Capitolo VIII - Stazione di servizio

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Con il passare dei giorni Dallas aveva cominciato a estraniarsi sempre di più. Passava le pause pranzo e gli intervalli da solo, lo incrociavo a lezione dove aveva preso l'abitudine di sedersi al primo banco. Probabilmente era il suo modo di dirci che non mi voleva vicino né tantomeno dovevo disturbarlo. Detestavo la frattura che si era formata, eppure non riuscivo a capire cosa avessi fatto per meritarmi un trattamento simile.

Ero seduta due file dietro di lui e l'osservavo fare domande al Professor Tremlin.

Ahia! Una gomitata mirata al costato mi riportò alla realtà. Staccai gli occhi dalla nuca di Dallas per finire a incrociarli con quelli del professore, che pareva attendere qualcosa da me. Il volto mi si tinse di rosso e con la coda dell'occhio vidi Rose al mio fianco ridere sotto i baffi.

Imbarazzata, tossii delle scuse e chiesi se potesse ripetere la domanda.

«Elizabeth, essendo tu parte del comitato che organizza il Ballo d'Autunno, volevo proporti di farti avanti e suggerire di ingaggiare qualche esperto che racconti ai passanti le nostre tradizioni. Credo che tutti potremmo imparare molte cose.»

Mi osservava speranzoso e io non ebbi il cuore di dirgli che mi ero unita a quella combriccola di esaltati del comitato solo per avere crediti extra, ma soprattutto che nemmeno sarei andata a quello stupido ballo. Perciò annuii, sperando non insistesse troppo.

«Perfetto. E se dovessi avere bisogno di materiale su cui fare ricerche o consigli su alcuni dettagli che non troverai mai su internet, non esitare a contattarmi, Na Tir.» Sussurrò le ultime due parole, che però rimbombarono nelle mie orecchie come un tuono. Pochi giorni prima anche Dallas le aveva usate. Gli lanciai un'occhiata per controllare che fosse normale e non avesse più quell'aspetto spiritato. Era corrucciato, e fissava il suo telefono nascosto sotto il banco, i ricci biondi gli contornavano il volto e la lingua stretta tra i denti mi rassicurò sul fatto che fosse completamente in sé. Il professore era tornato alla sua lezione e il resto della classe pareva non essersi accorto di nulla. Eppure, io ero certa di aver sentito bene, purtroppo. Decisi che avrei dovuto informarmi al più presto, non riuscivo più a restare ferma davanti a tutte queste stranezze.

Saltai la pausa pranzo per andare in biblioteca, magari lì, con un po' di fortuna, avrei trovato ciò che cercavo. Mi sarei accontenta anche di qualche indizio.

Uscii dall'aula di fretta e a testa bassa, sentendomi quasi in colpa per aver ignorato i miei amici. Dopo tutto ciò era successo dovevo ammettere a me stessa che agonia fosse, ogni volta, doverci avere a che fare. Dentro di me sentivo che si era rotto qualcosa nei loro confronti e, una volta risolta questa questione, ero certa che sarei riuscita a riparare ogni rapporto. Per il momento però, avevo bisogno di tranquillità.

Arrivai al terzo piano, con la costante sensazione di essere seguita, tant'è che non appena entrata in biblioteca mi bloccai e mi guardai in giro sospettosa. C'era solo la bibliotecaria intenta a ordinare una serie di scartoffie sulla sua scrivania. Trassi un sospiro di sollievo; stavo davvero diventando pazza e paranoica. Mi sedetti al primo tavolo che vidi, rivolta verso la porta così da poter vedere chiunque entrasse.

Non feci nemmeno in tempo a tirare fuori carta e penna che subito una ragazza fece il suo ingresso, rompendo con la sua presenza quel silenzio religioso.

Squadrandola con attenzione mi resi conto di non averla mai vista prima, certa che mi sarei ricordata di una persona come lei. Con la pelle color ebano e i capelli corvini tagliati a caschetto, mi osservava con i suoi occhi neri. Pareva stesse cercando proprio me, dal momento che non aveva posato lo sguardo da nessun'altra parte da quando aveva messo piede in biblioteca.

«Elizabeth.» Fu solo un bisbiglio, ma io lo percepii chiaro e forte. Aveva una voce talmente dolce e armonica... era terribilmente affascinante. Avevo bisogno di ascoltarla ancora.

Incapace di resistere, mi alzai e mi avvicinai di un passo. «Sì?»

Il mio sguardo percorreva i lineamenti morbidi del suo volto. Erano passati pochi secondi, ma mi pareva un'eternità. Perché aveva smesso di parlarmi? La mancanza della sua voce era come un coltello nel petto: dovevo udirla un'altra volta, altre mille volte.

