7. Rimuginare

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RIELE
Non faccio altro che rimuginare tutto il tempo. Andando a ritroso, senza smettere...

Tic, toc. Con un altro tic, toc e un altro ancora. Il ticchettio dell'orologio sopra la mia testa non mi consente di farmi dormire; sdraiata sul letto dell'hotel con accanto Joanna che russa come nessuno sa.

È tarda notte, saranno le 02:30 a.m. e io sto ancora qui con le palpebre spalancate a fissare il soffitto tenebroso. Con le lacrime che si impregnano nel cuscino; ogni sua goccia equivale ad una reminiscenza con lui.

Troppe informazioni ho recapitato in una sola giornata, e sono talmente devastanti che il mio cuore si è spaccato in quattro pezzi frastagliati.

Passo le mani sotto le ciglia, volendo evitare di svegliare mia cugina. È rimasta fino a tardi a consolarmi dopo che siamo tornate dalla spiaggia, e a persino rinunciato a cenare pur di farmi stare meglio. E Joanna e il cibo sono due compagni inseparabili e mai ci rinuncerebbe; ma per me ha fatto un eccezione. Le offrirò un'abbondante colazione con i fiocchi, in mattinata.

Indosso le ciabatte in direzione del balcone. Farò una breve sosta, ammirando il panorama della città nella notte fonda. Chiudo la porta ed esso gracchia alla chiusura. Questa notte il cielo è in assenza di stelle, privo di luminosità; scoperto dal suo mantello dorato, scoperto dalle sue perle. Sospiro posando i gomiti sulla ringhiera. Lascio che passino dei minuti, prima che io schiuda le mie labbra per dialogare con il nulla:

«Ecco perché continuavi a comparirmi nei miei sogni, nei giorni prima del mio ritorno in questa brillante città. Dove ci siamo conosciuti» dico seguendo il flusso dei pensieri.

«C'era e c'è un nesso che non è casuale, come sto apprendendo» bisbiglio incentrandomi sulla luna mezza vuota e mezza piena.

«E sento che quella connessione, mi porterà da te. Me lo sento» poso una mano sul cuore «Il giorno in cui ci rincontreremo non è lontano. I sogni su quell'ottenebrante 4 gennaio di quattro anni fa, sono vivi come la mia speranza di rivederti...»

«Jace» sussurro inspirando la freschezza autunnale della stagione.

«Non sai quanto sono amareggiata e pentita di averti fatto soccombere nella depressione, a causa del tuo amore per me che ti ha costretto a sottoporti ad una terapia in un centro ospedaliero» ingoio lentamente la saliva, massaggiandomi la gola.

«Chissà come sarai diventato» dico sconsolata, indietreggiando dalla ringhiera.

«Desidero, non sai quanto, rincontrarti per vedere con i miei stessi occhi che stai bene. Come ha detto Brian» asserisco per poi coricarmi a letto.

Eppure so bene che al tempo stesso sarebbe meglio mantenere queste distanze

Balzo spaventata tenendomi il petto per lo spavento alla vista di Joanna sullo stipite, con i capelli arruffati e le occhiaie per il sonno.

«Jo che ci fai sveglia? Non stavi dormendo?» chiedo sedendomi sulla sedia, posizionata al centro del balcone.

Quand'è stata qui senza che notassi la sua presenza? Certo che è imprevedibile.

«No, non stavo dormendo o perlomeno facevo finta di esserlo. Per ascoltare i tuoi pensieri» mi replica stando accanto a me, in piedi.

«Dai, confidati con la tua cugina preferita. Direttamente disponibile e confezionata, fatto apposta per te ahah» ridacchia in modo cristallino, guardandomi con un sorriso limpido.

Ricambio con una faccia buffa e mi avvolgo per bene la coperta super leggera.

«Con ascoltare i miei pensieri, hai anche sentito la conclusione?» le chiedo.

Lei annuisce.

«Ho ascoltato dalla A alla Z, senza saltare una singola lettera del tuo monologo. E sono esterrefatta» espone.

Esterrefatta da cosa? Glielo domando.

«Dalla speranza che nutri tutt'ora nei confronti di Jace Norman» mi spiega osservandomi dritta negli occhi «E si è rafforzata con quello che hai assimilato su di lui quest'oggi.»

Non dico nulla lasciandola parlare senza interruzioni. Voglio capire a dove andrà a parare.

«E come hai mormorato prima, non è scontato che i tuoi sogni non siano casuali. Guarda a cosa ti hanno guidato, uh? E concordo sul fatto che il giorno che vi rincontrerete si avvicina» termina e io mi raffreddo.

«Immagini se anche lui ti sta sognando e di conseguenza pensando? Cavoli, sarebbe il destino dell'universo, come tu chiami a vol-...» le parlo sopra, alzandomi.

«Jo, ora stiamo passando il limite dell'assurdità. Quelle cose che ho detto... Non so nemmeno io la ragione per cui le ho esternate. E basta navigare nella fantasia; lui non mi starà pensando, si starà concentrando sulla sua vita al di fuori di me» dico a bassa voce.

«Come dovrebbe fare» aggiungo.

Joanna increspa le sopracciglia.

«Per la nostra amata Giamaica, ma che stai blaterando?» interviene allibita.

«È così Joanna. Sarebbe meglio che non ci incontrassimo, almeno non starà di nuovo male.»

Lei si acciglia.

«Stai rinnegando il tuo cuore» mi dice mettendo le dita ai lati delle tempie.

«Non lo sto affatto rinnegando, davvero, semplicemente voglio essere realista. Tutto qua» emetto rientrando nella stanza, eppure mi ferma per la spalla.

«Tu provi ancora qualcosa per lui? E sai bene chi intendo» specula.

Ancora con questa domanda? Ho già risposto non poche ore fa. Incrocio le braccia incominciando ad infastidirmi.

«Te l'ho già detto. Non. lo. so.» lo scandisco bene affinché le sia chiaro «E preferisco non pensarci. Ho altre questioni a cui badare» termino definitivamente scostando la sua mano.

L'ultima cosa che riesco ad accogliere dai borbotti di Joanna è un sussurro:

«Non sai nemmeno te cosa stai dicendo.»

Sono tutte chiacchiere senza un filo conduttore logico. Me ne vado a dormire che è meglio. Scosto la coperta che ho avvolta intorno a me, stendendolo nel letto fino a che mi accomodo. Chiudo gli occhi pronta per addormentarmi, ma qualcosa non mi consente di sonnecchiare. Li schiudo un pochino, riconoscendo mia cugina che mi ha raggiunta e mi osserva senza sbattere le palpebre.

«Che fai Jo?» divulgo annoiata.

Lei non mi risponde, mi fissa soltanto. Non ne potendo più mi giro dall'altra parte, così da riposarmi in pace. Qualunque cosa volesse fare non funzionerà.

Giro il collo dopo qualche minuto sentendola russare, e noto che si è addormentata. Mi posiziono con la schiena ben piantata al materasso, riprendendo a mirare il soffitto; abbandonandomi al sonno totale.

E nel buio, all'interno delle mie palpebre, mi compaiono di naturalezza quelle frasi tormentate di quel giorno, con tanto della sua voce. In particolare questa:

"Questo viaggio mi rimarrà indelebile per tutta la vita. Il tuo inganno mi ha marchiato, provocandomi un vuoto che mi è incolmabile."

Malgrado io concordi con il mio cuore nella speranza e nella voglia di rincontrarlo almeno una volta, sebbene sono più incline a ciò che dice il mio cervello: sarebbe meglio non incontrarci. Quelle espressioni che mi ha rivolto ne sono la prova. Gli ho lasciato una lesione indelebile, senza la possibilità come lui ha detto di rimuoverlo e rischierei di rievocare la nostra dannata fine. Inoltre quell'addio è stato indigesto, che racchiude un solo significato...

Nonostante ci sia quel nesso che mi accresce nei giorni a venire e nonostante io creda che non sia casuale, si smorza attraverso il realismo che mi circonda. Le probabilità che io e Jace potremmo incontrarci sono quasi allo zero. In special modo ora che lui si trova parecchio distante da me. In chissà quale città oppure Paese, o addirittura continente.

...

Questa mattina mi sono svegliata presto, avrò dormito sì e no quasi tre ore. Mi sono preparata di molto anticipo anche se sono solo le 06:00 a.m. e Joanna si sveglierà tra almeno tre ore. Non so che fare in questo lunghissimo lasso.

Prendo il cellulare sedendomi sulla poltrona nelle vicinanze della porta del bagno. Se avessi ancora i social perderei del tempo lì, ma siccome li ho eliminati non so che pesci pigliare. A proposito di queste piattaforme, Ella mi aveva riferita che i miei follower si domandavano e si chiedono ancora oggi che fine io abbia fatto, e cosa intendessi dire con quell'ultimo post che avevo postato, in compagnia di una frase che avevo scritto.

Non avrei dovuto renderlo pubblico. Doveva rimanere offline, tra i miei archivi personali e non alla vista di due milioni e mezzo di persone o forse anche di più. Lo installerei di nuovo solo per toglierlo. Ormai è fatta, non ci posso fare nulla. E poi se lo cancellassi così di punto in bianco, sarei molto sospetta e farei quadruplicare l'alone di mistero. La frase in questione recitava così:

"Il nostro amore è stato struggente, verso la fine, ma i suoi occhi addolorati lo erano ancor di più sui miei."

Onestamente e inizialmente non sapevo neppure io che cosa stessi scrivendo, le mie dita scivolarono sulla tastiera per conto loro ma era certo che mi stavo riferendo implicitamente all'amore tra me e Jace, in special modo alla sua amara conclusione. Come avevo scritto, il nostro amore è stato struggente nella parte finale, eppure i suoi occhi pieni di cruccio e grondanti di lacrime dove esaminavano i miei, erano in quantità maggiore.

Anche se in realtà solo ora noto che non ho postato il testo al completo. Mi reco nelle note, ovvero l'archivio delle mie intime riflessioni. Ecco il testo al completo:

"Il nostro amore è stato struggente, verso la fine, ma i suoi occhi addolorati lo erano ancor di più sui miei... Pochi hanno il lieto fine; e noi non lo abbiamo avuto, purtroppo. E me ne rattristo. Davvero tanto."

Mugugno corrucciando il volto ed esalo un sospiro. E lo sono tuttora, indipendentemente che sia passato tanto tempo. Sarebbe meglio farsi una passeggiata in questo hotel, inoltre io e Joanna non l'abbiamo visto tutto; ci siamo subito addentrate nella nostra camera prenotata.

Riguardo l'ora e mia cugina nel sonno, tutta storta con gli arti fuori dal materasso e stranamente rilassata in quella bizzarra posizione. Rido leggermente ed esco dalla camera, lasciando un post-it sullo specchio del bagno. Almeno sa che non mi hanno rapita o cose del genere.

Come detto mi incammino nel corridoio del nostro piano verso l'ascensore, volendo partire dall'ultimo, ossia il quinto, sino a scendere al pian terreno nella zona reception. Tuttavia scenderò tramite le scale, non volendo intrattenere l'ascensore. Un po' di attività motoria non guasta mai e fa bene alla salute.

Attendo qualche minuto e salgo nel mezzo. Esco dalla cabina appena sento il din delle porte aperte: il clima è molto silenzioso e spoglio dalla gente. Ci sono solo io. Mi mette molta inquietudine. Decido di percorrerlo lo stesso e mi metto le mani in tasca, dove i suoni che si sentono unicamente sono i miei stivali.

Dopodiché scendo al quarto piano con le scale e come nel quinto non c'è anima viva. Sono pur sempre le 06:30 di mattina del sabato. Mi abituo a poco a poco all'atmosfera e giro la strada nell'angolo per le varie stanze sempre diretta verso le scale, quando all'improvviso dietro di me sento un rumore di una porta che si apre.

Sobbalzo e mi volto, riconoscendo due persone: una donna e un uomo, essere la coppia sposata della reception di cui Joanna tanto si lamentava. Si tengono subito la mano dopo che bloccano insieme la serratura della loro stanza e il giovane uomo sui trent'anni, bacia sulla fronte la moglie. Mentre mi passano di fianco li osservo e non si accorgono della mia presenza. Sono nel loro lieto fine.

