23. Mostro

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Il rumore dei suoi passi frettolosi echeggiava senza sosta lungo le pareti di roccia umida, assieme a quello del suo respiro affannoso e spezzato.

Non sapeva con esattezza perché stesse percorrendo quel tunnel con una tale urgenza, né se il suo intento fosse quello di raggiungere qualcuno oppure di scappare da qualcosa. Era consapevole solo del fatto di dover fare in fretta, altrimenti ogni cosa sarebbe andata perduta.

"Più veloce!" si rimproverò, cercando di immettere quanta più energia possibile nelle gambe, saggiando con una mano le pareti scivolose attorno a sé per orientarsi nel buio.

All'improvviso, una vibrazione sorda iniziò a propagarsi sotto i suoi piedi, scuotendo la grotta come se questa fosse composta da gesso e non da solida pietra, e minacciando di fargli perdere l'equilibrio.

Nello stesso istante, gli parve di udire delle voci in lontananza lanciare grida di allarme e il sangue gli si ghiacciò nelle vene.

Era arrivato troppo tardi.

Non riuscì a impedire alle proprie labbra di mormorare un'imprecazione, mentre si sforzava di accelerare sempre di più, ignorando il peso della disperazione che gli occludeva il petto, così come il fatto che le scosse di terremoto si stessero facendo sempre più violente, staccando enormi detriti dalle pareti del tunnel, i quali rischiavano di piombargli addosso schiacciandolo sotto il loro peso.

Non gli importava se sarebbe morto, doveva raggiungere quelle persone in un modo o nell'altro.

Il suono delle grida si fece sempre più vicino e questo gli diede una seppur minima speranza di stare procedendo nella direzione giusta.

Quando, dopo un tempo che gli parve interminabile, riuscì a raggiungere il luogo da cui sembravano provenire i lamenti, lo trovò già sbarrato da una montagna di detriti e rocce che impedivano di proseguire oltre.

Kisshu deglutì, osservando quell'immenso cumulo di macerie. Con ogni probabilità non sarebbe mai riuscito ad aprirsi un varco da solo, scavando a mani nude, ma quella consapevolezza non fu sufficiente a fermarlo.

Le rocce lo chiamavano a sé, imponendogli di continuare a cercare, nonostante sapesse benissimo, in cuor proprio, che non gli sarebbe affatto piaciuto quello che avrebbe trovato in mezzo a quei sassi.

Come in preda ad uno stato ipnotico, prese a scavare furiosamente, incurante delle ferite che si aprivano sulle sue mani a ogni pezzo di roccia divelto.

Nel frattempo, i richiami si facevano sempre più flebili, segno che, chiunque fosse intrappolato lì sotto, di certo non avrebbe resistito ancora a lungo.

– È tutto inutile. Non puoi cambiare il passato. Non puoi salvarli. – udì una voce fredda e malevola mormorare alle sue spalle, come prendendosi gioco di lui.

Si impose di ignorarla, così come stava ignorando il dolore dei tagli alle mani e il sangue che aveva preso a fuoriuscire da essi. Aveva cose più urgenti a cui pensare.

Tuttavia, la voce continuò a sussurrare imperterrita, facendosi sempre più vicina, come un tarlo che, con inesorabile lentezza, scavi un buco sempre più profondo nel legno. – Perché non la smetti di negare la realità? Tu sai cosa sei. Guarda cosa hai fatto.

Come se quelle stesse parole avessero fatto emergere la verità, Kisshu iniziò a intravedere un volto familiare attraverso i detriti, un volto che conosceva fin troppo bene e che non avrebbe mai voluto rivedere in quelle condizioni.

– No!

Sapeva che non poteva esistere un epilogo diverso a quella storia, ma non poté comunque evitare di restare sgomento quando vide lo sguardo spento e senza vita di suo padre fissarlo attraverso le rocce.

Nonostante il dolore che provava nel petto minacciasse di soffocarlo, riprese a scavare con più vigore, mentre calde lacrime di rimorso gli rigavano le guance, bagnando quelle fredde e ormai senza vita del proprio genitore.

Si bloccò solo quando, dopo aver divelto l'ennesimo pezzo di roccia, ad apparire tra i detriti fu la figura di sua madre, anch'essa con lo sguardo vitreo puntato su di lui come in una tacita accusa.

– Sei tu il mostro. – sussurrò ancora la voce, appena dietro al suo orecchio, facendolo rabbrividire di terrore. – Li hai uccisi tu.

Scosse il capo, ma quando aprì la bocca per negare quelle accuse, non riuscì a emettere nemmeno un fiato. Perché sapeva che, in fondo, quelle parole erano vere. Era davvero colpa sua se i due erano morti.

La voce aveva ragione: era un mostro.

Le labbra violacee e screpolate dei cadaveri dei propri genitori, nel frattempo, si erano piegate in una smorfia di dolore, prendendo a mormorare a voce sempre più alta – Perché, Kisshu? Perché? – in una cantilena ossessiva che lo costrinse a portarsi le mani alle orecchie in preda al disgusto e al rimorso.

– Non volevo! Mi dispiace, non volevo! – Si ritrovò a gridare, a voce sempre più alta, sperando di riuscire a coprire quella cantilena infernale che lo stava portando sull'orlo della follia.

Non solo fu tutto inutile, ma quel gesto parve fare infuriare ancora di più le spettrali figure, le quali lo afferrarono per le braccia scostandogli le dita dalle orecchie e tentando di trascinarlo con loro attraverso il cumulo di macerie.

Terrorizzato, si dimenò con tutte le proprie forze per sottrarsi alla loro presa gelida e impietosa, ma senza alcun risultato. Dopo pochi attimi, fu inghiottito a sua volta dalle rocce, ritrovandosi avvolto da una fitta coltre di tenebra che sembrava non avere inizio né fine.

Fu allora che la vide: una figura femminile giaceva immobile a terra, rannicchiata a poca distanza da lui. Era vestita con una lunga tunica bianca e i suoi capelli neri si confondevano con il buio circostante, come se anch'essi fossero composti da oscurità.

Nonostante la peculiare scelta di vestiario, la riconobbe all'istante, e non poté fare a meno di invocare il suo nome. – Luana! – esalò, sforzandosi al contempo di raggiungerla con tutte le proprie forze.

Per quanto tentasse di attirare la sua attenzione, tuttavia, quella rimase sorda a tutti i suoi richiami, continuando a singhiozzare nel buio, raggomitolata su se stessa.

 Non piangere. Per favore, non piangere! – si sorprese a supplicarla, tendendo una mano verso di lei in un gesto consolatorio.

Con uno sforzo di volontà non indifferente si fece strada attraverso quell'oscurità così densa da sembrare composta da melassa, finché riuscì a coprire la distanza che li separava.

Con cautela, si inginocchiò accanto la lei, posandole una mano sulla spalla per indurla a riscuotersi dal suo torpore e a sollevarsi.

Voleva abbracciarla, stringerla a sé finché le lacrime non avessero smesso di rigare il suo volto. Tuttavia, non appena quest'ultima si mosse, l'alieno rimase paralizzato dall'orrore: dal petto della giovane, proprio all'altezza del cuore sbucava la crudele lama di un sai.

Come aveva potuto non accorgersene prima?

– Che cosa è successo? – le domandò, nel panico, facendola stendere sulle proprie gambe e cercando di tamponare la ferita alla bell'e meglio con la propria veste, pur rendendosi conto che con uno squarcio del genere, qualunque tipo di soccorso sarebbe servito solo a prolungare la sua agonia.

Pur non opponendo alcuna resistenza, quella continuò a singhiozzare a occhi serrati, senza dare cenno di avere udito le sue parole.

Annichilito dal terrore, Kisshu rimase a guardare, impotente, mentre quella spietata rosa color cremisi andava allargandosi sempre di più sul petto della sua compagna di squadra, fino a macchiarle buona parte dell'abito.

– Chi è stato? – riuscì a chiederle ancora in un sussurro, avvertendo un groppo incandescente ostruirgli la gola, minacciando di trasformarsi, ancora una volta, in pianto.

Non poteva perdere anche lei, non così, non in quel momento. Non avrebbe potuto sopportarlo.

Solo a quel punto la giovane aprì gli occhi, trapassandolo con le sue iridi color tempesta, colme di riprovazione e dolore.

– Tu. – sussurrò, mentre una lacrima solitaria lasciava le sue ciglia, disegnandole un solco perlaceo sulla guancia. – Sei stato tu.

Si svegliò di soprassalto, disturbato dal suono delle sue stesse grida di dolore e dal senso di angoscia crescente che gli stava schiacciando il petto in una morsa d'acciaio. Le coperte del letto gli si erano arrotolate addosso in un abbraccio soffocante e la propria veste, madida di sudore, gli premeva contro la pelle, provocandogli brividi intensi di freddo.

Ancora preda delle immagini terrificanti del proprio inconscio, inizialmente non si rese conto che qualcuno lo stava scuotendo con decisione per una spalla, e trasalì, quando si trovò davanti il volto di Luana, con quegli stessi occhi plumbei, che nel sogno l'avevano osservato con rimprovero e rammarico, ora colmi di preoccupazione.

Dovette sbattere le palpebre più volte per riuscire a distinguere la sua immagine reale da quella onirica e riuscire a capire che cosa la ragazza gli stesse dicendo.

– Ho cercato di svegliarti il prima possibile, ma non riuscivi a sentirmi. – La sua voce gli risuonava nelle orecchie con un'eco martellante, e non appena quest'ultima lo aiutò a trarsi a sedere fu travolto da un'ondata di nausea.

Avrebbe voluto rassicurarla, o almeno assicurarsi che stesse bene e che non fosse stata davvero ferita a morte da un sai, ma quell'ondata di malessere lo costrinse a scansarla in malo modo e a precipitarsi in bagno.

Riuscì a raggiungere il gabinetto appena prima di essere costretto a piegarsi su se stesso, scosso da una serie violenta di conati.

Era sconvolto e disgustato dalle immagini che aveva appena visto nei suoi sogni, ma più di tutto, era pieno di ribrezzo verso se stesso. Il sogno gli aveva solo mostrato quello che per anni non aveva voluto affrontare, ovvero il senso di colpa per la morte dei propri genitori e, soprattutto, il terrore che un episodio del genere potesse ripetersi.

L'attacco di nausea lo aveva lasciato stordito e senza forze, perciò non percepì i passi leggeri di Luana alle sue spalle e sobbalzò, quando avvertì le sue dita scostargli con gentilezza i capelli dal volto sudato, per evitare che si sporcassero.

– Per favore, torna in camera. – La supplicò a fatica, tra una serie di conati e l'altra. – N-non c'è bisogno che tu mi veda... in questo stato.

La giovane non si degnò nemmeno di rispondergli e, come prevedibile, non si mosse di un millimetro, limitandosi ad accarezzargli con fare gentile la schiena per alleviare, almeno in parte, le sue sofferenze.

Kisshu avrebbe voluto sottrarsi a quel gesto, soprattutto dal momento che parte del suo malessere era causato proprio dal senso di colpa che provava al pensiero di averle fatto del male, seppur solo in sogno; ma proprio in quel momento una nuova ondata di nausea lo colpì, costringendolo ad ammutolire e a rimandare a più tardi ogni tentativo di conversazione.

Non seppe con esattezza quanto tempo trascorse abbracciato al gabinetto, piegato dai conati e scosso da brividi intensi di freddo. Tuttavia, poco per volta, la sensazione di disgusto e malessere che lo aveva attanagliato iniziò a scemare, lasciandolo esausto ma decisamente più lucido e consapevole di quello che stava accadendo attorno a sé.

– Va meglio? – gli domandò la Mew alien, vedendolo sollevare con cautela il capo dalla superficie del water.

Quello annuì appena, per poi domandare con voce roca: – Tu stai bene?

– Hai appena vomitato l'anima dopo esserti svegliato urlando come un ossesso, e chiedi a me se sto bene?

Udire quel commento pronunciato in maniera così schietta gli strappò un sorriso divertito, nonostante si sentisse ancora abbastanza scosso e spossato dall'accaduto. – Non hai tutti i torti. – Tuttavia, non riuscì ad esimersi dal lasciar correre lo sguardo sul corpo della giovane e dall'esalare un tenue sospiro di sollievo quando non trovò alcuna traccia di ferite o di sangue.

Sebbene a Luana non fosse sfuggito lo sguardo ansioso che quest'ultimo le aveva rivolto, così come il fatto che si fosse assicurato di evitare a tutti i costi di incrociare i suoi occhi, come se ne avesse paura, per il momento ritenne più saggio dare la priorità alle sue condizioni di salute. – Vuoi provare ad alzarti in piedi e a sciacquarti nel lavandino? – gli domandò, porgendogli il braccio in una muta offerta di sostegno.

