Capitolo 59 - Rotten Meat

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In un attimo venne afferrata dai capelli, e sbattuta con la faccia sul tavolo di legno sbeccato.

La guancia le doleva enormemente, ma invece di un verso di dolore riuscì a emettere solo un ringhio rabbioso.

Cercò di muovere le braccia per allontanare Sigrid dal suo corpo, ma nessuna parte di lei sembrava collaborare.

«Lasciala, Sigrid», ammonì Gufo, con voce sepolcrale.

«Altrimenti? Rovinerei troppo il viso pulito della tua fidanzata?»

Gufo sbuffò, e lo avvertì afferrare le mani di Sigrid. Improvvisamente la pressione sul suo cranio scomparve, e poté riprendere a respirare con costanza.

«Lei non significa niente per me».

Anita rialzò la testa, e affrontò lo sguardo di Gufo. Come poteva dire quelle cose dopo quello che c'era stato fra di loro?

Sigrid rise amaramente, ancora stretta nella presa ferrea di Gufo.

«Pensi che sia scema? Avverto tutte le variazioni nella circolazione del tuo sangue, quando ti si avvicina questa schifosa carne marcia».

Le persone che li stavano osservando emisero un coro oltraggiato. Carne marcia doveva essere un insulto dei Diversi, immaginò Anita.

Non che le importasse qualcosa.

«Datti una calmata, prima che Decker ti senta. Nessuno vuole vederti declassata», la avvertì Gufo, stranamente bonario.

Anita sentì una morsa afferrarle il basso ventre, mentre una profonda gelosia prendeva il sopravvento sul suo cuore.

Doveva concentrarsi, non aveva tempo per quelle stupidaggini da tredicenne.

«Sentite, non mi interessa dei vostri intrallazzi amorosi. Devo solo parlare con Devon. Subito», disse nuovamente Anita, fissando Gufo con risolutezza.

Sigrid guardò Anita con disprezzo, poi scansò le mani di Gufo con un gesto violento che colse di sorpresa anche lui, e lasciò la sala da pranzo con passi feroci.

«Wow, ti ama tantissimo, eh?» commentò Anita, ironica. «Comunque... ti ricordi l'altra sera? Mi servirebbe lo stesso favore».

Gufo alzò il sopracciglio, confusamente, e lanciò un'occhiata eloquente al corpo di Anita. Lei arrossì visibilmente, facendo per coprirsi dal suo sguardo indiscreto.

«Non intendevo quello, idiota. Parlavo dell'altra cosa»

Gufo sorrise, poi annuì. «Stasera, stesso posto e stessa ora».



Quella mattina, quando si svegliarono, Eward e Annabelle non avevano la più pallida idea che quel giorno sarebbero morti.

In effetti, nessun Diverso poteva avere quell'idea, visto che tutti loro erano ben consci di essere pressoché immortali.

Eppure, quel giorno accadde.



Sei ore prima

Anita aveva appena concluso la lezione sul riconoscimento olfattivo, ma non aveva voglia di andare subito a cena.

Aveva a disposizione ettari di suolo dove allenarsi, e decise che un po' di sano sfogo le avrebbe fatto bene. Se solo avesse avuto la sua katana...

Tutti gli altri cadetti rientrarono, lasciandola sola a bearsi del tramonto limpido che si stagliava prepotente davanti a lei.

Il buio che iniziava a farsi strada tra gli arbusti, sconfiggendo quella lieve luce ambrata rimasta, le regalava una pace effimera inspiegabile. Sapere che tutto ciò che la circondava era pura finzione aveva un duplice effetto su di lei. Calma e rabbia.

Anita iniziò a menare pugni all'aria. Quel battibecco con Sigrid l'aveva scossa, soprattutto perché si era resa conto di essere veramente debole in confronto a lei.

Sospirò, scagliando altri due pugni, quando avvertì un sottilissimo crack proveniente da un ramoscello spezzato, poco dietro di lei. Voltò subito lo sguardo, pronta a cogliere di sorpresa chiunque le si fosse piazzato davanti.

«Chi c'è?»

Nessuno rispose, seppure Anita continuasse ad avvertire un lento e cadenzato respirare.

Sembravano essere due persone. Wow, stava diventando brava a percepire quelle cose.

«Calma, calma. Siamo noi»

Anita si voltò, e scorse nella penombra due figure. Lei aveva i capelli rosa, e la identificò subito come Annabelle, l'addestratrice degli Intermedi. Accanto a lei, Eward.

I due ragazzi si avvicinarono, con le mani alzate, per dare l'impressione di essere innocui. Anita tenne la sua posizione difensiva, cauta.

«Vogliamo solo parlare, non ti facciamo niente»

Annabelle sembrava una ragazza premurosa e dolce, il suo tono di voce quasi come miele caldo che le ricopriva la gola.

Anita guardò anche Eward, dall'aspetto pulito e giovanissimo.

«Che volete?» chiese Anita, guardinga.

«Niente, volevamo solo controllare in che modo, un microbo come te, fosse riuscito a rispondere a tono a Sigrid senza morire».

Annabelle le girava intorno, come se la stesse sorvolando.

Anita non rispose, limitandosi a fissare entrambi assottigliando gli occhi.

«Non rispondi?» domandò Eward.

Era la prima volta che riusciva a sentire la sua voce. Stonava incredibilmente con il suo aspetto giovane.
Era roca e maschile, vecchia quasi. Per Anita divenne impossibile capire quanti anni avesse.

«Non ho voglia di parlare con voi. Ora, se non vi spiace, mi stavo allenando»

Annabelle ed Eward si scambiarono uno sguardo complice che non sfuggì ad Anita.

«Va bene. Ci vediamo a cena, allora».

Anita non li salutò, limitandosi a voltarsi per continuare a tirare pugni all'aria.



Tre ore prima

Anita si tolse le coperte per prendere un po' di fresco sulle cosce.

L'aria di marzo iniziava a essere calda, e la foresta accanto a loro, sebbene non fosse effettivamente esistente, riusciva ad arrecarle un fastidioso senso di umidità tropicale.

Sospirò, incapace di addormentarsi.

Mancavano tre ore all'appuntamento con Devon, ma non faceva altro che pensare alla situazione dei Diversi. Imprigionati e trattati come bestiame; schiavitù in cambio di cibo per mantenere sano il loro popolo.

Anita non sapeva se i Diversi potessero morire di fame, ma conosceva bene gli effetti che aveva su di lei. Si trasformava quando non mangiava per tanto tempo. Era terrificante.

Si ritrovava in quel limbo in cui aveva a cuore i Diversi, tanto quanto aveva a cuore Meshert, e il trovare l'assassino del topo.

Imprecò sottovoce, voltandosi sul fianco. Guardò con dolcezza Elke, profondamente addormentata.

Capiva bene per quale motivo il capo Morris avesse deciso di costruire quella realtà alternativa. Tutti quei bambini lasciati a morire da soli, in quella prigione senza via di uscita. Era giusto che non lo vedessero. Che non sapessero la verità.

Anita sbuffò, e mentre si rendeva conto che non avrebbe più ripreso sonno, decise di vestirsi per fare un giro a SeelenFleisch.

D'altronde cosa sarebbe mai potuto andare storto?

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