Mi superano e la donna gli prende il braccio in stile panda, posando la sua testa sulla spalla del marito.
I loro visi sono ben riposati e sereni, la loro ottima alchimia mi ha colpita sin da quando li avevo visti la prima volta. Certo che li invidio, beati loro che lo hanno avuto. Mi intristisco recandomi nella vetrata del corridoio e mi stringo, ad osservare i vari edifici accanto o nell'area di questo hotel.

Quella donna mi ricordava me.
Quell'uomo mi rimembrava lui.
Nel nostro vecchio passato.

Ero solita abbracciare il braccio di Jace nel momento in cui facevamo le nostre tranquille passeggiate, perché mi sentivo molto bene e mi piaceva il suo buon calore. E lui a sua volta era solito baciarmi la fronte, stringendo le mie mani affusolate e raccogliendomi in un benevole e forte abbraccio. Come in quella giornata alla riva del lago di Lakewood.

L'aria pura dell'acqua del lago fu scura ma pulita, assieme alla natura della foresta e al vento che fecero ravvivare il posto. Io e Jace andammo a Lakewood per conto nostro, volendoci rilassare e passare la giornata libera belli e sereni nonostante ci fosse stato una brutta folata di vento nei giorni precedenti.

Accadde tre settimane prima della mia partenza per l'Università, dove gli rinfrescai che mi sarebbe piaciuto tanto andare a Lakewood dove l'avevo preannunciato al nostro primo mesiversario. Lui luminoso accettò e ci recammo finalmente dopo i vari impegni. Sarebbe stato la nostra ultima gita insieme, e volemmo trascorrerlo con l'uno accanto all'altro. Ci sedemmo di fronte al possente lago, mettendo qualche coperta per non sporcarci di terra inumidita. Fortunatamente non trovammo nessuno.

"Finalmente possiamo goderci questo clima naturale da vicino" iniziai mettendomi una ciocca di ricci dietro all'orecchio.

Fui così entusiasta di essere lì con Jace, e questa emozione venne ricambiata allo stesso modo. Lui mi guardò silenziosamente e io a mia volta lo osservai, con espressione curiosa. Finché non mi rivelò:

"Non sai quanto apprezzi la tua compagnia, con il modo in cui mi fai sentire."

"E come ti faccio sentire?" gli chiesi sorridendogli.

"Ben voluto e amato" mi dichiarò con degli occhietti tenerissimi.

Feci un verso dolce, avvinghiando come al mio solito il suo braccio.

"Ti piace molto questa posizione, eh?" ridacchia "Sembri un piccolo panda."

Alzai il collo e gli baciai la guancia.

"Sì eccome. Mentre tu mi pari un bambù, da cui non mi staccherò" sogghignai con limpidezza.

Lui con la mano libera mi prese per la guancia destra e mi baciò, sopprimendo il mio ghigno. Intricata feci approfondire il contatto, dove le nostre lingue si sfiorarono e mi dispiacque molto quando si allontanò qualche secondo dopo.

"Solitamente sono io che mi allontano, ora vorrei di più" incrociai le braccia, facendo un finto broncio.

Rise.

"È una vendetta per tutte le volte in cui lo fai a me. Visto che non è affatto bello?" ondeggiò le sopracciglia facendomi ridacchiare.

"Me lo sono meritata" gli diedi un colpetto al dorso.

Il fruscio delle foglie attraversa i nostri uditi, con l'odore umido delle piante ancora bagnate per la pioggia della scorsa notte. Chiusi gli occhi per attutire di più l'essenza della foresta, percepii un calore pressoché duro di contatto dietro la mia schiena.

"Comoda?" mi bisbigliò, quasi con timore.

"Molto" risposi retrocedendo di più con il mio corpo.

Lui posò il suo mento sulla mia clavicola, cullandomi nelle sue ali pieni di candore e amore che mi fece rallentare il cuore per la beatitudine che provai.

Adorai quel momento: il suo delizioso profumo, i nostri respiri ritmati, con il cuore che rallentò ad ogni nostro sospiro e l'aria fresca che rese stupendo il tutto. Fu come se al nostro interno si fosse creato un collegamento invisibile bidirezionale, che passava dal mio organo cardiovascolare fino al suo e viceversa. Fummo solo io e te.

Vivemmo un amore significativo e coinvolgente, nel lungo andare. Se io soffrivo anche lui lo fu, avemmo un'empatia assurda in senso più che buono. Il giusto feeling che ci servì nel nostro rapporto.

"Sai, sto riflettendo a noi tra quattro anni. Successivamente alla conclusione dei nostri studi" esalò d'un tratto.

Riaprii le palpebre notandolo con la vista profonda rivolto al suo pensiero.

"Chissà come saremo? E dove staremo?" si ferma poi, puntando gli occhi su di me.

"Chissà se staremo insieme nonostante tutto, nonostante la distanza che ci è di mezzo" sussurrò con un tono di voce in bilico, dove trasparì la tristezza.

Portai le mani ai lati del suo viso. Ai miei occhi perfetto.

"L'universo deciderà per noi, se solo noi lo vorremo" gli dissi.

Mise le mani sopra alle mie.

"Speriamo in bene, Ri."

Annuii e gli rivolsi un quesito:

"Ti immagini, in un futuro lontano, con me?"

La parte insicura di me ebbe timore della sua risposta, però al tempo stesso la parte che ne fu innamorata non lo patì affatto. Fece le labbra a forma rotonda, dischiudendole, e in seguito mi sorrise allegramente:

"Certamente. Ricordati: Io ti amerò per sempre, sei la ragazza che sognavo tanto di incontrare nella mia vita. E finalmente ti ho trovata."

"Ne è valsa la pena attendere e soffrire dopotutto" aggiunge.

Mi lasciò molteplici baci a stampo, ribadendo di amarmi molto. Le sue parole mi causarono diverse lacrime che non seppi nemmeno io il motivo. Finché non mi resi conto che fossero per i sensi di colpa nel non contraccambiarlo alla sua stessa intensità.

Rispolvero per bene la frase che mi provocò quelle lacrime ormai distanti e mordo la guancia interna, contemplando lo stesso gli edifici. Perché dobbiamo accorgerci di ciò che abbiamo perso sempre all'ultimo secondo, quando è troppo tardi? Per quale motivo non prima? Andiamo in contro a qualche legge aliena? Non me lo so spiegare.

Effondo un respiro sommosso riprendendo la camminata. Ho cambiato programma: mi voglio avviare nella zona bar, in cui si trovano delle sedie dall'aspetto comode.

Stare sola con me stessa, mi fa rimuginare

Spero che Joanna sia sveglia. Magari ora le invio un messaggio. Nel frattempo che giungo alla zona bar, la contatto via sms e alzo la vista cogliendo un signore anziano che si alza da una sedia libera, infondo alla sala; siccome le altre sedie sono tutte occupate ne approfitto per sedermi. Come al mio solito, inchiodo la mente a ritroso diminuendo il mio contatto con la realtà. Questa volta non ci posso fare proprio niente; il passato mi sta con forza chiamando. Solamente il vociare degli ospiti udisco, ma alterata, e stranamente colgo tra di essi una in particolare:

«Riele che...» non sento il seguito.

Non so se sia per la circostanza del mio stato oppure è lei che non ha proseguito intenzionalmente.

«Tutto ok?» è sempre la voce di Joanna.

Riesco a bloccare per il momento il richiamo dei ricordi, annuendole con decisione.

«Sì, andiamo a fare colazione?» propongo alzandomi e per breve secondo sbilancio il mio equilibrio.

Acconsente, avvolgendo un braccio alla mia vita invitandomi a saltellare con lei.

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Il mattino è passato in una folata di vento, e come da programma nel nostro riposo dagli studi universitari, abbiamo introdotto lo shopping o quantomeno l'ho inserito io, considerato che Joanna è una spendacciona e per cui la dovrei tenere a freno. So che a causa di ciò non avrei dovuto metterlo ma, andiamo, un po' di shopping mica ci guasterà. E poi è con me che vado a risparmio.

«Jo, ricordati che abbiamo un limite su cui non possiamo andare oltre» le rendo noto.

Lei come già da abitudine, realizza il suo solito gesto con la mano.

«Andiamo Riele, me lo ricordo bene, non c'è bisogno di essere un promemoria. Pff...»

«C'è bisogno invece, spendi sempre una fortuna» avvaloro prendendo dallo scaffale del negozio un paio di gonne.

«Pff... Sono soltanto delle bazzecole» afferma provandosi un paio di scarpe.

Compriamo entrambe dei vestiti autunnali, delle scarpe e dei reggiseni. Inizio a collocarmi alla cassa, dove attendo Joanna che mi ha invitata ad andare avanti e che avrebbe cambiato taglia di non mi ricordo cosa. Mi auguro che non abbia aggiunto niente, aveva già un buon quantitativo di articoli.

«Eccomi couzin» dice fermandosi al mio fianco.

Mi metto le mani tra i capelli. Non avrei dovuto lasciarla sola.

«Jo!!! Che ci fai con tre paia di scarpe in più e cinque capi in più?! Ci vuoi impoverire?» esclamo abbassando poi il volume dello strillo.

Lei fa spallucce sorpassandomi per pagare. Vuole seriamente comprare tutto quello? Ah no! Non glielo permetterò.

«Joanna!» la richiamo trattenendo il paio aggiuntivo.

«Lasciami fare» mi comunica inflessibile, togliendomelo con agilità.

Ritento, ma lei mi trattiene bloccando i miei arti nonostante ci sia della gente dietro di noi che parlotta tra sé, scrutandoci straniti.

«Joanna! Togli quella roba, vuoi finire tutti i soldi della vacanza?» chiedo cercando di liberarmi.

«Certo che no, so quello che faccio e questa volta lasciami fare.»

Intanto la cassiera continua a passare nella barra gli articoli. Oh no! Non sono riuscita ad impedirglielo.

«Te ne pentirai, lo so» le dico con stizza.

Lei mi ribadisce di lasciarla fare e mi libera quando ascoltiamo il totale:

«40 dollari e 95 penny» ci notifica la commessa.

Dieci dollari in meno del limite. Rimango stesa.
Ma come? Osservo Joanna che ride divertita. Credevo che superasse quota sessanta dollari, come è possibile che abbia rispettato il budget?

«Visto? Cosa ti avevo detto prima? Di lasciarmi fare, vedi che mi sono controllata?»

Che dire, sono fiera di lei.

«Sono contenta che mi hai dato retta, scusami per il mio dubbio» permetto alla cassiera di registrare pure i miei capi.

«Bene, ora ti conviene ascoltare il tuo di totale» mi sorride beffarda.

Scontro le sopracciglia vedendo la mia somma complessiva da farmi evirare i peli estinti delle mie braccia:

«70 dollari signorina» rivela la cassiera.

Guardo di sottocchio Joanna che ride come una pazza.

«Se mai saresti tu che quella ci vorrebbe ridurre in miseria ahah.»

Ok, questa volta sono io in torto. Lo ammetto, com'è giusto che sia. Mi colpisco la mano sulla fronte togliendo della merce.

«Ora sono 60 dollari» espone.

Joanna smette di ridere e mi guarda, per poi riscoppiare con la sua risata contagiosa.

«Hai toccato il limite per la seconda volta ahah, togliere altri vestiti non ti è bastato ahah.»

Mi faccio contagiare dalla risata e pago il totale così com'è, con i miei soldi, senza intaccare quelli regalati dal padre di Jo. All'uscita dal negozio le pongo una richiesta. Voglio sapere come ci è riuscita:

«Ma come hai fatto a rimanere al di sotto del budget? Da quanto ho visto non c'era alcuno sconto.»

Ripeto: non l'ha toccato di un penny.

«Questo si chiama, arti di risparmio trattino astuzia di Joanna Downs» mi rivolge l'occhiolino.

Okay? La sento bisbigliare:

«Aperta parentesi, buoni sconti, chiusa la parentesi. Non dirlo in giro.»

Ah, ecco come ha fatto.

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