Per la verità dopo la spiacevole esperienza appena vissuta, Kisshu avrebbe pagato oro per potersi fare una doccia, ma non appena cercò di sollevarsi, nonostante il supporto ricevuto, la testa riprese a girargli e le gambe minacciarono di cedere sotto il suo peso. Così si rassegnò a darsi solo una ripulita sommaria.

– La tua veste è tutta bagnata. – gli fece notare la Mew alien, mentre con un panno imbevuto di acqua tiepida lo liberava dai residui di sudore rimasti sulla sua pelle. – Dovresti cambiarti, o rischi di prenderti un malanno.

– Sì buona idea, per fortuna Keiichiro dovrebbe avermi lasciato dei vestiti di ricambio da qualche parte nell'armadio. – Kisshu reagì con prontezza a quella richiesta, togliendosi con un gesto fluido la veste sudata e abbandonandola in un angolo.

Ancora stordito a causa dell'attacco di nausea, si rese conto di quello che aveva fatto solo quando, non udendo alcuna replica alle sue parole, si voltò a guardare la propria protettrice e la trovò pietrificata dall'imbarazzo, la faccia congestionata e gli occhi calamitati dal suo petto nudo.

Non era mai stato una persona che si vergognava nel mostrare il proprio corpo agli altri, ma per qualche motivo, il desiderio latente che lesse nel suo sguardo in quel momento, lo fece sentire a sua volta a disagio, esposto. Subito tentò di ricoprirsi, balbettando qualche scusa incoerente, ma a quel punto lei era già corsa fuori, forse per trarlo dall'impaccio, forse per non essere costretta a sostenere una conversazione imbarazzante.

"Che diavolo sto combinando? Se avessi un po' di sale in zucca dovrei allontanarla da me, non farmi prendere dai bollenti spiriti."

Guardando la propria immagine sciupata allo specchio, Kisshu si lasciò sfuggire un sospiro amaro, riscoprendosi ad odiare ogni singolo dettaglio di quel riflesso. Aveva cercato di fuggire per anni dal suo passato, ma da quando aveva salvato Alain e Sarah non era più riuscito a togliersi dalla testa le immagini dei suoi genitori, che invece non avevano avuto la stessa fortuna.

"Sei tu il mostro. Li hai uccisi tu."

Quelle parole continuavano a risuonare nella sua mente come una maledizione senza fine, facendogli desiderare di non esistere, di non sentire più nulla.

– Kisshu!

Trasalì, riportato bruscamente alla realtà dalla voce accorata della Mew alien, che nel frattempo doveva essere rientrata in bagno e ora, notò, lo stava osservando con aria di palese preoccupazione.

– Stavi fissando lo specchio con lo sguardo perso nel vuoto. – osservò, parandoglisi davanti e esaminando il suo volto come se sperasse di trovare una risposta a un enigma. – Stai ancora male?

Nel rilevare il suo tono colmo di sincera preoccupazione, ancora una volta, Kisshu fu attanagliato dal senso di colpa e non riuscì a sostenere il suo sguardo. –No, sto meglio ora. Grazie per i vestiti. – mormorò, affrettandosi a dirigere la sua attenzione verso l'involucro che la giovane gli stava porgendo, per non essere costretto a rispecchiarsi in quelle pozze color antracite.

Nonostante la risposta poco convincente del suo interlocutore, la ragazza per qualche motivo non insistette. – Va bene, chiamami quando avrai finito di cambiarti.

L'insoddisfazione sul suo volto risplendeva chiara come il sole, ed era anche palese che stesse aspettando solo il momento propizio per indagare più a fondo, ma Kisshu le fu comunque grato per il supporto e la discrezione che stava dimostrando in un momento così delicato.

Mentre ingaggiava una lotta all'ultimo sangue per allacciarsi i bottoni della camicia, che sembravano essere stati progettati per fare impazzire chiunque tentasse di chiuderli, si ritrovò a esalare un nuovo, esausto sospiro.

Non poteva più scappare da se stesso; doveva fare i conti con la realtà. E la realtà era che la presenza costante e rassicurante di Luana, con il passare dei mesi, si era fatta sempre più indispensabile per lui, nonostante avesse cercato di nasconderlo e di negarlo con tutte le proprie forze.

La sensazione di avere qualcuno accanto, qualcuno che, nonostante tutte le sue mancanze e i suoi sbagli, avrebbe continuato a offrirgli supporto e comprensione, gli era del tutto nuova e lo attraeva come una falena verso il fuoco, ma al tempo stesso lo spaventava perché temeva di non meritarlo.

