Capitolo 54 - Crying In The Bathroom

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Gus bussò cinque volte alla porta, con urgenza. Rottemberg non voleva saperne di aprire.

«Rott! Apri questa cazzo di porta!» urlò l'agente, dandoci una sonora spallata.

Dopo svariati minuti di silenzio assordante, Gus decise di estrarre la pistola e sparare contro la serratura. Era il metodo più veloce e pratico di agire.

«Sto per sparare sulla serratura, Rott» avvisò Gus, puntando la Glock con una serietà incredibile.

Bastarono quelle parole per far sì che un rumore metallico di catene che venivano sciolte, investisse le orecchie di Gus. Abbassò l'arma, placandosi.

Il viso di Rottemberg, pallido e scontroso, si affacciò dalla porta semi aperta.

«Che vuoi?» borbottò il caposquadra, guardando male il suo amico.

Gus sembrò particolarmente ferito da quel trattamento, ma si riscosse subito.

«Volevo assicurarmi che andasse tutto bene. È strano non vederti in centrale».

Rottemberg allargò le braccia, come a fargli notare che andava tutto bene. Gus non gli credette.

«Posso entrare?» chiese, insistente.
Rottemberg fece segno di diniego.

«Ho bisogno di riposo. Ci vediamo tra qualche settimana».

«Qualche settimana? Anita è stata portata via dal DU, e abbiamo un nuovo killer a piede libero».

Rottemberg fece spallucce e Gus, preso da un moto di rabbia, si avvicinò e lo scosse per le spalle.

«Mi stai dicendo che non ti importa?»
Rottemberg gli scostò le mani con un gesto di stizza.

«Non ci posso fare niente, ok? Non ho le risorse né il potere sufficiente per contrastare il DU. Pensavo di averlo, ma... non è così».

Gus lo vide abbassare il tono di voce a metà frase, mentre rientrava in casa sua. Rottemberg si sedé sul suo divano coperto da una scomodissima cerata di plastica. Sospirò sonoramente.

«Forse Anita sta meglio lì».

Gus si avvicinò al caposquadra a grandi passi. Mise su una faccia a dir poco spaventosa, e iniziò a parlare.

«Ma che cosa stai dicendo, Rott? Tu sei qui a perdere tempo, mentre Anita è dispersa chissà dove, e sicuramente vuole tornare da noi. Sai che ti dico? Se sei così cacasotto prendo il comando io, e la riporto a casa»

Rottemberg sgranò gli occhi, scattando in alto con la schiena. Farsi dire 'cacasotto' da Gus era quantomeno buffo, ma si rese conto che aveva perfettamente ragione. Si era fatto trascinare a fondo dalle parole cattive di Seinfeld, e non stava più ragionando. Doveva riprendersi alla svelta.

Rottemberg annuì, non riuscendo a nascondere una certa gratitudine nei suoi occhi.

«Hai già un piano?» chiese, facendo per alzarsi.

Gus sorrise, finalmente sereno.
«Ho qualcosa in mente».



La mano di Gufo premeva sulla sua bassa schiena, e la stava sospingendo leggermente verso la sala da pranzo. La prima sera non si era resa conto che dietro la grande scrivania degli addestratori c'era una porta chiusa. Ora la vedeva chiaramente, perché era stata aperta dagli inservienti.

La sala da pranzo era quanto di più bizzarro Anita potesse figurarsi. Un lunghissimo tavolo di mogano, elegantemente apparecchiato con piatti e posate d'oro su una lunga tovaglia nera, ospitava almeno venti Diversi, seduti uno di fianco all'altro. L'odore di fattoria era tangibile, sterco e fieno, e costrinse Anita a voltare lo sguardo verso le pareti della sala.

Decine di gabbie e recinti contenevano altrettanti animali vivi. Maiali, cavalli, galline, tacchini.

Anita era assolutamente orripilata, ma comunque l'odore del sangue fresco, – uno o due Diversi avevano già iniziato a servirsi del buffet -, le stava facendo venire fame.