Le sue labbra piene s'incurvarono in un sorriso compiaciuto. Sentii la bibliotecaria lanciare un urlo, poi un dolore immenso mi esplose alle tempie.

Scivolai nella dolce oscurità dell'oblio.  

Mi svegliai con un mal di testa allucinante e la bocca asciutta. Avevo un orribile ronzio nelle orecchie e la vista appannata. Anche se ben presto mi resi conto che comunque non avrei visto nulla dal momento che indossavo un cappuccio che mi faceva mancare l'aria. L'orrore di ciò che stava accadendo mi fece scattare in piedi, o per lo meno ci provai. Nel momento esatto in cui tentai di flettere le gambe mi accorsi di avere sia le caviglie sia i polsi legati. Una forte nausea mi pervase.

Rimasi dunque immobile, cercando di capire la situazione in cui mi trovavo e soprattutto dove fossi. Dei piccoli sbalzi e un fischio flebile mi indicarono che ero in movimento. Ero accucciata, ma dato il freddo che faceva lì dentro si trattava di un ambiente abbastanza spazioso, forse un furgone. Mi dimenai, tentando di scalciare per cercare di capire se fossi sola, cosa di cui ero quasi certa poiché nessuno ancora mi aveva bloccata.

«C'è qualcuno?», cominciai a urlare a pieni polmoni, pur essendo conscia dell'inutilità del gesto. Presto ebbi il respiro corto e in men che non si dica fui presa dallo shock e dallo sconforto. Quella situazione non prometteva bene. Iniziai a pregare non seppi nemmeno più quali dei, ma sperai davvero che chiunque mi ascoltasse e aiutasse. Ero così sconvolta che faticavo a ragionare lucidamente e a ricostruire i pezzi. Ricordavo bene la ragazza della biblioteca, ma poi il vuoto. Non mi capacitavo di come fosse possibile rapire una persona in pieno giorno e in una biblioteca pubblica, ma soprattutto mi chiedevo come mai avessero preso me e non la bibliotecaria... Un brivido mi passò lungo la colonna vertebrale. O almeno speravo non avessero preso la bibliotecaria che altrimenti si sarebbe trovata lì con me, solo meno viva. Scacciai questo pensiero e ripresi a scalciare come una matta, sperando di arrivare a toccare con i piedi l'altra parete. Non appena mi allungai completamente, quasi a sdraiarmi, sentii qualcosa di duro e, colpendolo, un rimbombo metallico. Sospirai di sollievo.

«Fai la brava Elizabeth. Ancora un po' di pazienza e siamo arrivati.» Riconobbi subito la voce della ragazza della biblioteca, ma questa volta repressi un conato. Proveniva dalla cabina del guidatore, anche se dubitavo fosse lei al volante.

«K'rin ha ragione. È inutile dimenarti come un pesce, rischi di farti solo male e di infastidirci.» Parlò un uomo, neanche troppo giovane mi pareva. Pochi secondi dopo, il veicolo si fermò di scatto facendomi sobbalzare poi un rumore di portiere che sbattono e un vocio concitato precedettero l'apertura del portellone. Subito sentii l'aria fresca accarezzarmi i polsi e le caviglie. Avevo bisogno di sentirla anche sul volto, avevo bisogno di respirare.

«Dobbiamo fare una sosta.» K'rin saltò sul furgone e mi sfilò il cappuccio. Ci misi un po' a mettere a fuoco i suoi occhi che da vicino avevano una sfumatura rossastra, ma quando lo feci realizzai che non erano brillanti quanto la prima volta che li avevo visti. Mi afferrò per un braccio tanto forte da farmi male. «È ora di sgranchirsi le gambe, sbrigati.» Mi slegò le caviglie e mi strattonò fuori tenendomi i polsi piegati dietro la schiena.

Appena messo piede sul cemento della stazione di servizio cercai di divincolarmi, ma riuscii soltanto a far sì che K'rin aumentasse la presa.  «Su, non ho intenzione di farti niente se non mi fai arrabbiare.» La voce mi giunse da dietro l'orecchio. «Non ancora per lo meno.» Il sole stava calando, segno che erano passate svariate ore da quando ero scomparsa e non riuscii a non domandarmi come stessero la mia famiglia e i miei amici. Chissà se pure Caroline era preoccupata o stava già prendendo le misure della mia camera. Speravo solo che a loro non fosse successo nulla.

