Capitolo 58 - Every Breath You Take

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«Perché il capo Morris non ha trovato anche un modo per contrastare la ruggine?» chiese Anita, ancora adagiata sulla sedia accanto a Vin.

Non trovava una spiegazione. Insomma, una persona che poteva alterare la realtà sarebbe facilmente riuscita anche a eliminare la ruggine dal mondo.

«Ci sta provando, ma non crediamo che il mondo sarà mai pronto. Nessuno lo aiuta nel progetto»

Anita era sconvolta. «Magari non lo ha sottoposto alle persone giuste! A Meshert c'è il mio caposquadra che potrebbe aiutarlo».

Vin scoppiò in una risata amara.

«Rottemberg non conta un cazzo, Anita. Seinfeld avrà fatto in modo di ricordarglielo ora che sei andata via».

Anita non era affatto d'accordo, ma non replicò, ancora provata da quelle notizie.

C'era un modo di sistemare tutto, ma nessuno faceva niente. La ruggine era la causa, l'effetto e soluzione a tutto.

Senza di essa la popolazione avrebbe potuto ricominciare a vivere normalmente.

«È tutto sbagliato», sentenziò Anita, appoggiando la testa sulle ginocchia e respirando a fondo.

Vin le poggiò una mano sulla schiena, carezzandola dolcemente. Anita rialzò subito lo sguardo, innervosita da quel tocco. Poi si alzò e si diresse verso l'uscita.

«Beh, grazie di avermi avvisata allora», borbottò, iniziando ad aprire la porta.

«Nessun grazie. Entro venti giorni dovrai superare la prova per diventare addestratrice»

«Perché così presto? Non sono pronta»

«Dovrai esserlo».

Vin la congedò subito dopo con un cenno della mano. Anita non controbatté, certa che la pazienza del Sergente Maggiore fosse già arrivata alla sua fine.

Maledetto Gufo.


Adam Freideich attendeva con le gambe incrociate, comodamente appollaiato sulla sua sedia di pelle. Si rigirava la lettera fra le mani. Lo stato in cui versava era evidentemente febbrile, e gli causava un tremore visibile su tutto il corpo.

River entrò poco dopo nello studio, cogliendolo di sorpresa e provocandogli un sobbalzo.

River si fece subito vicino alla scrivania, con sguardo austero.

«Dammi la lettera», ordinò.

Adam sembrava molto riluttante, mentre tendeva il braccio verso il poliziotto.

River quasi gliela strappò di mano, e fece subito per andarsene.

«Aspetta!», trillò Adam, quasi sul punto di scoppiare dall'emozione. «Ti prego, puoi leggerla davanti a me?»

River gli rivolse uno sguardo incuriosito.

«Non sono matto, è solo che potrebbe aiutarmi con i miei studi sulla mente criminale. È molto importante».

River sembrò rifletterci un attimo, poi scrollò le spalle e tornò verso la scrivania dello psichiatra. Si accomodò sulla sedia davanti a lui e scartò la lettera. Adam sembrò calmarsi, riprendendo a respirare normalmente. Si sedé anche lui, e attese che River leggesse ad alta voce.

'Ciao Anita, so benissimo chi è stato. Non provo alcun rispetto per gli imitatori, quindi, se sarai così gentile da farmi un piccolo favore, ti dirò il nome dell'assassino.
Per ora posso solo dirti che sei fuori strada se pensi sia stato Gufo.'

Beh, niente di utile, pensò River tra sé.

Erano tutte informazioni che avevano trovato da soli. Rimase qualche secondo in contemplazione del vuoto, poi lanciò uno sguardo a Adam.

Non aveva mai visto un uomo in uno stato catatonico simile a quello. Sembrava completamente uscito di sé.

«Adam?» chiese River, sventolandogli una mano davanti gli occhi. «Tutto bene?»

Adam scosse la testa, e quel gesto permise ai suoi occhi di ritornare vispi e attenti.

«Sì, scusami. Ero solamente pensieroso. Pensi che sia il caso di scrivere ancora?»

River annuì, prendendo un foglio di carta dalla disordinata risma poggiata sulla scrivania di Adam, e una penna.