Gufo si accomodò all'estremità destra del tavolo, facendo segno ad Anita di sedersi accanto a lui.

Anita lanciò uno sguardo triste verso un piccolo maialino da latte, che la guardava con degli occhioni azzurri dolcissimi, poi decise di prendere un bel respiro e sedersi.

«Quindi? Chi pensi sia il nuovo killer?» chiese Gufo, lasciandola perplessa.

«In realtà non ho altre piste... ero sicura che fossi tu», ribadì lei, tanto per girare il coltello nella piaga.

«Sì, grazie, avevo colto anche la prima volta che me l'hai detto. Parlami dell'omicidio».

Anita spiegò nel dettaglio lo stato del cadavere, il luogo di ritrovamento e il dettaglio osceno del topo sotto effetto del siero.

Ovviamente Gufo non fu affatto colpito dai dettagli truculenti del racconto, ma sembrò iniziare a pensare a qualcosa.

«Non posso neanche chiamare Rottemberg. Quello stronzo di Seinfeld mi ha sequestrato il cellulare».

Gufo sembrò illuminarsi. «Per questo posso aiutarti io. In camera mia ho un telefono usa e getta, lo tengo per le emergenze».

«Non fanno tenere i cellulari neanche a voi addestratori?»

Gufo rise, amaramente. «Diciamo che il DU ci ha fatto chiaramente capire che non dobbiamo esistere al di fuori di questa isola».

Anita aveva così tanti dubbi sulla natura di Dritch, ma doveva darsi delle priorità e quell'omicidio era una di queste.

«Stasera, non appena Elke si addormenta, mi introduco nel dormitorio maschile e ti raggiungo», asserì Anita, seria.

«Certo. Con la tua grazia sono sicuro che nessuno dei Diversi se ne accorgerà».

Anita gli lanciò uno sguardo al veleno, lui le sorrise. «Vediamoci alle tre di notte sulla torre ovest. Porto il telefono».

Anita si rese conto che tutto quel vociare, e il lamentarsi strozzato degli animali barbaricamente uccisi, copriva alla perfezione quello che loro stavano architettando. Gufo avrebbe potuto essere un ottimo detective, se solo non fosse stato un pazzo sadico.

«Direi che possiamo mangiare, ora. Facciamo a metà di quel maialino?» chiese Gufo, sorridendole sornione.
Anita, a malincuore, acconsentì.



Le lezioni del pomeriggio andarono leggermente meglio rispetto a quelle della mattina. Gufo ebbe il cuore di non farla correre di nuovo, ma si focalizzarono sulla seconda dote fondamentale per un Diverso.

L'ascolto.

Rimasero per tutto il pomeriggio immobili, seduti a gambe incrociate nel bel mezzo della foresta.

Il compito era classificare tutti i suoni che le loro orecchie riuscivano a cogliere.

Anita riuscì a sentire ben tredici suoni, ma si vergognò molto, quando, sbirciando sul foglio di un compagno di corso, vide che lui era riuscito a identificarne almeno il doppio.

Consegnò il foglio a Gufo, che le rivolse un sorriso a metà fra la pena e la derisione.

Quando rientrò in camera trovò Elke già sotto le coperte. Anita le rivolse un cenno di saluto con la mano, e la ragazzina ricambiò.

«Ho sentito che ti sei innervosita durante la lezione di oggi», commentò Elke.

Anita annuì. Aveva decisamente poca voglia di stare a giustificarsi con lei. Aveva la metà dei suoi anni ed era già il doppio più brava.

«È normale. Anche al mio primo giorno sono scappata via. Mi hanno ritrovato a piangere al bagno. Avevo dieci anni».

Anita la ascoltò, incuriosita da quell'improvviso scambio di informazioni personali. Elke sembrava una adulta vestita da bambina, ma i suoi occhi tradivano la sua età.
Chiarissimi e splendenti, riflettevano una speranza per il mondo che Anita sapeva essersi già spenta.

«Andrà meglio anche per te. Fidati», chiosò Elke, girandosi dall'altra parte. Dopo pochi istanti sembrò crollare in un sonno profondo.

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