Presa dalla paura e dall'amarezza più totale, scoppiai a piangere convulsamente. La ragazza rise di gusto e mi trascinò qualche passo lontana dal furgone. «Smettila di attirare l'attenzione o ti rinchiudo subito e puoi dire addio alla tua passeggiata, forse anche l'ultima che farai.»

Con le lacrime che ancora offuscavano la vista, riuscii ad avere un barlume di lucidità: avevo intravisto il chiosco del benzinaio, dovevo solo raggiungerlo o fare abbastanza rumore da far uscire qualcuno. Era la mia unica possibilità, se non contavo il fatto che l'alternativa di essere portata chissà dove non mi allettava granché. Con tutta la forza che avevo in corpo mi piegai in avanti caricando una testata sul suo volto. K'rin mollò la presa e barcollò all'indietro di mezzo metro. Emise un gemito di dolore, ma tentò di rimanere ferma sui piedi.

«Brutta stronza se mi hai rotto il naso ti giuro che ti spezzo ogni osso del tuo fragile corpo», sbraitò con il sangue che le colava dal naso fin tra i denti. Non mi soffermai troppo sulle minacce, certa che altrimenti avrei ripensato al mio piano, e corsi a gambe levate verso il negozietto. Lanciai un grido, sperando di essere notata. E poi mi ritrovai per aria, senza che nessuno mi toccasse. Colpii una delle colonne che reggeva la stazione così forte che il cemento quasi si crepò, e mi sembrò che si fossero incrinate anche le mie costole. Rimasi lì, appesa ad almeno un metro da terra. Cercai di staccarmi, ma non riuscii a muovermi. Finalmente l'uomo di cui avevo sentito la voce prima apparve nel mio campo visivo. Avrà avuto una cinquantina di anni, la barba lunga e la testa rasata. Un lungo cappotto nero con dei guanti dello stesso colore completavano l'aspetto inquietante, ma soprattutto la mano tesa verso di me era ciò che più mi stava spaventando.

«Cosa sei?» bisbigliai a fior di labbra.

L'uomo rise, aveva un tono profondo. «Non credo vivrai abbastanza per scoprirlo, Na Tir.» Lanciò un'occhiata a K'rin che ormai aveva smesso di sanguinare e fece un piccolo movimento con le dita, come soprappensiero. Atterrai prima con i piedi, poi caddi in ginocchio. Ignorai i muscoli dello stomaco che si tendevano e mi rialzai, tentennante.

«Se mi lasciate andare, non racconterò nulla di tutto questo. Me ne scoderò, ve lo giuro.» Riconoscevo a malapena la mia voce, così sommessa. Lui scosse semplicemente la testa e alzò nuovamente il braccio. Mi schiantai ancora contro la colonna e quella volta, quando lasciò la presa, non mi rialzai. Chiaramente infastidita, K'rin venne verso di me. Io urlai, cercando di scansarmi. Mi afferrò entrambe le braccia e mi fece alzare. Con la mano libera mi affondò le dita tra i capelli, strattonandomi la testa all'indietro.

«Ascoltami chiaramente perché non te lo ripeterò: fai la brava Elizabeth e forse arriverai a destinazione tutta intera.» A quel punto, mentre mi spingeva a forza verso il furgone vidi ogni mia via d'uscita sfumare. Ero davvero fregata e sapevo che non sarebbe venuto nessuno a salvarmi, dal momento che mi trovavo a un'anonima stazione di rifornimento su un'autostrada deserta. Non era passata nemmeno una macchina da quando mi avevano liberata.

Mi piegai in avanti senza forse, arresa e vagamente cosciente del fatto che stavo salendo sul patibolo. Il tempo si fermò. Passarono dei secondi, forse minuti, ma alla fine sentii altre voci. Persone che chiamavano il mio nome, ma io non riuscivo a rispondere. Forse era frutto della commozione cerebrale, forse mi stavo ingannando da sola. Tutto mi sembrava lontano e irreale. Poi mi sentii afferrare e sollevare da mani forti, familiari. La testa mi cadde all'indietro e un corpo caldo mi si parò dietro.

«Elizabeth, guardami. Ti prego.» Riconobbi quella voce e aprii gli occhi. Ocean mi fissava, pallido e teso.

«Ciao», mormorai.

«Andrà tutto bene.» La sua voce era sicura, ferma. «Ma devi tenere gli occhi aperti e parlarmi.»

Non ero proprio certa di ciò, visto che sentivo di aver fratture in tutto il corpo. C'erano così tante voci attorno a me, così tanto movimento che mi faceva venire la nausea. Da qualche parte sentii giungere quella di Rose.

