10. Povera Joanna

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RIELE

L'aiuto a girarsi per guardarmi. Scotta da paura!
E come se non bastasse sta tremando molto e digrigna i denti ininterrottamente.

«Joanna, Joanna. Mi senti?» la chiamo cercando di mantenere la calma.

Lei non riesce a comunicarmi nulla; chiude e apre soltanto, con estrema fatica, la bocca. Che diamine posso fare?! Mi guardo nei dintorni in cerca di qualsiasi cosa mi possa servire per farla stare meglio.

I miei occhi puntano nel freezer. Mi dirigo frettolosamente alla ricerca del ghiaccio, trovandone fortunatamente all'interno di una sacca di gomma. La prendo e la porto sulla fronte di mia cugina.

«Jo, come va? Meglio?» le domando morendo di preoccupazione.

Sono sola e non so come dovrei agire. Siamo in una città o meglio dire in un paese estraneo, dove parlano una lingua che fatico nel parlarlo e a farmi comprendere! Sebbene queste difficoltà devo tenere la mente chiara e pensare. Joanna ha bisogno di cure e aiuto, ed è mio dovere procurarglielo affinché stia bene. Intanto il suo stato con il passare dei minuti non cambia. Mi sollevo da terra, avvisandole:

«Jo ascolta, adesso vado a cercare aiuto. Farò il più rapidamente possibile per ritornare. Presto starai bene» dico sicura di me.

Lei dischiude debolmente gli occhi e lascia una lieve parola:

«Okay.»

Con tanta convinzione e determinazione, mi allontano da lei andando verso la porta d'uscita. Il primo atto che mi viene in mente è di collocarmi al piano di sotto per chiedere man forte a Viola oppure a Márquez. Ad un passo dal varcare lo stipite sento dei passi raggiungermi dietro, mi giro vedendola in piedi che si regge al bracciolo.

«H-ho cambiato i-idea. È troppo rischioso vagare per il corridoio da sola, in piena notte» si ferma a causa di un colpo di tosse «T-temo che ti possa succedere qualcosa Riele.»

La mia espressione decisa si piega all'apprensione che le scorre sul suo viso e nelle sue corde vocali. L'accompagno nel suo divano preferito e la copro, alzandole con piena sicurezza i pollici.

«Abbi fiducia. So badare a me stessa, e starò attentissima» le rivolgo un sorrisone rilassato.

Lei ritrae il labbro avendo qualche titubanza al riguardo, tuttavia annuisce alle mie parole. Detto questo mi rimetto sui miei passi, stando nel corridoio spoglio, in compenso ben acceso. Certo che la struttura nel mezzo della notte potrebbe far inquietare chiunque. Ma non ha importanza!

Aspetta, però riflettendoci un po' su, da quando siamo entrate in questo edificio a due piani non abbiamo incontrato nessun altro coinquilino a parte quel tizio di prima. Riele, non è importante nemmeno questo!

Atterro sull'ultimo gradino che accede nella hall e corro verso il bancone in cui ci dovrebbe essere Viola. Spero che stia facendo il turno di notte. Metà del mio corpo scompare: non c'è! L'area in cui lavora è vuota come l'atrio dell'ingresso.

Avrei dovuto pur pensarlo a questa possibilità. Magari pernottano gli appartamenti fino alla sera e poi ricominciano al mattino seguente. Esploro attentamente lo scaffale nella parte retrostante del bancone, alla ricerca di qualche numero di telefono di Viola o del proprietario e non scovo nulla di interessante.

Retrocedo dalla mia corsetta facendo quello che più mi aggrava: bussare ripetutamente ad ogni porta di ciascun inquilino, non importandomi molto del fracasso o del disturbo che recherò. C'è mia cugina che sta male e pur di richiamare l'attenzione di tutti, lo farò!

«Aiutatemi! Por favor, ayu! Chiunque di voi, por favor!» esclamo ad ogni porta del primo piano sino al secondo, in cui stiamo.

Avrò bussato almeno una trentina di porte e nessuno mi ha presa in considerazione. Be' staranno pur sempre dormendo oppure la maggior parte, cosa che potrebbe darsi, sono ospitate dal nulla.

