Capitolo 51 - There Once Was A Castle

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Le sue mani erano gelide. Non era ancora riuscita a guardarlo negli occhi, la paura l'aveva totalmente atterrita. Era finita. L'avrebbe uccisa. Seinfeld l'aveva mandata a morire.
Gufo le stringeva i polsi, così forte che non si sarebbe stupita se li avesse sentiti sbriciolarsi.

«Come mai ci hai messo tanto a trovarmi?» chiese lui, in un sussurro di velluto che le accarezzò la pelle come un mantello pregiato.

Incredibilmente, lui le lasciò andare i polsi, aiutandola a rimettersi in piedi. Solo in quel momento, riuscì a vederlo di nuovo in faccia.
Il suo cuore sembrò mancare un battito, mentre i suoi occhi verdi si incatenavano nuovamente in quelli di Devon.

Lui le rivolse un mezzo sorriso, teneramente, risvegliando in Anita un sentimento che non ricordava più di aver provato.

«M-mi ero persa», sussurrò Anita, come a spiegare cosa ci facesse lì. Gufo era tornato e con lui il suo improvviso balbettare.

«Lo so. Ho sentito il tuo odore a quattro chilometri», spiegò lui, sorridendole.
Anita aveva così tante cose da chiedergli, che sentiva la testa pesarle almeno il doppio sul collo.

«Perché sei andato via?» mormorò lei, continuando a fissarlo.
Gufo rise, anche se quella volta la sua risata sembrò essere più amara.

«Volevi arrestarmi, Anita», disse lui, calmo. «Tu hai detto a Rottemberg di farlo. Ti ho sentito».


Anita ripercorse quel momento istantaneamente nella propria testa, lei che mormorava a Rottemberg di arrestare anche Gufo.

«E quel messaggio minatorio?» chiese ancora lei, appoggiando le mani sulle braccia di Gufo. I muscoli di lui guizzarono al suo tocco, ma cercò di ignorarlo.
Lui fece spallucce e sorrise.

«Ero arrabbiato...?»
Anita cercò di non stupirsi troppo della risposta fuori contesto.

«E ora? Sei ancora arrabbiato?»
Gufo le rivolse un bel sorriso. Anita ci lesse molti significati dietro, ma non li esternò, speranzosa che per una volta fosse lui a parlare dei suoi sentimenti.

«Dritch mi aiuta a rilassarmi. Mi mancava casa mia».


Anita ebbe un vivido flash del cadavere disteso sul metallo freddo della lettiga di Ivor, martoriato.

«Da quanto sei qui?»
«Sono venuto qui subito dopo quel casino a casa di Jep, perché?»

Anita allargò gli occhi, preoccupata.
Quindi l'assassino non era Gufo? Una malconcia rete di informazioni si faceva strada nella testa della detective, portandola ad allontanarsi da Gufo e fare un dietro-front. Doveva tornare a Meshert. Doveva avvisare River.

«Dove stai andando?» urlò Gufo, raggiungendola in un nano secondo.
Anita non lo degnò neanche di uno sguardo, troppo intenta a elaborare nuove teorie sull'omicidio.
Gufo, innervosito, la afferrò per un polso e la fece voltare verso di lui.
Anita gli rivolse un'occhiata truce.

«Mi spieghi che diavolo succede?»
«Qualche giorno fa abbiamo trovato un nuovo cadavere. Stesse modalità di omicidio e tortura che avrebbe utilizzato Jep. Stesso luogo di ritrovamento. Solo che... non è stato lui. E neanche tu»
«Cioè pensavi che avessi ucciso qualcun altro?»
Anita abbassò lo sguardo sulla mano di lui, ancora stretta sul suo polso.
«Beh, non sei esattamente un boy-scout, non credi? In più mi avevi minacciata di morte... credevo che fossi stato tu».

Gufo le lasciò la mano, come se fosse stato ferito da quella affermazione.
«Devi rientrare a Seelenfleisch, cadetto».

Anita gli rivolse uno sguardo perplesso. Gufo era totalmente impazzito, ne era certa.
«Io devo tornare a casa mia», proclamò Anita, categorica.
«Non è possibile. Ti mostro il tuo alloggio e domani mattina inizierai l'addestramento»
Gufo sembrava mortalmente serio.

Solo in quel momento Anita notò che era vestito in modo molto diverso dal suo solito. Una divisa nera, pantaloni mimetici e un evidente logo con rosa rossa sul lato destro della maglia.

«Tu lavori qui?» mormorò Anita, poco convinta.
«Sarò il tuo addestratore», spiegò lui, senza celare un vago senso di orgoglio.

Gufo le fece segno di tornare indietro, indicando con un gesto plateale il castello alle sue spalle.
Anita sentiva la testa vorticare in modo frenetico.

«Io devo tornare indietro... devo trovare l'assassino», farfugliò la detective. Aveva l'aria stanca e affranta.
Era ormai sera, lanciò uno sguardo verso la strada tortuosa e alberata che l'aveva condotta fin lì, poi esalò un lungo sospiro.

«Va bene, ma ci passo solo una notte», acconsentì infine, muovendosi a passi svelti all'interno di SeelenFleisch.
Gufo la seguì, con un sorriso vittorioso stampato sul volto.

Il castello era enorme, l'ampia sala di ingresso era decorata da stemmi e araldi neri e rossi, due larghe scalinate di marmo nero, – una a destra e una sinistra –, riempivano la visuale. Davanti a loro una lunga scrivania di legno massello, dietro il quale era riunito un capannello di persone che indossavano la stessa divisa di Gufo.

«Sono tutti addestratori», spiegò Gufo, avvicinandosi lievemente al suo orecchio. Tutti i presenti sollevarono comunque lo sguardo verso di loro, nonostante Gufo non avesse emesso nulla più di un sussurro.
Sei paia di occhi gialli la squadrarono da capo a piedi e sembravano veramente poco amichevoli.
Anita sollevò lievemente la mano, in segno di saluto.
Si diede della sciocca un secondo dopo per quel gesto infantile, ma era troppo tardi ormai, i sei Diversi stavano già bellamente ridendo di lei.
Gufo sbuffò, cercando di farsi sentire da tutti.

«Dai ragazzi, smettetela. È nuova», li ammonì lui. Anita si voltò di scatto. Gufo la stava davvero proteggendo? Arrossì, abbassando lo sguardo sul pavimento di marmo.

«Si vede», commentò una ragazza.
Aveva l'aria di una che ce l'aveva con il mondo intero. Due lunghe trecce di capelli rossi le adornavano il viso angelico, punteggiato da una miriade di lentiggini.
«Non essere cattiva, Sig», brontolò l'uomo che si ergeva di fianco a lei. Era alto due metri ed era largo come un armadio a tre ante. La ragazza emise un latrato lamentoso e poi tornarono tutti a parlare dei loro affari.

Gufo afferrò Anita per un braccio, e la condusse gentilmente verso la scalinata alla sua sinistra.


«Ignorali per ora. Sigrid fa così con tutti», mormorò, con fare bonario.
Anita si ritrovò ad annuire per esasperazione. Non aveva più detto una parola. La stanchezza e la fame stavano per scontrarsi in un mix letale.

Gufo la accompagnò in cima alla scalinata e le indicò una serie di porte che si estendevano lungo un enorme corridoio, alla loro destra. Le pietre nere che componevano il castello venivano illuminate dalla fiammella sfarfallante di alcune fiaccole, apposte fra ogni porta. L'atmosfera che si veniva a creare dava i brividi.

«Da qui in poi c'è il dormitorio femminile. Se non ricordo male la stanza trecentoventuno ha una brandina libera, cadetto», spiegò Gufo, facendo per scendere. «Ci vediamo domani mattina nell'atrio. Alle sei».

Anita aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma un sonoro sbadiglio la precedette. Si rese conto di quanto poco senso avesse discutere in quello stato; quindi, annuì, e si diresse verso la stanza trecentoventuno.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro