Capitolo I - Bocciolo di rosa

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Il mese che precedeva il Ballo d'Autunno era il più frenetico di tutto l'anno. Non solo la scuola veniva coinvolta, ma pure tutta la comunità di Templar si sentiva molto vicina a questa ricorrenza, soprattutto perché significava un paio di giorni di vacanze dal lavoro per la maggior parte dei cittadini e il potersi sbizzarrire con decorazioni e costumi.

L'aria era fresca e, per essere una mattina di metà ottobre, la gente girava già bardata di tutto punto. Quest'anno il tema era "Il Mondo Magico" e, dal finestrino dell'autobus che mi stava portando a scuola, notai quanti adolescenti passeggiassero per le vie della città con sacchetti colmi di ali da fata, coroncine, cappelli a punta e code da sirena dai mille colori.

«Le persone sono piene di fantasia» commentai sarcastica a mezza voce all'ennesima mia coetanea che saliva sul pullman con indosso una parrucca rosa.

«Non essere così negativa, Ellie. Anche noi fino all'anno scorso eravamo come lei. E, se non sbaglio, tu a quest'ora eri già ricoperta di finti tatuaggi runici.» Dallas mi diede una spallata amichevole e tornò a guardare la dolce fatina dai capelli color confetto che gli sorrise svenevole.

«Ormai non mi interessano più queste cose.» Tornai a guardare fuori, pensando a quanto fosse incorreggibile il mio migliore amico. «Tieni a bada quegli occhioni da cucciolo, se vuoi continuare a uscire con Caroline.»

Rise, scrollando le spalle. «Da quando sei così protettiva con la tua sorellastra?»

Non lo ero, né mai lo sarei stata. Caroline era solo una diciottenne come le altre, con nulla di particolare che la distinguesse dalla massa fatta eccezione, ovviamente, per i suoi pessimi modi di fare. Tuttavia, il fatto che lui potesse interessarsi a un'altra mentre usciva con lei mi dava parecchio fastidio. «Lascia perdere. Non mi interessa.» Per fortuna fui salvata dal trillo che annunciava la nostra fermata.

La Templar High si stagliava imponente con il suo stile baronale contro il cielo che si era appena annuvolato. La facciata era in pietra grigio chiaro, le grandi vetrate in cristallo erano lustre come i gradini d'ingresso e il prato tutt'attorno appena tosato.

Una volta in classe, le lezioni si susseguirono quasi troppo in fretta e in men che non si dica mancavano solo una manciata di minuti al mio incontro con il Comitato del Ballo. Ero stata incastrata insieme ad altri miei compagni dal professore di storia, nonché docente responsabile del Ballo, perché avevano bisogno di persone che aiutassero con le decorazioni. Secondo lui, dati i nostri buoni voti, non potevamo che essere perfetti per l'incarico.

Non avevo davvero intenzione di presentarmi la sera del Ballo, ma fino a quel giorno era un'ottima scusa per saltare la lezione. Finalmente, la campana suonò e senza nemmeno aspettare di essere congedata, mi dileguai. Il corridoio si riempì in pochi attimi e dovetti lottare per arrivare al mio armadietto incolume. O quasi.

Una ragazza mi travolse, facendomi quasi cadere.

«Scusami», mi gridò lei da sopra il casino e afferrandomi per arrestare la mia caduta per un soffio.

Scossi la testa e mi rimisi bene in piedi, lisciandomi la camicetta che si era sgualcita. «Tranquilla, può succedere. Soprattutto nei cambi dell'ora.» Alzai lo sguardo e misi a fuoco chi avessi davanti.

Ricci rossi, fisico atletico e occhi verde foglia. Non era di queste parti ed ero stupefatta che persone non di Templar frequentavano di proposito la nostra scuola e che, soprattutto, non indossava nessun ridicolo accessorio che richiamasse le favole.

«Tutto bene?», chiese lei guardandomi accigliata.

Mi resi conto di fissarla e spostai lo sguardo imbarazzata sulle lancette dell'orologio appeso alla parete. Caspita, ero in ritardo! «Sì tranquilla, sono tutta intera.»

Feci un cenno del capo come a concludere la conversazione e tornai a occuparmi dei miei affari. Non mi restava molto tempo per trovare una scusa credibile da rifilare per dare buca alla riunione del Comitato del Ballo e avere un'ora buca da passare tranquilla in biblioteca; dovevo darmi una mossa.

Con la coda dell'occhio però, notai che la ragazza non si era ancora mossa di un centimetro e mi stava fissando con insistenza e un sorriso mesto stampato in viso. «Posso aiutarti?»

Lei si schiarii la gola. «Sai, è il mio primo giorno qui alla Templar.»

Non poteva presentarsi occasione migliore: una nuova ragazza aveva bisogno di me e non potevo lasciarla sola in un momento simile. Nessuno avrebbe potuto contestare il mio buon animo e forse avrei ricevuto anche qualche credito extra per essere un'alunna tanto intraprendente. «Ben arrivata! Io sono Elizabeth, ma puoi chiamarmi Ellie.»

Allungai una mano che lei strinse vigorosamente.

«Rose.»

Chiusi il mio armadietto e decisi che l'avrei portata a fare il giro di tutta la scuola, a partire dall'aula consiliare, un piccolo sgabuzzino che ci avevano concesso per gli incontri del comitato al primo piano, dove tutti avrebbero potuto vedere quanto fossi impossibilitata a partecipare all'assemblea.

Con la coda dell'occhio vidi che Rose aveva cominciato a correre per tenere il mio passo.

Le stavo spiegando quali lezioni fossero obbligatore e quali opzionali quando svoltammo l'angolo e abbandonammo il corridoio dove c'erano tutte le aule arrivando nell'atrio principale. Lo sorpassammo di gran carriera e salimmo una rampa di scale fermandoci proprio di fronte all'aula consiliare.

Mi osservò un po' diffidente. Non sembrava proprio convinta del mio giro, sebbene mi seguisse ascoltando tutte le informazioni noiose sulla scuola che le avevo rifilato. Si raccolse la chioma scarlatta legandola rapida in una coda, scoprendo un leggero segno scuro che risaltava sulla pelle chiara del suo collo.

Probabilmente si trattava di una semplice voglia, ma quel piccolo particolare aveva catturato la mia attenzione. Appena si accorse che la guardavo con curiosità, Rose si girò dall'altra parte, nascondendo quell'imperfezione alla mia vista. 

Tornai al presente e al Comitato, posando una mano sulla porta. «Ti dispiace aspettarmi qui un secondo? Devo solo avvertire del mio ritardo a questa riunione.»

«Non preoccuparti, anzi io in realtà ora dovrei andare dalla preside.»

Sentii una piccola fitta al cuore: il mio piano geniale era saltato. Asserii in segno di assenso e feci per entrare nell'aula, quando Rose mi bloccò.

«Hai impegni per pranzo? Non voglio sembrarti invadente, ma essendo l'ultima arrivata vorrei evitarmi l'imbarazzo di sedermi da sola.»

«Certo, possiamo mangiare assieme.» Le sorrisi, sperando si sarebbe trovata bene.

Un'ora e mezza dopo, reduce da un interessantissimo dibattito sui fiori di cartapesta, ritrovai Rose davanti alla mensa.

«Pronta per la confusione e l'odore di cibo che non riuscirai più a toglierti di dosso fino a domani?», le chiesi prendendola sottobraccio. La sentii irrigidirsi sotto il contatto, ma non appena spalancai le porte del refettorio, si sciolse del tutto.

La sala era già affollata e, nonostante ciò, i miei amici erano riusciti a conquistare il nostro solito tavolo. Fiera di loro, ci affrettammo a raggiungerli.

Notai vari sguardi diffidenti degli studenti, sia di maschi sia di femmine, posarsi su Rose. La cosa non mi sorprendeva più di tanto: dopotutto, ci trovavamo a Templar, una modesta cittadina a un paio d'ore di macchina da Perth che non arrivava a contare diecimila abitanti dove era normale porsi domande sugli esterni. D'altronde, la curiosità era troppa per starsene zitti.

Dopo aver preso una zuppa color melma e una bistecca grigia che ricordava la suola di una scarpa con contorno di verdure non ben identificate, ci accomodammo con gli altri.

Dallas ed Evan erano già seduti nell'angolo più carino della mensa, accanto alla grande vetrata. Inoltre, quello era l'unico punto in cui l'aria era respirabile quando si tenevano le finestre aperte. Parlavano fitti, quando ci videro arrivare e si arrestarono di colpo.

«Tu devi essere Rose! È un vero piacere. Ellie ci ha detto che oggi è il tuo primo giorno», dichiarò Evan, allungando la mano per presentarsi.

«Esatto», asserì lei, arrossendo.

«Spero tu ti stia trovando bene.»

«Certo, anche se è un po' strano essere l'ultima arrivata. Mi sento sempre osservata.»

«Be', diciamo che non passano molti forestieri da qui», s'intromise brusco Dallas, spostando distrattamente il cibo che aveva nel piatto. Come si fosse reso conto di aver tutti gli occhi sgranati puntati contro, alzò la testa e si guardò intorno interdetto. «Templar una città così noiosa che nessuno viene mai in visita.»

Calò un silenzio imbarazzante, dove Evan cercava di sorridere mesto a Rose, come a scusarsi per le parole brusche dell'amico.

«Tutto bene?», chiesi poggiando una mano sul suo braccio. Subito ritrassi le dita; cavolo quanto scottava.

Dallas si alzò, ignorando la mia domanda. «Scusate, devo andare. È stato un piacere, Rose. A presto.» 

Dopo aver atteso qualche istante, fui sul punto di rompere quell'imbarazzo, ma Rose mi precedette. «Ho fatto qualcosa di sbagliato?»

«Assolutamente no. È stata solo una giornataccia per Dallas. Sai, un brutto voto in matematica», aggiunse Evan in fretta, aggiustandosi i capelli con fare impacciato.

Sorrisi, cercando anche io una scusa per giustificare ciò che era appena successo. «È un po' lunatico, a volte.»

Dallas era uno dei ragazzi più a modo che avessi mai conosciuto e vederlo comportarsi in quel modo mi aveva sorpresa molto. Avrei indagato più a fondo.

Un mormorio generale levò dall'altra parte della mensa.

«Piantala, sei ridicola», urlò una voce femminile che subito riconobbi. Pamela era in piedi con i pugni chiusi e uno sguardo furioso dipinto in volto.

Evan sorrise, incrociando le mani dietro il capo e appoggiandosi allo schienale della sedia. «Ed ecco che ci mancava l'ennesima sceneggiata di mia sorella per poter concludere questo delizioso pranzo.»

«Dai, questa volta non si metterà a lanciare piatti.»
E proprio mentre stavo terminando la frase, il tintinnio della porcellana in frantumi echeggiò nel caos del refettorio.

Evan scosse la testa sconsolato e si alzò scostando rumorosamente la sedia.  «Mi hai dato false speranze, Ellie. Me la pagherai», e sparì tra la folla che si era già accalcata per godersi lo spettacolo.

Rose, che non aveva toccato cibo, stava osservando quel teatrino incuriosita. «Sai, anche io un fratello minore esuberante, direi»

Ridacchiai. «Io ne ho uno più grande, Owen.»

Analizzai la situazione e mi resi conto che a breve ci avrebbero cacciati dalla mensa e ancora non avevamo mangiato granché. «Senti, ti va di rubare qualche snack gustoso e di mangiare in un posto più tranquillo?»

La ragazza annuì grata, correndo a riporre il suo vassoio.

Cinque minuti più tardi stavamo accedendo quasi di soppiatto nella Sala della Musica con le braccia cariche dei muffin avanzati dalla riunione del Comitato che nessuno si era ancora premurato di far sparire. Accendemmo le luci e subito mi guardai attorno malinconica: era quasi del tutto spoglia dal momento che i fondi scolastici erano stati ridotti e i tagli erano avvenuti soprattutto per le materie artistiche. Rimaneva solo qualche sedia sgangherata, un paio di leggii malridotti e

«Cosa ci fate qui?»

Sobbalzammo tutte e due, quasi strozzandoci con i muffin.

Ci voltammo verso quella voce e vedemmo apparire da dietro il séparé nella penombra accanto alla cattedra George Tremlin, il docente di storia.

«N-noi ce ne stavamo andando», balbettai non appena notai l'espressione arrabbiata del professore.

Con la ventiquattrore stretta in una mano e l'impermeabile nero nell'altra, mi chiesi cosa stesse facendo lì tutto solo al buio. Gli occhi piccoli infossati nel viso magro e allungato ci scrutavano torvi. Dimostrava più dei suoi cinquantadue anni.

Muovemmo alcuni passi verso l'uscita, sperando che la questione fosse chiusa, quando la sua voce ci fece trasalire di nuovo.

«Non così in fretta» proseguì lui. Attese qualche attimo, durante il quale ci scrutò a fondo per poi soffermarsi sulla nuova arrivata. «A ogni modo, io cercavo la signorina Élian: la preside ha ancora bisogno di lei per alcuni documenti.»

Ci guardammo tra di noi, chiedendoci di chi stesse parlando, quando Rose fece un passo avanti.

«Arrivo subito.» Mi rivolse un cenno di saluto e, quasi con aria triste, lo seguì.

Rilasciai un lungo sospiro: strigliata scampata per quel giorno. Era vietato entrare nelle aule chiuse per motivi di sicurezza. Poco dopo li imitai e, tornando verso l'aula di scienze, riflettei su Rose: era simpatica e gentile, eppure c'era qualcosa di strano nel suo aspetto così curato e nel suo modo di fare.

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