Stendo le mani sulle ginocchia respirando a pena.
Ok Riele, ora che farai? Faccio una panoramica generale nel caso avessi saltato qualche appartamento e appuro che i conti mi tornano. Questo proprio non ci voleva. Avrei dovuto intuire che Joanna non stesse bene, si poteva presentire dai suoi starnuti che non era di ottima salute; cosicché avremmo potuto intervenire prima che peggiorasse.

Mi stiracchio, non avendo altra riserva che l'ultima soluzione: chiamare il pronto soccorso tentando di parlare sia in inglese e sia con il mio spagnolo imbarazzante. E non so nemmeno se "l'ayu" che ho pronunciato sia giusto in spagnolo per dire aiuto.

«Non mi resta altro da fare» dico ricominciando a camminare, spostandomi dal muro ad un piede dal nostro appartamento.

La porta scricchiola e io riprendo Joanna per essersi nuovamente alzata.

«Jo. Non devi muov-...»

Non ci credo!

«¿Quién ha llamado? ¡Si es una broma, guárdatela para ti!» chiede sbadigliando lo stesso tizio che era con Márquez, il quale è alloggiato per miracolo di fronte al nostro uscio.

È un miraggio del mio cervello mezzo morto?
No Riele è davvero lui.

«Léon!» mi viene in mente il suo nome, almeno credo che lo sia, con esaltazione.

E poco prima che richiudesse assonnato la porta mi fiondo per fermarlo.

«Aspetta!» strepito quasi disperata.

Lui fa un verso stranito e compie un mezzo ruotamento, direzionando lo sguardo verso di me.
Ha la faccia sorpresa.

«Oh eres tú! El primo de esa chica con la temperatura alta» mi proferisce ricordandosi di me.

Be' almeno è da quanto sono riuscita ad intuire da alcuni termini. Annuisco rapidamente e senza perdere altro tempo parlo direttamente in inglese:

«Ti prego aiutami, lei non sta bene e ha bisogno di cure. Non so cosa fare e a chi rivolgermi.»

Lui mi analizza confuso. Mannaggia, non mi avrà capita! Tento di esporre il poco spagnolo che so pur di farmi comprendere:

«Me prim e mal, por fav-...» mi ferma con la mano e sbadiglia.

«Non c'è bisogno di tradurlo in spagnolo, ti ho capita anche in inglese» mi dichiara con quest'ultima lingua con semplicità.

Rimango stordita. Ma come...

«Mi hai capita? Lo parli?» faccio delle richieste una dopo l'altra.

Lui conferma.

«Sì, però adesso non importa. Dobbiamo soccorrere tua cugina, se no le sue condizioni potrebbero peggiorare nel corso del tempo. Muoviamoci» emette sbrigativo con tono autorevole.

Manderemo la questione della lingua a dopo.
È un bene che lo sappia e mi capisca. Faccio un cenno di assenso e prima di andare da Joanna, mi avverte che deve prendere gli occhiali da vista.

«Un secondo e sono da voi.»

Dopodiché entriamo nel mio appartamento, in tempo nel vederla in piedi che vacilla da una parte all'altra del salottino.

«Jo» corro a sostenerla «Come ti senti?»

Léon rimane sullo stipite, e lei mi accenna un sorrisino.

«Meglio di prima» un forte starnuto accompagnato dalla tosse la costringe a risedersi.

«Mi stai mentendo. Guarda che non sono nata due giorni fa, sai» le dico «Comunque ho trovato man forte.»

Scontra le sopracciglia e segue il mio sguardo, notandolo.

«Hola» la saluta gentilmente e con esitazione.

Joanna si acciglia cambiando posto per allontanarsi dal ragazzo.

«È uno scherzo, vero?» mi interroga acidamente «Che ci fa lui qui?»

Un brusco colpo di tosse fa rimanere mia cugina quasi senza fiato e viene sommersa dai brividi.

«Non potevi cercare qualcun altro? Come Viola o Márquez?» aggiunge rocamente.

Io e Léon la intimiamo di non sforzarsi nel parlare se non vuole che peggiori.

«Questi ultimi non li ho trovati da nessuna parte, e tra le numerose porte che ho bussato l'unico ad aprire è stato lui» le spiego.

Il diretto ragazzo che si potrebbe avvicinare alla nostra età, si presenta a lei:

«Mi chiamo Léon, ad ogni modo.»

Joanna resta muta e lo scruta malamente. Perlomeno aveva mostrato il suo silenzio, durato cinque secondi contati, mentre ora si rivolge a me:

«E-e come pensa di aiutarci? Pff... non è un dottore» ribatte con sfrontatezza.