«Dove sono K'rin e l'altro uomo?»

«Li abbiamo presi noi, non ti preoccupare.» Mi fece scivolare un braccio dietro la schiena e uno dietro le gambe, per poi tirarmi su. Mi lasciai cullare da quel gesto e dal suo passo cadenzato. «Elizabeth, resta con me. Parlami.»

«Mi ha sollevata... L'ho visto. Non mi ha nemmeno sfiorata, ma mi ha scagliata via.»

Sentii il suo cuore battere forte sotto la mia guancia. «È tutto finito ora, ci siamo noi.»

Un tuono squarciò il cielo e ben presto s'infransero al suolo una serie di fulmini letali. Eppure, non avevo paura, mi sentivo al sicuro. Tutto intorno a me si muoveva come a rallentatore: vari ragazzi emanavano bagliori dalle mille sfumature e brandivano strani oggetti. Subito riconobbi la spada che Rose aveva sfoderato nel mio sogno. La ragazza si stava avvicinando a noi, gli occhi sgranati e il volto teso.

«Come sta?» Parlava di me come se non fossi lì. Allungò una mano verso la mia fronte, sfiorandomi nel punto dove mi aveva colpita il primo giorno. «Sapevo che eri una tosta.» Mi sorrise e poi si avvicinò all'orecchio di Ocean per bisbigliare qualcosa. Ero troppo stanca per mettermi a discutere sul fatto che fosse scortese non includermi nella conversazione, perciò mi concentrai sulla spada che Rose stringeva saldamente. Stentavo a credere di star sognando questa volta e qualcosa mi suggeriva che nemmeno quella volta fosse solo frutto della mia mente addormentata. Non mi capacitai di come mi sia potuta scordare tutto quanto, ma soprattutto non riuscii a impedire all'emicrania di invadere la mia testa in modo tanto aggressivo.

«Appena sarai riposata, ti spiegheremo tutto quanto» aggiunse la rossa, squadrandomi apprensiva. «Fino ad allora, ti lascio in buone mani con mio fratello. Io intanto ho da sbrigare alcune faccende.» E si allontanò, correndo leggiadra come una foglia in balia del vento.

Increspai le labbra. Ormai la sensazione di vuoto e confusione che avevo nella testa stava svanendo, lasciando spazio a una concretezza spaventosa. Mi trovavo tra le braccia di un ragazzo che avevo visto due volte in vita mia che mi stava portando verso una macchina nera con i vetri oscurati. Non ero certa di potermi fidare, perciò scossi la testa e tentai di rimettere i piedi a terra. Ocean piegò la testa di lato con fare incuriosito, ma me lo lasciò fare.

«Come ti senti?»

Appena toccai il cemento con le suole, il mondo prese a girare all'impazzata. Mi misi seduta per terra, cercando di ignorare la schiena urlante e chiusi gli occhi nel tentativo di reprimere i conati. Subito sentii due mani fresche sul volto e delle strane parole scaturirono dentro di me un fuoco ardente. Emisi un lungo sospiro di sollievo e mi beai di quella sensazione di calore e familiarità, come un bagno bollente che scalda il cuore. In un attimo tutto il dolore sparì, lasciando spazio a un piacevole torpore. Mi strinsi nelle spalle e finalmente fui pronta a tornare alla realtà. Aprii gli occhi e li incrociai con quelli color del mare di Ocean. Lui fece una risatina sollevata. «Elizabeth, adesso invece come ti senti?»

«Ellie» risposi d'impulso. «Mi chiamano tutti Ellie.»

Lui annuì. «D'accordo, Liz.» Mi mise un braccio intorno alla vita e mi aiutò a rialzarmi. «Io non sono tutti, ricordatelo.» Barcollai un attimo quanto mi sussurrò quelle parole, con le labbra appoggiate alla guancia. Pochi secondi dopo mi lasciò anche lui e andò nella stessa direzione in cui era sparita Rose, senza dire più niente.

Un altro ragazzo scese dalla berlina nera, prendendomi di peso per aiutarmi a salire in macchina. Il mio corpo si comportava come una bambola in balia degli eventi e delle persone, mentre la mia mente era perfettamente ricettiva e pronta a tutto. Dopo ciò a cui avevo assistito oggi non volevo farmi cogliere nuovamente impreparata.

Il ragazzo mi fece accomodare sul sedile del passeggero. Aveva le mani fredde che tremarono leggermente quando mi allacciò la cintura. Doveva essere più giovane persino di me.

«Dove andiamo?»

Il giovane mi strizzò l'occhio. «Lo scoprirai presto.»

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