Anzi, sapeva con certezza che qualcuno come lui non poteva meritare un affetto così puro e sincero come quello che la giovane gli offriva ogni giorno.

Una volta ultimato di vestirsi, con il cuore appesantito, si diresse verso l'uscita del bagno, scoprendo con sollievo che le sue gambe sembravano aver riacquistato una stabilità sufficiente da consentirgli di muoversi da solo.

Come prevedibile, non appena attivò il pannello scorrevole che lo separava dalla camera, trovò la ragione dei suoi tormenti ad attenderlo, con quei suoi dannati occhi grigi pronti a scrutarlo per divorargli l'anima.

– Sto meglio adesso. – La informò, ostentando una costruita indifferenza, che minacciò di andare in frantumi dopo pochi secondi, dato che lei a quel punto si alzò dal letto con un gesto fluido, venendogli incontro e tendendo le braccia verso il suo volto.

Per un attimo si irrigidì, pensando che volesse stringerlo in un abbraccio. Tuttavia, quest'ultima si limitò a far scorrere le dita sui bordi della camicia, sistemandogli il colletto spiegazzato.

– Non hai mai messo una camicia, immagino. – commentò, con l'aria compiaciuta di chi la sa lunga.

– Si nota tanto? – esalò l'altro, cercando con tutto se stesso di non pensare a quanto i loro volti fossero vicini in quel momento e a quanto il suo profumo fosse inebriante. Dio, quanto avrebbe voluto baciarla.

– Ti sei impegnato con i bottoni, ma il colletto storto ti ha- – Luana, che nel frattempo lo stava ancora prendendo in giro, notando il suo sguardo farsi più scuro e lucido di desiderio, s'interruppe, per poi domandare in un sussurro: – Va tutto bene?

Quella semplice domanda, per fortuna, fece tornare l'alieno in sé abbastanza da consentirgli di allontanarsi da lei e sedersi sul proprio letto, a una saggia ma dolorosa distanza di sicurezza.

Tuttavia, la sua improvvisa fretta non sfuggì alla giovane, che a quel punto si voltò a guardarlo con fare indagatore. –Va bene, mi sembra chiaro che c'è qualcosa che non va. – esordì, sedendosi sul materasso di fronte a lui e incrociando le braccia, in attesa. – È da oggi pomeriggio che sei strano e i miei polsi continuano a pizzicare a intermittenza. Posso sapere cos'è successo o devo tirare a indovinare come sempre?

L'acredine nelle sue parole era inequivocabile e Kisshu sapeva di meritarne ogni grammo, vista la reticenza che aveva dimostrato in passato nell'aprirsi con lei.

Non poteva più mentirle; per quanto fosse doloroso per la sua mente abbassare le proprie difese e scoperchiare quel vaso di Pandora che era il suo passato, stavolta non aveva scelta. Era l'unico modo per allontanare la ragazza da sé e tenerla al sicuro.

– Oggi sono andato da Kevin. – riuscì a confessare infine, in un sussurro. – So che ti avevo promesso che avrei aspettato e che lo avremmo fatto insieme, ma Shirogane non ha voluto rinunciare a una seconda Mew Mew per pattugliare la zona, perciò ero la persona più indicata-

– Lo sospettavo. – lo interruppe la giovane con voce piatta, cogliendolo alla sprovvista. – Sospettavo che ci fossero le parole di quel subdolo manipolatore dietro a tutto questo. Che cosa è successo?

Incoraggiato dalla sua reazione fredda, ma pacata, il giovane prese coraggio e le raccontò ogni cosa: dal rifiuto di Kevin di fornire informazioni a meno che i suoi nemici non avessero acconsentito a garantirgli una morte rapida, fino alle parole che quest'ultimo gli aveva sussurrato malignamente all'orecchio, senza che nessun altro lo sentisse.

Luana reagì solo quando lo sentì pronunciare la parola "mostro", rabbrividendo e stringendosi nelle spalle. – E tu gli hai creduto?

Kisshu sospirò, permettendosi per la prima volta di incrociare i suoi occhi grigio scuro e rivolgendole un sorriso spento. – Il punto non è se gli ho creduto. Il punto è che è vero. – mormorò con voce spezzata. – Ed è per questo che, da ora in avanti, è meglio che tu stia lontana da me. 

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro