9. Bogotà, Colombia

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RIELE

Alla fine del lungo e stancante viaggio per arrivare alla nostra meta finale, siamo giunti alla splendida e solare Bogotà! La capitale della Colombia. Situata nella parte a nord dell'America Latina.

«Olé!!» esprime Joanna di gioia estrema a braccia aperte.

«Oléeeeee!» la imito allungando la parola.

Eccoci all'aeroporto internazionale di El Dorado, appena uscite dal controllo conclusivo che è stato abbastanza lento, ma tutto sommato i controllori sono stati molto educati. Almeno dall'apparenza, siccome quando parlavano Joanna mi faceva da traduttrice.

«Siento que todo lo que me rodea es falso. No puedo creer que realmente estemos aquí» si eccita parlando in spagnolo, dove ho compreso poco o nulla di quello che ha esposto.

«Eh?» chiedo con faccia perplessa «Che hai detto?»

Lei mi osserva aggrottando la fronte.

«Dije que siento que todo lo que me rodea es falso y no puedo creer que realmente estemos aquí» mi ripete.

«Joanna parla in inglese o in giamaicano per favore. In spagnolo non ti capisco.»

Sospira scuotendo la testa.

«Ah Riele, come caspita farai in questi giorni a dialogare con altre persone se non conosci nemmeno un minimo le basi?» mi domanda nel frattempo che seguiamo i cartelli verso l'uscita.

«Parlerò in inglese» dico con semplicità da guadagnarmi una sua risata.

Che ho detto di così divertente?

«Riele, qui, più della maggior parte della popolazione parla soltanto lo spagnolo e solo una piccola percentuale sa l'inglese. Non credo proprio che avrai la fortuna di trovare qualcuno che ti comprenda.»

Vorrà dire che d'ora in poi non mi staccherò da Jo.

«Allora ti seguirò come una sanguisuga» ridacchio e lei di risposta tira su le sopracciglia.

Quest'aeroporto, da quanto mi ha riferita mia cugina, l'hanno aperto da poche settimane considerato che è nuovo di zecca. Questo spiega il motivo principale per cui la dogana è stata molto lenta; c'erano tantissimi voli nazionali.

«Prima avevo detto che sentivo come se tutto intorno a me fosse di pura finzione, e non ci credevo che fossimo realmente qui» mi spiega.

«Dirmelo direttamente in inglese?»

«Non ci avevo fatto caso ahah» manifesta con un filo di risata.

Prima di recarci nella zona dei taxi, Joanna si ferma al cambia valute dell'aeroporto così da cambiare i soldi dai dollari americani ai pesos colombiani. Dopodiché giungiamo alla fermata susseguita da altra gente che attende. Ne approfitto per risolvere una questione che stavamo affrontando in aereo.

«Jo, per cui staremo in un appartamento come mi avevi accennata?» le rivolgo per avere la totale conferma.

Lei starnutisce e poi annuisce.

«Giusto, quella roba lì... comunque sì, staremo nella Casa de apartamentos di San Lopez nel quartiere di Esperanza a una decina di minuti dal centro di Bogotà» mi risponde.

Faccio per aprire la bocca per un altro chiarimento, e mi legge nel pensiero:

«Onestamente non so per quanto staremo, ma credo dai tre ai quattro giorni; così visiteremo per bene le diverse attrazioni turistiche. Christian Ferrante si esibirà domani pomeriggio in un quartiere che non ricordo il nome» mi delucida posando due pollici sotto al mento «Poi controllo meglio il biglietto.»

«Non ricordo se te l'ho riferito, ma sai che posso portare un'amica gratuitamente?» aggiunge facendomi l'occhiolino.

Fantastico!

«Gyal, ci divertiremo senz'altro. Confida in me.»

Una fila di taxi si coricano di fianco al marciapiede e le persone si velocizzano a salire sui mezzi. Per fortuna un automezzo si è fermato proprio dinanzi a noi.

«Andiamo prima che ce lo soffi qualcuno» la incito aprendo la portiera, dove scende un signore anziano.

Saliamo pronti verso il quartiere che aveva citato, di cui mi sono già dimenticata il nome.

«Hola» salutiamo entrambe.