«Anita è ancora malata? Non pensi che Jep si accorgerà che non sei lei?»

River si immobilizzò, pensoso.
Effettivamente non poteva rischiare che Jep capisse che, in verità, stava parlando con lui anziché Anita.

«Hai ragione, Freideich. Mi sono fatto prendere dall'euforia. Vado a casa e faccio rispondere Anita».

Lo psichiatra annuì, salutandolo subito dopo con un cenno del capo. River era certo che fosse ancora incredibilmente scosso dalla lettera di Jep, ma non glielo fece notare.



Camminare per i lunghi corridoi di SeelenFleisch, ora che sapeva la verità, non aveva la stessa magia misteriosa di prima, ma anzi, risultava solo incredibilmente spaventoso. Anita muoveva passi lenti, incerti, come se avesse avuto paura di calpestare qualcosa di invisibile, in quel momento.

Si chiese che cosa la circondasse nella realtà, quali erano le cose che non poteva vedere.

Raggiunse la camera trecentoventuno, ma Elke non c'era.

Era l'ora di cena, ma lei non aveva alcuna fame, stranamente.

Nutrirsi. Era quello l'unico obiettivo di un Diverso? Nutrirsi e uccidere.

Seguire ordini precisi, affidati da persone senza morale, altrimenti vivere con la consapevolezza che i propri simili sarebbero impazziti dalla fame a Dritch.

Si accasciò sul suo letto, beandosi di quel prezioso attimo di silenzio. Sentì il suo corpo venire attraversato da un brivido, quando pensò al vero letto su cui doveva stare poggiando la testa. Una putrida prigione umida, scarafaggi e topi.

Cercò di distogliere il pensiero e lo riportò su Gufo. Si stava comportando in modo strano ultimamente, non riusciva a dargli un senso.

Perché aveva voluto mandarla da Vin? Diventare addestratrice per quale motivo?

Le aveva promesso che sarebbero tornati insieme a Meshert...

Nulla aveva senso, e il pensiero che i suoi amici fossero in pericolo la mandava al manicomio.

Al manicomio?

Un improvviso flash di Nikosia e di Adam Freideich la colpì in pieno. Jep. Doveva aver risposto alla sua lettera, ormai, eppure River non le aveva detto niente al telefono.

Doveva ancora risponderle? Lo avrebbe mai fatto?

Anita si rialzò dal letto, e decise di dirigersi in sala da pranzo. Doveva chiedere a Gufo se aveva a disposizione un altro telefono da farle usare.

La sala da pranzo era gremita di gente, l'odore del sangue era quasi insopportabile, e i pavimenti erano viscidi e scivolosi.

Inservienti dall'aspetto provato passavano di continuo uno spazzolone a terra, ma non sembrava essere neanche lontanamente sufficiente.

Anita cercò Gufo con lo sguardo, e lo vide seduto accanto a Sigrid, nell'angolo della tavolata a destra. Ridevano insieme, e sembravano molto affiatati.

Anita li raggiunse in due falcate, stupendosi di sé stessa e della sua velocità.

Anche Gufo dovette incuriosirsi parecchio, perché rivoltò subito lo sguardo nella sua direzione. Anita torreggiava su di lui, con sguardo astioso.

«Dobbiamo parlare».

«Non ti è bastata la punizione di oggi, cadetto? Quando imparerei a porti come si conviene con il tuo addestratore?» trillò Sigrid, alzandosi in piedi in un balzo, e piombando di fronte ad Anita.

Gufo rimase immobile, senza intervenire.

«Non sto parlando con te. Devon, è urgente».

Sigrid incrociò le braccia al petto, scoppiando in una fragorosa risata.

«Mi stai ignorando, ragazzina? Vuoi forse passare la notte a penzolare dalla torre ovest?» gracchiò la rossa, spostandosi le trecce dietro la schiena con un gesto iroso.

Anita sollevò gli occhi al cielo, esausta.

«Senti Sigrid, mi dispiace di essere stata insolente. Ma ho davvero davvero bisogno che tu ti tolga dalle palle».

Gufo spalancò gli occhi, in un flash argenteo di pura preoccupazione.

Se addirittura Gufo era preoccupato doveva voler dire che si era appena messa nei guai.

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