Lui interviene.

«Non lo sono per certo, ma se non altro conosco questo quartiere come i miei capelli. So che a tre chilometri da qui è ubicato una farmacia notturna» ci rende noto, facendo sparire la sua iniziale timidezza.

Perfetto! Inizio all'istante ad indossare le scarpe.

«Grazie mille per l'informazione, ora correrò come un lampo verso di essa» enuncio prendendo le prime che mi capitano a tiro.

«Aspetta!» mi esclamano in simultaneità.

Inarco un sopracciglio. Che devo attendere? Non c'è altro tempo da perdere.

«La farmacia che prende il nome di Gutierrez è situato fuori dal distretto, non so come potresti arrivarci a piedi poiché ci impiegheresti almeno un quarto d'ora. Sarebbe meglio che tu abbia qualcuno al fianco per sicurezza, considerato che è tarda notte» sostiene lui guardando fuori dalla finestra «Se per te e per tua cugina non è un problema posso accompagnarti io. Ho un'autovettura per cui con questo mezzo faremo più veloce.»

È gentile ad offrirmi un passaggio, tuttavia non vorrei fidarmi troppo. È pur sempre uno sconosciuto. Rifiuto la sua cordialità e rassicuro Joanna:

«Non ti scomodare, me la caverò. E Jo, arriverò come un lampo da te» concludo finendo di allacciarmi le scarpe e prendendo le chiavi di casa.

Lui sta per comunicare, però mia cugina lo anticipa rifermandomi.

«Riele» mi chiama fiaccamente.

«Dimmi pure.»

«Detesto ammetterlo, ma ha ragione questo 'Chico entrometido' come si suol dire. È pericoloso vagare in una città che non conosci nel cuore della notte e nel buio pesto; fa bene ad accompagnarti nonostante sai perfettamente che non mi fido» si interrompe per soffiarsi il naso.

In linea successiva scruta con aria minacciosa Léon, lasciando da parte tutta la sua debolezza ed esprimendo questo discorso in un tono piuttosto forte:

«Se ti azzardi a toccare o far del male a mia cugina Riele, te la vedrai in prima persona con me e con i miei amichetti cazzotti e gamba incazzata, e in seconda persona con la polizia. Hai perfettamente compreso o vuoi che te lo dica in spagnolo?» pone pungentemente e lui intimorito annuisce.

«Non mi basta un cenno. Devi parlare: vuoi che te lo ripeta in spagnolo o hai perfettamente compreso?» avvalora con occhi ben aperti.

«È tutto chiaro. In ogni caso non le avrei fatto nulla» afferma serio «Non ho secondi fini.»

Lei socchiude le palpebre. Per far cessare quest'atmosfera acre, io e il ragazzo ce ne andiamo sotto lo sguardo intimidatorio di lei. Alla faccia Joanna North: quanta irruenza.

Nel tempo in cui scendiamo vorrei scusarmi con lui.
È stato così gentile a soccorrerci e mi dispiace che abbia ricevuto questo trattamento negativo da Joanna, sebbene sia malata. La sua sfiducia verso gli altri fa paura! Nella hall incontriamo Viola.

«Hola» ci saluta con un pacco di dolci e caffè in mano.

«Ecco dov'era stata» mi dico.

«Mi stavate cercando? Scusatemi tanto. Ero davanti all'edificio nell'attesa che il fattorino mi consegnasse lo spuntino, siccome non trovava l'indirizzo.»

«Tranquilla Viola, non importa. Stiamo andando nella farmacia Gutierrez perché la cugina della ragazza sta male» spiega Léon la situazione.

«Caramba, lo siento» si dispiace «Se volete controllerò di volta in volta la salute della signorina Joanna.»

Mi farebbe tanto piacere. La ringrazio e ci affrettiamo a varcare l'uscita. Io e lui non parliamo e mi faccio guidare dai suoi passi sino alla sua auto.

«Adelante» proferisce aprendo la portiera di un auto grigia «Cioè accomodati pure. Scusami, mi ero un attimo dimenticato che non lo parli.»

«Non importa» dico solo.

Fa partire il motore ed esce dal parcheggio al lato del marciapiede. Per i primi secondi un silenzio immobile vacilla nel veicolo, finché non mi informa che ci vorranno sette minuti per arrivare a questa farmacia Gutierrez, in seguito riprende la quiete.