«Hola chicas, ¿a dónde las llevo?» ci domanda allegramente l'autista, guardandoci dallo specchietto.

Lei risponde prontamente:

«Nos gustaría ir al 14b de la calle López, en el distrito de Esperanza

«Interesante» espone l'autista che sembra sul punto di entrare in pensione «!Vamos chicas

Ingrana la marcia e partiamo con una grande spinta di velocità. Il signore ci informa che ci vorrà una trentina di minuti per arrivare, a causa del traffico piuttosto intenso. Joanna mi sussurra:

«Questo qua non dovrebbe essere da tempo in pensione? A parte che non dovrebbe nemmeno avere la patente. Guarda come strizza gli occhi per vedere la strada e i veicoli. Mi auguro che vada tutto bene» si preoccupa.

«È la stessa considerazione che ho fatto anch'io. Speriamo seriamente in bene.»

Da quando siamo giunte a Bogotà, il sole era ben florido da rimanere con una camicia leggera senza aver bisogno di una giacchetta, eppure man mano che percorriamo le miglia i raggi solari si ritraggono dando spazio a delle nuvole non tanto bianche.
Se piovesse sarebbe un disastro.

Intanto Jo mi avvisa di una serie di informazioni:

«Avevo letto che il clima è in generale fresco e umido, dove ci saranno purtroppo delle piogge abbondanti ad ottobre» stringe le labbra «Ciò nonostante siamo ancora all'inizio dell'ultima settimana di settembre, pertanto non c'è da pensarci.»

«Jo» la chiamo catturando la sua attenzione.

Mi invita a procedere con un cenno alla testa.

«Guarda che domani è il primo di ottobre, e visto già da come puoi vedere tu stessa fuori dal finestrino» indico il vetro e lei accerta «Prevedo un brutto periodo di piogge.»

«Come, oggi è il 30 settembre e domani è il primo di ottobre?» chiede interdetta.

Affermo. Lei grugna dando una pedata al tappetino del veicolo, borbottando qualcosa e seccandosi maggiormente.

«Che due palle però» alza questa volta la voce.

Ad arrestare temporaneamente la sua irritazione è il colloquiare dell'autista, di cui non ho capito nemmeno ora mezza parola.

«Déjenme decirles que son chicas hermosas, por cierto» ci sorride mostrando un'inclinazione delle labbra tendente a sembrare quello di un maniaco.

«Conduzca, señor» risponde Jo in tono acido.

Le chiedo che ha detto e lei mi risponde che ci ha comunicato che siamo delle belle ragazze, e di replica gli ha ribattuto di pensare a guidare.

Questo percorso sta prendendo una piega strana: se il tempo non sta diventando delle migliori, questo signore si sta rivelando l'opposto di ciò che aveva mostrato inizialmente. Mi da' decisamente ansia e spero vivamente che la destinazione non sia lontana.

Con mio enorme sospiro da quanto ho monologato, siamo appena entrate nel quartiere di Esperanza che di prima occhiata è ok. Ecco il suo nome! I pochi passanti che percorrono il marciapiede sembrano privi di entusiasmo, e ci sono tre ragazzini che si spintonano a vicenda nell'entrata del distretto. Ma che razza di zona ha scelto Joanna?!

«Está bien aquí, gracias. Y quédese con el dinero» dichiara picchiettandogli la spalla e porgendogli i soldi.

Lo ringrazio anch'io. Lui ci domanda se ne siamo certi, e mostra la sua espressione non convinta.

«Sí, estamos seguros. Adiós» lo saluta frettolosamente recandosi subito nel portabagagli.

L'autista si mette a disposizione per aiutarci, ma Joanna rifiuta freddamente la sua disponibilità e lui offeso se ne va.

«Non avresti dovuto essere così scortese» la guardo male depositando a terra le valigie.

«Ma hai visto come ci sorrideva? Pareva uno squilibrato. Se non fosse stata per la mia giustificata sgarbatezza, chissà che ci avrebbe fatto» dice starnutendo nuovamente.

Magari il suo sorriso che lo abbiamo interpretato male potrebbe essere in realtà normale. La analizzo.

«Stai bene?»

