Capitolo 47 - Secrets

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Entrare a Nikosia per la seconda volta nell'arco della stessa giornata era altamente destabilizzante per Anita, considerando che per venticinque anni non ci aveva mai messo piede.


L'infermiera alla reception non si preoccupò neanche di fermarla. Doveva avere un aspetto particolarmente feroce, ma la cosa non le importava molto.
Entrò come una furia nell'ufficio del dottor Freideich, non ponendosi neanche il dubbio che fosse occupato in altri incontri.


«Anita», disse lui, senza alcun tono in particolare. Rimase, però, comodamente seduto sulla sua sedia in pelle.
Anita si avvicinò ancora di più, arrivando fino alla scrivania del dottore. Appoggiò i palmi delle mani sul legno di noce ruvido, producendo un rumore sordo e metallico quando fece atterrare anche la sua mano robotica.


«Dottore», rispose lei, in segno di saluto.
«Ci sono problemi?» chiese lui, osservandola alzando un sopracciglio.


Le statuette dei cartoni animati poste al lato del tavolo tremarono visibilmente.
«Ci sono una miriade di problemi. Devo parlare con Jep»
«Tuo padre non può parlare, al momento».


Anita strinse i pugni. «Non lo sto chiedendo, dottore. E non dire 'tuo padre' con quel tono»


Adam socchiuse gli occhi reclinandosi di più sulla sua comoda sedia, e facendo brillare la montatura argentea dei suoi occhiali.
«Perché no?»

«Perché non è mio padre. Ora portami da lui, finiamola con queste pantomime»
«Mi dispiace, detective, tuo padre è in isolamento. Non sappiamo quando ne uscirà».


Anita sbuffò sonoramente, avvertendo la solita dose di veleno divorarle il petto. L'odio e la rabbia sembravano volerla uccidere.


«Me ne frego dell'isolamento. È morta una persona»
Adam trasalì, inghiottendo il vuoto.
«Jep Tucci è cruciale in questa indagine. Dobbiamo trovare Gufo. Ti ha mai parlato di lui?» insisté Anita, quasi intimorita dalla risposta. Non sapeva quanto effettivamente avesse voglia di sentir parlare di lui.

Adam fortunatamente negò con un cenno del capo, poi assunse una espressione assorta, come se stesse riflettendo a fondo sul da farsi. Anita non osò interrompere il suo flusso di pensieri.

«Se ti portassi da lui violerei almeno sei punti cardine del regolamento del Nikosia, rischierei il licenziamento e, sinceramente, non me la sento. Spero che tu possa capire»


Anita ricordò con vivida intensità il modo in cui Adam aveva parlato del suo lavoro il giorno in cui l'aveva conosciuto. Più rilassata, abbassò il capo e annuì.

«Tornare con un mandato può risolvere qualcosa?» chiese lei, aggrappandosi alla sua ultima speranza.
Adam sollevò leggermente gli occhi al cielo, in riflessione.


«Finché il paziente è in isolamento non può avere alcun contatto con l'esterno»
Anita strinse nuovamente i pugni.


«Odio il Nikosia», mugugnò, a denti stretti.
Adam sembrò risentire di quell'affermazione a livello personale, ma non ribatté.
«Magari potresti scrivere una lettera esternando tutto ciò che senti nei confronti di tuo padre. È un piccolo compito che ti affido. Sono sicuro che ti aiuterebbe a calmare il dolore», dicendo quelle parole, Adam le rivolse un occhiolino.
Anita colse al volo ciò che il dottore stava cercando di dirle, quindi annuì con enfasi.


«Mi sembra una splendida idea. Ti ringrazio. Se non ti dispiace ripasso domani per consegnartela»


Adam annuì, rivolgendole un sorriso colmo di tristezza mista ad ansia.

Sulla via del ritorno, Anita iniziò a riflettere su quello che le aveva suggerito di fare Adam. Sperò di aver interpretato correttamente quello che le aveva detto. Evidentemente per lui non doveva essere troppo difficoltoso passare una lettera a Jep. I tempi si sarebbero allungati tantissimo, ma la polizia Distrettuale non poteva intromettersi nelle leggi del Nikosia.


Il Nikosia era una struttura governativa, gestita dal DU, - Distretti Uniti -, al cui vertice si ergevano personalità del calibro del Presidente Gastel e il suo fidato sergente Seinfeld.
Anita, ovviamente, non poteva in alcun modo chiedere un favore a Seinfeld.


Sospirò, infilando le chiavi nella toppa. Doveva assolutamente scrivere quella lettera.
Si accomodò subito al tavolo della cucina, senza neanche togliersi il giacchetto, e iniziò a scrivere frettolosamente su un pezzo di carta di pietra.

Ciao Jep

Cancellò immediatamente la riga. Ciao? Ciao, avrebbe potuto scriverlo a un suo amico, non a un pluriomicida al manicomio.

Padre

Sbarrò la parola nuovamente, talmente arrabbiata con sé stessa che ricalcò la cancellatura fino a bucare il foglio.

C'è stato un altro omicidio. Sembra essere l'opera di qualcuno che ti conosceva molto bene. Dove cazzo è Devon?

Anita fissò il foglio, rileggendo quelle tre righe fino all' esaurimento, poi si disse che meglio di così non avrebbe potuto fare e infilò la lettera in una busta, che sigillò sputandoci sopra.
River rientrò in casa di lì a poco, lanciandole uno sguardo triste.


«Avete trovato qualcosa su di lui?» chiese Anita, alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il frigorifero.
River le rivolse un segno di diniego, senza aggiungere altro.


«Il Nikosia mi impedisce di parlare con Jep. Il suo psichiatra si è offerto di farmi un favore e consegnargli almeno una lettera»


River ritornò in sé, riscoprendosi improvvisamente interessato a ciò che Anita stava dicendo.

«Ho scritto due righe, ma temo che non ne ricaverò niente»
«Incredibile, lo hai visto due volte e hai già un nuovo spasimante».


Anita ridacchiò, ignorando volontariamente il tono molto serio di River.

«Ma finiscila, sta solo cercando di aiutarci nelle indagini. Vuoi la carne in scatola per cena?»
«Non ho fame», brontolò River, fissandola con gli occhi socchiusi.
«Ma sei serio, Ri? Non farmi perdere la pazienza che non è giornata», asserì Anita, iraconda.
River si alzò in piedi, rivolgendole uno sguardo colmo di risentimento.


«Sono due settimane che 'non è giornata'», disse lui, mimando con le dita il gesto delle virgolette, citandola.
«Non mi stai rendendo le cose facili», rispose lei, sbattendo con poca grazia un piatto di plastica sporco nella pattumiera.
«Oh, povera piccola Anita», borbottò lui, facendole il verso e chiudendosi nella sua stanza, sbattendo la porta.


Anita alzò gli occhi al cielo, esasperata. Viveva con un cretino, non c'erano dubbi in merito.

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