La strada è tetra e riconosco che Léon e Joanna hanno fatto bene a farmi ripensare sul percorrere il tragitto da sola. A proposito, mi sono presentata?

«Comunque mi chiamo Riele Downs, e colgo l'occasione sia per scusarmi per averti disturbato e sia per ringraziarti davvero tanto per l'aiuto che ci stai dando» spezzo il silenzio guardandolo di sottecchi.

Lui si aggiusta gli occhiali ed esala:

«Figurati, lo faccio con piacere. Per quanto riguarda il sonno disturbato, non mi farà nessun danno ahah.»

Lascio un lieve sorriso, e passo la visione sulla strada.

«Mi intimorisce, tu primo» gli sento dire sottovoce, in secondo luogo.

«Mi dispiace per la sua ruvidezza. Lo dimostra verso chi non si fida» chiarisco «Al di fuori delle persone che ama.»

Compie una rotonda e gira a destra.

«Fa bene a comportarsi così» espone senza problemi.

Vado in avanti alla sua affermazione.

«Uh? Come?»

Solitamente le persone rispondono il contrario.

«Il più delle volte per non cadere nelle trappole altrui bisogna fare in questo modo. Non si dovrebbe abbassare la guardia con nessuno» esprime mutando la sua espressione serena in uno scuro.

Mi avvicino alla porta dal suo cambio di voce e dalle sue parole. Lui lo nota e mi rassicura:

«Ehi tranquilla, non stavo parlando di me. Non sono un maniaco o quel tipo di persone» riprende con il suo sorriso sincero, facendo sparire quel lato rannuvolato.

«E come sei?» gli chiedo.

Silenzio. Indirizzo la mia vista su di lui per esaminarlo. Come se fosse un caso sui suoi occhiali vengono riflessi i lampioni della città e ciò non mi consente di vederlo nei suoi occhi verdognoli.

«Sta a te scoprirlo» mi comunica con una vena misteriosa.

Che ragazzo enigmatico. Fa un leggero sospiro:

«Quant'è tosta. Essere tosti in questa vita è tra le cose migliori che si possa avere» sostiene, piegando le labbra all'ingiù dove gli noto un neo sul prolabio.

Concordo con lui.

«In questo mondo con il suo tipo di società e i suoi standard, respinge le persone deboli. Anzi, li spreme finché non li esaspera.»

Un qualche attimo di silenzio e successivamente mi pone un interrogativo:

«Cosa sono per te le persone deboli?»

Sussulto il collo. Che questione inaspettata. Ci rifletto.

«Sono coloro che non sono in grado di fare o sono inferiori a qualcosa oppure a qualcuno. Non so ben spiegarlo.»

Lui continua:

«E sono considerate inferiori, scarse, limitate o appunto deboli da chi secondo te? E come mai non sono in grado di compiere qualcosa?»

Questi interrogativi mi stanno facendo pensare parecchio.

«Dalla società o dalle persone di alto rango che si comportano arrogantemente con loro? Non li accettano e li considerano privi di utilità?» provo ad indovinare, non sapendo che altro dire.

Ciò che manifesta mi fa rimanere con la bocca semi aperta:

«Per me il termine debole in riferimento a queste persone, in sé non c'è. In questo mondo esiste perché è la società a infonderli la debolezza, ma in realtà non lo hanno. Solo perché una determinata persona è insicura, timida o chiusa, dalla gente esterna è ritenuta debole o addirittura incapace? Chi è la società per definirli tali? Ovvio che se non li lasciano il tempo di farli aprire, dimostrando le loro capacità e le virtù senza punzecchiarli o altro, il mondo sarebbe migliore sotto questo aspetto.»

«E molti di loro hanno più talento di quella gente che crede di averne ma in realtà non ne ha» allunga l'occhio in direzione di un parcheggio di lato alla farmacia, poi riprende il discorso.

«Ritornando a tua cugina... essere forti e tenaci potrebbe spaventare la gente, ma al tempo stesso ricevi il loro rispetto che lo vogliano o meno. L'importante è non diventare arroganti o prepotenti. Quello è il male assoluto» termina spegnendo anche il motore.

«E alcuni di questi, anche se pochi, aiutano 'i più deboli' a tirare fuori la grinta necessaria per affrontare il mondo circostante» esprime più a lui che a me.

Wow. Sono rimasta stesa, alla faccia. Che ragionamenti! Mi avvisa che siamo arrivati e il suo viso si rischiarisce:

«Comunque potevi utilizzare qualche app traduttore per farti capire» mi osserva di sfuggita, staccando la cintura.

«N-non mi era minimamente passato per la mente» balbetto ancora stordita per prima «Ciò nonostante mi sembrava esagerato e imbarazzante usarlo. Mi sarei vergognata» mi incarto per tutto il tempo in cui mi esprimo.

Lui ride.

«Non hai tutti i torti» cambia discorso «E scusami se non ti ho fatta sapere subito che parlo l'inglese, ma ero mezzo rincoglionito per conto mio e poi volevo capire quanto fosse il tuo livello di spagnolo» ammette impacciato.

Rimango per mezzo minuto basita.
Mmh... ora voglio sapere come sono andata.

«E come me la cavo?»

Mi guarda come se lo stessi prendendo in giro.

«Ragazza, il tuo spagnolo è abominevole ahahah» gli sfugge una risata che lo stava trattenendo.

Sprofondo nella sedia. Be' me lo immaginavo, però sentirlo dire da una persona esterna fa un certo effetto.

«Lo supponevo, ma volevo la conferma ahah» ridacchio anch'io e apriamo la portiera.

Poco prima di entrare con lui in farmacia, auguro che la salute di Joanna non sia peggiorata.

...

«Non penso proprio che sia sveglia con il suo stato malato. Vorrà dire che dovrà prendere la compressa nel momento in cui si alzerà più tardi» manifesta Léon nel frattempo che saliamo le scale dell'edificio.

Quando siamo ritornati, Viola ci ha informati che aveva controllato Joanna una ventina di minuti precedenti dove le pareva che stesse dormendo. Secondo me, con contrarietà di Léon, starà fingendo di dormire. Accendo la luce dell'appartamento.

«Eccoci Jo» annuncio andando da lei, scovandola nel sonno con il suo famoso russare.

«Allora dormiva sul serio» riconosco di aver sbagliato.

«Eh già» attesta lui «Meglio che la lasci dormire, tanto la farmacista ha detto che non è un problema se non la prende ora.»

Annuisco e ritorno da Léon dopo aver verificato che la febbre di Joanna fosse scesa.

«Grazie ancora.»

Lui mi sorride e sbadiglia, augurandomi un sereno sonno. Che ragazzo super cordiale e disponibile. Mi affretto a cambiarmi e ricontrollo un'ultima volta mia cugina prima di crollare dal sonno.

«Riele!» sento urlare e apro gli occhi accendendo la lampada alla svelta.

Joanna mi vede e il suo viso pieno di terrore cambia in uno abbastanza calmo.

«Avvicinati» mi invita mezza assonnata.

Mi tocca il braccio e me lo pizzica.

«Ahia Jo! Ma ce la fai?» dico indietreggiando.

«Ahah, sei veramente tu allora» mi dichiara rilassata distendendosi meglio sul divano «Meno male, sei ritornata.»

Le domando come si sente e l'unica replica che ricevo è il suo russo. Di già? Be' in tal caso buona notte.
Chiudo l'interruttore e riprendo a dormire anch'io.

"Ri, stai dormendo?" mi pone una fresca voce che mi provoca un macigno nel petto.

Spalanco i miei bulbi oculari e agito il mio corpo, sentendo qualcosa di morbido attorno a me. Inizio a riprendere la concezione di ciò che mi sta vicino.

"Ma cosa?" dico vedendo il lago di Lakewood.

"Ti sei proprio addormentata" mi sento avvolgere il busto e la voce vibra sul mio collo e ride sottilmente.

Mando una mano all'indietro toccando un volto.
Mi giro rimanendo di sasso. Lui?

"J-Jace?" lo chiamo traballante e il mio corpo fremita.

Sono sconcertata.

Lui mi sorride apertamente e con dolcezza mi stringe forte a sé. Mi immobilizzo maggiormente non volendoci credere. Perché lo sto sognando?

"Sì, sono io: Jace, il tuo amore. Non ti lascio sola" mi sussurra delicato "Mia dolce Ri."

I-il mio a-amore ha detto? Mi lascio trasportare senza volerlo dalle lacrime, ricambiando la sua stretta. Stranamente quando lo cingo non sento alcun calore come dovrei.

Lo chiamo con timore non ricevendo risposta.

"Ti dovresti vergognare!" mi strepita una voce furiosa, tanto forte da far sì che lui sparisca.

Indirizzo lo sguardo più volte alla sua disperata ricerca.

"È un bene che tu non sappia dove si trovi!"

Come un brutto incubo mi appare Daniella con un'espressione algida da far paura, la quale mi indica con intermittenza:

"A causa tua Riele, sì proprio tua, Jace non è più lo stesso!"

"L'hai fenduto!" asserisce irata.

All'improvviso accanto a lei compare Brian.

"E tu non hai idea di quello che gli hai fatto passare..." deluso, non osa andare avanti.

Il mio cuore pulsa di dolore e tristezza all'apparizione del viso vuoto di Jace con sterminate tracce di lacrime, e le labbra crespe tirante all'ingiù. Stacco il piede da terra volendo ad ogni costo andare da lui.

"Jace" lo chiamo piangente, ma lui non mi ascolta e con movimenti vacillanti si volta accompagnato da loro.

Piango maggiormente. Non voglio che se ne vada!
Ti prego Jace, resta! Lui e Brian si dissolvono, mentre Daniella si ferma e mi affronta con occhi truci:

"Le tue lacrime non serviranno a nulla per riportarlo in sesto. Non azzardarti neppure a seguirlo!"

E con passo rapido si ferma ad un pollice da me. Svuotandomi.

"Non-sei-più-nessuno-per-lui."

L'ambiente si incrina e si spezza, provocando un urto che mi squarcia.

Mi alzo bruscamente dal divano letto, cadendo sulle piastrelle di ceramica. Mi porto le mani sui capelli alla ricerca del fermaglio, e lo stacco avendola tra le mani. Quel sogno era così autentico. E lo erano anche le sue carezze, la sua voce e il suo respiro. Ma non il suo calore. Come se si fosse estinto.

Quel nesso sento che si sta rafforzando, e non so in che modo possa accrescere

La videocamera del fermaglio brilla sotto il fascio luminoso del sole e mi piego per dargli un piccolo bacio. Questo dono mi allieta, ma al tempo stesso rattrista il mio cuore. Sarebbe meglio, almeno per ora, non pensarci prima che possa addolorarmi di più. Espiro taciturna riagganciandolo tra i ricci.

Guardo che ore sono: le 08:30 a.m.
Vado a svegliare Joanna.

«Jo è mattina, svegliati. Oggi si terrà l'evento canoro di Christian Ferrante» le dico sbadigliando.

«Christian Ferrante hai detto!» esclama sollevandosi di scatto e si trattiene la testa tra le mani.

«Piano che non sei completamente guarita» la invito, sorreggendola «Come ti senti oggi?»

Lei si sgranchisce e si siede nel tavolo della cucina.

«La tosse e lo starnuto sono diminuiti. Credo che la febbre sia passata, anche se ho le vertigini. Sarà per la gran fame che prova il mio stomaco.»

Sono sollevata.

«Secondo la farmacista hai preso un colpo di freddo. Ti basterà un aspirina per metterti in sesto» le indico, passandole la scatola farmaceutica «Dovrai prendere una compressa per tre giorni, dopo i pasti.»

Lei storce il naso.

«Odio le medicine. Vabbe' pur di andare al concerto di Christian Ferrante ne berrò quanto consigliato» proferisce e mi chiede come si era comportato Léon.

«Ti ha fatto del male? Ha agito in modo sospetto? Ti ha osservata in maniera perversa?»

La guardo di stucco.

«Certo che no. È stato gentilissimo» le replico andando in bagno «Sei troppo diffidente nei suoi confronti, lasciagli tregua.»

Mi controbatte.

«Sono giusta. È così che dovresti comportarti. Nemmeno lo conosci.»

Decido di ignorarla chiudendo la porta.

***
In una parte sconosciuta

«Siamo felicissimi per la tua decisione. Harrison e gli altri non vedranno l'ora» mi risponde l'assistente.

Mi stacco dal muro della balconata, facendo trasparire il mio primo sorriso del tutto spontaneo dopo così tanto tempo. Varrà la pena rischiare, ne sono sicuramente certo. Tanto cosa potrebbe capitare di male al di là di quello che patirò?

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