Lei mi guarda dall'alto verso il basso.

«Ovvio che sì. Perché?» reprime il moccio.

«Dai tuoi numerosi starnuti, reputo che ti stia venendo un malanno» le faccio notare «Non avresti dovuto posizionare per tutto il tempo i climatizzatori dell'aereo verso di te.»

Lei mi ignora superandomi, alla ricerca della via. Faremo prima a farci aiutare dai passanti, ma come non detto Joanna preferisce fare di testa sua.

«Eccoci» presenta tutta felice.

«Non male» commento, vedendo un edificio a due pieni che è stata ridipinta a nuovo, assieme alle finestre.

Mi tocco il petto sollevata.

«Perché quel gesto?» mi pone curiosa.

«Una cosa buona dopo il tragitto. Devo dire che il quartiere in sé è carino tutto sommato di prima impressione, ma mi inquietano coloro che ci abitano» pronuncio.

Non che ci abbiano fatto o guardato male. Non so, dall'apparenza non mi infondono tranquillità.

«È il tempo atmosferico che li fa quest'effetto. Ho letto che, è assurdo da crederci, questo posto è facilmente influenzabile dal clima. Dunque ci tocca confidare domani in una giornata migliore» ammicca un saltello e mi sorride con sicurezza.

Citofoniamo e veniamo accolti da una voce femminile che acconsente con l'apertura della porta. Una forte luce ci stordisce per mezzo secondo e ciò che vediamo è una sorta di receptionist dal caloroso sorriso che ci rilassa. Ha il viso molto tondo che pare di una dolce bimba.

Mentre Joanna parla con la donna dai capelli dorati sulla nostra prenotazione, mi guardo attorno. Dietro al piccolo bancone c'è uno scaffale semi vuoto e sia alla sinistra e sia alla destra, spuntano due scale che si incrociano in un corridoio che da' visibilità alle diverse porte dei vari appartamenti.

Sentiamo dei passi nelle vicinanze insieme alla voce di un uomo:

«Viola, al menos dame algo de alegría hoy. Dime que hay clien-... Oh, hola a ti» ci saluta questo tizio alto, dai metri in più di mia cugina, e con una barba tagliata alla perfezione unita ai capelli.

È un giovane uomo. Sarà sui trent'anni. La sua espressione rassegnata sparisce completamente e ci sorride benevolmente:

«Bienvenidos a los dos a mi casa de apartamentos. Mi nombre es Márquez, y tú eres, si me permites...»

Guardo Joanna per far sì che mi traduca e l'uomo lo nota.

«Oh, ¿no hablas español? Entonces intentaré hablar en inglés» dice.

«Po-...» Joanna mi interrompe con l'unica parola spagnola che stavo per articolare.

«Mi primo no lo entiende, pero yo sí. Si antes nos hablas en inglés te haría un favor

Gli va bene e inizia a dialogarci in inglese.

«Mi scuso in anticipo se il mio inglese sarà terribile, sono abituato ad avere clienti spagnoli o turisti che sanno almeno un po' della nostra lingua. Ma non importa assolutamente signorina» ci riferisce per poi guardarmi.

«In effetti avrei dovuto conoscere di più la vostra lingua, tuttavia è stata una partenza alla rinfusa» dico imbarazzata.

«Non ti preoccupare. Per fortuna che Viola lo sa parlare per cui puoi chiedere chiarimenti o informazioni in inglese tutto a lei» ci rassicura con un modo di esprimersi sciolto e divertente.

«Assolutamente» conferma la donna.

Joanna fa un applauso.

«Perfetto» poi mi mormora «Hai avuto una gran fortuna.»

Ci presentiamo ad entrambi e Viola controlla la nostra prenotazione dal tablet, e riferisce sottovoce un dettaglio al proprietario.

«Davvero? Mmh... aspetta che glielo chiediamo a loro direttamente» esterna.

«Cosa?»

Márquez ci rende noto:

«Da quanto è emerso dal programma di prenotazioni, la vostra non c'è.»

Un rombo di un fulmine stona le nostre orecchie e io e Joanna spalanchiamo le palpebre.

«Com'è possibile?!» esclamiamo.

«¿En serio?» chiede Jo frastornata.

Viola si mortifica.

«Io l'ho fatto la prenotazione e ho pure le prove. Ho compiuto gli screen» corre ai ripari, mostrando lo schermo del cellulare con il seguente numero.

«Allora sarà stato un errore del tablet» si confronta Viola con il proprietario.

«Potrebbe essere. Ad ogni modo tranquille, avrete il vostro appartamento prenotato; basta che confermate e pagate. Poi Viola vi darà le chiavi» ci avverte.

Saltiamo di gioia e dopo aver confermato e pagato, l'uomo ci guida al secondo piano verso il nostro appartamento.

«Il vostro soggiorno è dietro a questa porta. Se avete delle perplessità o delle richieste, non esitate a contattare me o Viola. Buona permanenza» ci saluta non lasciando il buon sorriso.

«Come sono tutti sorridenti oggi» espone Joanna attendendo che io giri la serratura.

«A parte la gente del distretto essendo tutta di cattivo umore, tranne questi due signori che sono stati super gentili e cordiali. Che professionalità» esprimo tirando verso il basso la maniglia.

Entriamo nell'appartamento molto colpite.

«Wow, niente male» manifestiamo stupite.

L'interno è parecchio illuminato, quasi accecante direi. È come l'ingresso che avevamo attraversato per raggiungere la hall; c'è un lucernario in mezzo al soffitto del salottino. A sinistra troviamo la cucina con in alto una rustica lampada a forma di conchiglia e con gli elettrodomestici, dove accanto al frigorifero sorge un breve corridoio che porta verso, almeno suppongo, il bagno e la camera da letto. Alla destra un televisore al plasma con dei divanetti. Per fare una panoramica generale in termini di spazi, ci si può muovere facilmente.

«Che dire... È un appartamentino fuorché di pessimo gusto. Ci sta alla grandissima» da' una sua opinione buttando giù sia le borse e sia i trolley «Che ottima scelta.»

«Hai fatto centro Jo» emetto posando a terra gli oggetti ingombranti e si butta su uno dei tre divani.

«Lo so, lo so» sorride tutta eccitata.

Apro la mia valigia prendendo il computer, in seguito saltello da una parte all'altra per evitare di schiacciare le varie borse e valigie sparse. Mi siedo sul divano in cui lei è seduta, avendo tra le mani il dispositivo acceso.

«Che ne dici di chiamare Rylee? È da giorni che non la sentiamo. Soprattutto te, dopo averle riagganciato il telefono in faccia.»

Lei inclina la testa all'indietro, pensandoci su.

«Massì dai. E poi ho voglia di sapere come se la sta passando, e se il capoufficio della scorsa volta l'aveva scoperta» ghigna e io sollevo gli occhi.

Clicco il tasto per l'avvio della videochiamata, venendo interrotta forzatamente dal riaggancio della linea. Ritento una terza volta e questa volta è Jo ad interromperlo. La scruto confusa.

«Perché l'hai fatto?»

«Riele, ci siamo dimenticate del suo fuso orario. In questo momento da lei saranno le dodici del pomeriggio passate, e per cui sarà nel mezzo del lavoro» mi ricorda.

Vero questa storia dei fusi orari! Adocchio l'orologio del pc: qui da noi sono le sette di sera. Mi alzo dal divano color latte.

«Vorrà dire che ci richiamerà poi lei quando andrà in pausa, oppure al termine del lavoro» effondo con l'intenzione di dirigermi nella camera da letto.

Apro la porta nel mezzo del breve corridoio e scopro essere il bagno. Bene, ma non era questo che cercavo. L'unica porta che mi rimane si trova alla mia sinistra: deve trattarsi sicuramente di esso. Convinta la apro, picchiando la fronte subito dopo averla aperta. Ma cosa?

Dolorante mi tocco la fronte, e vedo che di fronte a me ho un muro tinto di giallo scuro. Perché c'è un muro? Mi spingo all'indietro con le braccia e mi accorgo di non essere nella camera da letto. Chiamo quasi gridando mia cugina e mi raggiunge.

«Ma perché gridi? Che su-... Oh...» smette di parlare vedendo ciò che vedo io.

Giro a tratti la testa verso di lei.

«Perché al posto della camera abbiamo uno sgabuzzino?» chiedo scioccata «È pure vuoto.»

Sbatte lentamente le ciglia, assumendo un'aria interrogativa. Pare disorientata. Almeno credo che lo sia. All'improvviso tramite uno starnuto si smuove, rivelandomi la ragione con semplicità:

«Oh vero, mi sono smemorata di avvertirti che non abbiamo una stanza da letto» starnutisce nuovamente «Pazienza.»

Assumo un'espressione tra lo sconcerto e lo shock. Come non lo abbiamo?!

«Per cui ti dico già da adesso che abbiamo soltanto la cucina, il salotto e il bagno da come puoi vedere» fa spallucce ritornando a sdraiarsi sul divanetto.

Trascino una mano sul viso. Non sta dicendo sul serio? Ma è... è... non so neanche come definirla!

«Poi quella rintronata sarei io, eh» esalo sospirando per non arrabbiarmi.

Siamo in vacanza, e ho messo da parte le arrabbiature dalle mie emozioni. Per cui devo assolutamente calmarmi.

«E dove dormiremo scusa?» domando con tono aspro.

Quasi mi ride.

«Ma dai è ovvio» fa una pausa «Sui divani, naturalmente» espone battendo il palmo della mano su ognuno di essi, facendo cenno di sedermi a mia scelta tra uno di quelli.

«Sono di dimensioni accettabili e cosa più importante sono mega comodi» mi presenta con le mani in aria, facendo poi una giravolta e buttarsi su quello di color latte «Non potrai farne a meno. Che aspetti ad accomodarti?»

Spalanca le braccia per metterli ai lati dei braccioli. Non riesco a non lasciare stare.

«Quindi hai comprato un appartamento senza verificare se ci f-...» mi sbuffa sopra.

«Gyal, mamma mia, quanto sei linguacciuta e scassa scatole certe volte. Ascoltami dolcezza, l'importante è che abbiamo un alloggio. Quindi chissene frega se non c'è una stanza da letto per sonnecchiare. Anzi meglio, mi sono appassionata a questi soffici divani.»

Non dico nulla.

«Uhh! E se...» lascia in sospeso e si alza di scatto, tirando verso di sé i cuscini del divano e sorpresa delle sorprese si trasforma in un letto.

Rimango spiazzata. Questo sì che è una cosa inaspettata.

«Tan tan!» presenta entusiasta.

Rido per non piangere, e mi siedo sul letto.

«Spettacolare! Anche il letto è morbidissimo!»  esclama «Questo divano bianco è il mio preferito in assoluto!»

Be' almeno compensiamo con il divano letto.
Ad un tratto il suono di un campanile nelle vicinanze, spicca nell'appartamento. Sono già le sette e mezza. Joanna mi chiede cosa mangeremo.

«Bella domanda Jo. Non ho la più pallida idea» manifesto senza idee.

Lei sta in piedi, dirigendosi verso una delle tre vetrate del salotto.

«Stando a quanto osservo e, a quanto mostra il meteo, per tutta la serata sarà nuvoloso senza alcuna pioggia» mi informa abbassando la tapparella.

Bene, ma il punto focale è cosa mangeremo e non il tempo atmosferico.

«Quindi?»

«Ciò significa che andremo a mangiare fuori!»annuncia prendendo il cellulare «Se non mi sbaglio ci dovrebbe essere un ristorante o fast food che sia nelle vicinanze.»

Ma non sarebbe meglio almeno questa volta un supermercato? Così compriamo noi gli ingredienti e prepariamo qualcosa. Uscire sempre a mangiare fuori non è un bene. Glielo indico e lei mi scruta con faccia mogia. Ok, non è d'accordo.

«Mi hai fatto venire le rughe ancor prima che potessi invecchiare. Riele, fi mi favourite cuzin, ma che stai dicendo? Un supermercato? Guarda non commento, prima che scoppio a deriderti.»

Fi mi favourite cuzin= mia cugina preferita

«Non è una cattiva idea comunque» faccio fronte.

«Sì hai ben ragione, ma non è proprio il caso, ok? Ci andremo la prossima volta. Che ne dici?» mi rivolge un sorrisone a tremila denti.

Accetto con un compromesso, vale a dire che quando arriverà la prossima volta sceglierò io cosa prepareremo. Uno salutare e non un cibo spazzatura come piace a lei.

Ci prepariamo dei vestiti né pesanti e né leggeri e, a turno, ognuno va a fare la doccia. In linea seguente usciamo dall'appartamento pronti ad andare. A pochi passi da dove siamo, nel nostro corridoio, notiamo Márquez dialogare con uno a noi sconosciuto, il quale potrebbe avvicinarsi alla nostra età se non di meno.

Saluto per rispetto entrambi che si sono accorti di noi, al contrario Joanna saluta solo il proprietario. Li superiamo e mia cugina ribadisce a gran volume che non vediamo l'ora di cenare fuori:

«Estamos deseando cenar fuera!!»

Gioisco anch'io e scendiamo le scale, però veniamo fermati da una voce chiara e decisa per niente familiare:

«Chicas, no recomiendo esto

Ci arrestiamo e Joanna si volta per capire chi fosse, visto che non era quella di Márquez. Mi oriento e riscontriamo essere quello sconosciuto di prima.

Joanna incomincia immediatamente ad irritarsi:

«¿Y quién eres tú para decirnos que no podemos ir?»

«Nadie te preguntó nada» aggiunge.

Lui rimane per dei secondi stordito dalla reazione scontrosa di lei. Questa volta le do' ragione. Chi sarebbe colui per dirci di non andare a mangiare fuori? Non ci conosce nemmeno.

«Ustedes deben ser las nuevas chicas de lo que me dijo Márquez» ci comunica.

Sì siamo le nuove arrivate e con ciò?
Stessa cosa gli riferisce Joanna.

«Sí, somos las nuevas entradas. ¿Y qué?»

Lui spiega il motivo:

«Deberías saber que no es seguro salir de noche, más aún si está nublado. No quiero ser un entrometido, pero recomiendo pedir comida para llevar» poi da' uno sguardo a Márquez e lui annuisce «Entonces eres libre de hacer lo que quieras, por supuesto. Era sólo una sugerencia.»

Joanna mi traduce. In sostanza ci dice che dovremmo sapere che non è sicuro uscire di notte, a maggior ragione se è nuvoloso. E che non vorrebbe fare l'impiccione di turno, ma comunque ci consiglia di ordinare ad asporto e naturalmente possiamo fare quello che vogliamo; il suo era solo un suggerimento.

«Un suggerimento non richiesto però» commenta Jo passando la lingua tra i denti e lo ribadisce con noncuranza anche in spagnolo.

Ci è servito nel bene o nel male, saperlo.

«Riele e Joanna» interviene Márquez catturando l'attenzione di quest'ultima «So che non dovrei intromettermi, ma Léon ha ragione a consigliarvelo. Avrei dovuto informarvi che la vita notturna per le ragazze non è tanto sicuro, per via dei malintenzionati che girano dal distretto Pequeño sino al nostro quartiere che generalmente è pacifico. Eppure negli ultimi tempi sta passando un periodo difficile e gli abitanti sono più nervosi di prima anche a causa del maltempo, da come avete potuto notare fuori dall'edificio.»

«Spero di essere stato abbastanza chiaro e scusatemi ancora per il mio inglese primitivo» si mortifica e noi gli diamo cenno di aver compreso.

Joanna si arrende, starnutendo più volte.
Alla fine comunica con voce nasale:

«E va bene, annulleremo questa serata. Tanto ormai l'ha demolito con la sua intromissione. Non ovviamente sua, Márquez...» lascia in sospeso guardando corrosivamente il tizio, il quale mostra di essere intimidito da Joanna.

«De este tipo» conclude, roteando stizzita gli occhi e recandosi ad aprire l'appartamento e chiudendosela fortemente alle spalle, quasi sbattendoglielo in faccia.

Ehm... ok. Mi volto scusandomi con loro, soprattutto con questo ragazzo. Apro la bocca per poi richiuderla: ora in che lingua lo dico? Mi schiaffeggio mentalmente per la figura di merda che farò nel mio mediocre spagnolo:

«Mi scus for my cousin's behavior, she has a pocheto lo tempera alta» dico a stento ridendo nervosamente nella parte conclusiva.

Non so che cavolo io abbia detto e sicuramente non mi avranno capita. Che figura ho appena fatto? Loro mi osservano con un'espressione illeggibile. Mi imbarazzo parecchio e abbasso la testa. Che qualcuno mi trascini fuori da questa situazione vergognosa. Una risatina leggera circola nell'aria. Alzo il capo accorgendomi che è di quel ragazzo.

«No se preocupe» mi dichiara finendo di ridere e lasciando un sincero sorriso «Puede suceder.»

Mi ha capita stranamente e io a mia volta l'ho capito. Stiamo facendo progressi! Ricambio il sorriso con goffaggine.

«Tranquilla Riele, dobbiamo anche noi chiedere scusa a voi per esserci intromessi, e per non avertelo detto in precedenza» confessa Márquez «Mi auguro di non avervi rovinato il vostro soggiorno.»

«Nah, stia tranquillo. Anzi ci ha fatto bene la vostra intromissione, almeno abbiamo preso a cuore questo consiglio.»

«No suena así en esa chica» emette il tizio.

Guardo il proprietario che mi aiuta.

«In effetti» dico grattandomi la nuca e loro due si mettono a ridere.

Dopo gli ultimi chiarimenti e scuse, porgo i saluti ed entro nell'appartamento trovandola distesa sul suo amato divano a pancia a terra, intenta a guardare la televisione. Neanche a parlare che mi precede:

«Per favore evita di commentarmi.»

«Non l'avrei fatto, tanto ero certa che saresti arrivata a capire che hai esagerato» dico solamente.

Lei si soffia il naso e starnutisce per l'ennesima volta.
Dovrebbe iniziare a prendere qualche medicina se solo lo avessimo portato, mannaggia a noi.

«Vero.»

...

A calar della notte con la pancia soddisfatta per il cibo colombiano che abbiamo ordinato, andiamo a dormire. Io nel divano letto e lei in un altro sofà, avendo voluto concedermi il suo per suo stesso volere.

Non so che ore sono, ma dal buio insidioso che si vede sia all'interno che all'esterno dell'abitazione fa pensare siano le due di notte. Mi giro dall'altro lato affaticata per il primo giorno a Bogotà, fino a che udisco un suono, come se fosse soffocato o ansimante e qualcosa muoversi.

Non ci bado molto e una sensazione che non mi permette di riaddormentarmi mi sveglia. Mi alzo ad accendere la luce per verificare se fosse reale o meno.

Quasi inciampo tra i miei stessi piedi e accendo la lampada spalancando le palpebre d'impulso. Il mio sonno termina di circolarmi nel vedere Joanna pallida e ripiegata su sé stessa, la quale gronda di sudore.

«Oh mamma mia Jo!»

Mi precipito a soccorrerla.

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Angolo Autrice:

Ciaooooooo a tuttiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!
Ok, ora la smetto ^^
Sono mortificata con coloro che hanno atteso il nuovo capitolo in queste settimane; purtroppo sono stata parecchio impegnata con la scuola e di conseguenza non ho avuto il tempo né per aggiornare e né per dedicarmi alla continuazione della storia, e devo dire che l'ho alquanto trascurata... Se qualcuno si fosse chiesto se fossi scomparsa o esplosa può star sicuro/a che non lo sono stata ahahah ;)
Mannaggia alla scuola online che è davvero molto impegnativa rispetto a quello in presenza, almeno dal mio punto di vista.
Voi cosa ne pensate a tal proposito?
Comunque ora sono in vacanza per cui sono abbastanza libera, e riavrete come meritate le pubblicazioni. Mi scuso nuovamente per quelle mancate, e spero che vi sia piaciuto questo capitolo. Ditemi per favore se siete riusciti ad intuire il significato dei dialoghi in spagnolo e il vostro parere. Vi auguro a voi e ai vostri cari delle buone feste ⭐️🥂. Vi mando un caloroso saluto e alla prossima con:

10. Povera Joanna

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