano dando la nausea, doveva cercare il modo di mandarli via.


«Voglio parlare con Gufo», asserì Anita, piatta.
«Non credo lui voglia parlare con te», infierì Jep, sarcastico. «Mi dispiace che ti sia affezionata a lui, figliola, ma Gufo mi obbedisce. Tutto quello che ha fatto è stato per mio ordine».


Anita lo sospettava, ma doveva togliersi ogni dubbio. Non poteva pensarci...
«Voglio parlare con Gufo», ripeté, senza guardare in faccia Jep.


Vin sembrava stanchissima, in quel momento, ma decise di alzarsi da terra e muoversi verso l'uscita. Jep la fissò, dapprima irritato, poi riuscì a stirare un sorriso nella direzione di Anita.


«E sia! Lo faccio chiamare», urlò, ridendo come un pazzo e facendo una piroetta leggiadra verso l'uscita.



Gufo si presentò alla porta della sua cella cinque minuti dopo, con evidente astio nello sguardo glaciale.


«Che vuoi?» chiese, appoggiandosi allo stipite con la spalla destra.
Anita cercò di alzarsi in piedi, ma le manette glielo impedivano.


«Voglio parlarti».


Gufo spalancò le braccia, come a dire 'Sono qui, parla pure'. Anita lo trovò incredibilmente fastidioso, ma proseguì.


«Hai letto i veri fascicoli di Brick, non appena li hai trovati»
Era una affermazione, più che una domanda. Gufo non mosse un muscolo.


«Non ne sapevo niente... non potevo saperlo...», mormorò Anita, come se stesse realizzando anche lei solo in quel momento.
Jep Tucci e Vin, il mostro assassino, i suoi genitori. Come avrebbe potuto tornare in centrale?
Non sarebbe riuscita a fingere di essere una brava persona quando dentro di lei scorreva il sangue del demonio.


Anita scoppiò in lacrime, il suo singhiozzare riempì l'aria circostante, lasciando Gufo assolutamente impietrito.

«So che non ti i-importa», borbottò Anita, non appena riprese una parvenza di respirazione normale. «Ma io volevo solo che sapessi che mi piaceva tanto lavorare con te»


Gufo sbuffò, voltandosi e facendo per andarsene.
«Devon! Aspetta...»


Gufo si pietrificò. Anita avvertì chiaramente il sangue di Gufo gelarsi nelle sue vene.
Lui si voltò verso di lei, lentamente. Il suo volto trasfigurato in una maschera di dolore.


«Nessuno mi chiama così»
«Mi dispiace per quello che ti ha fatto, Devon», insistette Anita, tirando le catene quanto più lontano possibile per cercare di avvicinarsi a lui.


«Smettila!» urlò Gufo, con rabbia.
«Non avrebbe mai dovuto prenderti»


Gufo mosse dei passi felini, velocissimi, verso di lei. La afferrò per il bavero della camicia nera che indossava e le portò il viso a un centimetro dal suo.
«Non sai niente, Anita. Smettila di parlare»
Il suo tono di voce era roco, basso e penetrante. Sembrava sull'orlo dell'esaurimento nervoso.
«Puoi sempre raccontarmelo»


Gufo rilasciò leggermente il colletto di Anita, permettendole di prendere qualche respiro più ampio. Il suo viso restava incredibilmente vicino a quello della detective.


«Lui non mi ha solo preso dal Distretto Dritch. Voleva uno schiavo. Il mio mentore, capo del campo di addestramento del mio settore, gli aveva detto che io ero il più promettente fra tutti i Diversi».


Anita ascoltava attentamente, cercando di capire tutti i dettagli di quel Distretto così diverso dal loro.
«Per cosa vi addestravano?» chiese Anita.
«Ci addestrano per riuscire a governare la fame e per farci gestire meglio i nostri doni»


Anita non pensava che quelli che aveva ottenuto fossero doni, ma vista in quell'ottica si rese conto che una settimana di addestramento avrebbe fatto comodo anche a lei. Se mai fosse riuscita a uscire da quel posto... annuì e lo lasciò proseguire.


«Jep si interessò a me, ma io ero solo un bambino, Anita», il suo tono sembrò rompersi in mille pezzi, «I miei genitori erano delle persone fantastiche, mi adoravano. Erano gli unici umani che abitavano a Dritch. Volevano che stessi con quelli come me».


Gufo appoggiò la testa sulle sue stesse ginocchia.


«Quando Jep disse loro che aveva intenzione di comprarmi e portarmi nei grandi Distretti erano entusiasti. Mi comprarono tutti questi completi ridicoli ed enormi, con la speranza che un giorno mi sarebbero stati bene... che sarei cresciuto forte e sano».


Non riusciva a spiegarsi come riuscisse ad avvertire lo stesso dolore di Gufo, una profonda e lancinante ferita al petto. Si fissarono negli occhi per un lunghissimo istante, condividendo quel dolore. Poi Gufo tornò in sé, con sbrigativo odio.


«Jep non voleva rischiare che un giorno volessi tornare a casa mia, quindi uccise i miei genitori davanti ai miei occhi. Mi chiese di mangiarli per farne sparire i cadaveri, in modo che non rimanessero tracce di loro».


Era orribile. Anita si sforzò di trovare le parole, ma non riusciva a pensare.


«Immagina cosa posso aver provato quando ho letto quei fascicoli, e ho scoperto che l'unica persona al mondo di cui mi interessa ancora qualcosa è la figlia dell'uomo che voglio morto»

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