44. Biglietti

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CORRETTO 

Mi fiondo sulle sue labbra, poso delicatamente le mani sulle sue guance e mi lascio trasportare da ciò che sente il mio cuore, senza pensare alle future conseguenze e ai milioni di problemi che continuerò a costruire, ma che saranno fragili come castelli di sabbia.

Mi sono lasciata andare solo perché ho visto dentro ai suoi occhi lo stesso desiderio, non ho paura di un rifiuto nonostante il discorso che mi ha fatto sul rimanere amici.

Lui mi accarezza delicatamente i capelli come a prendersi cura di qualcosa a lui prezioso. MI fa sentire al sicuro nonostante sia sbagliato tutto questo, mi fa sentire importante e, soprattutto, qualcosa di più di un'amica.

Ma per quanto sia bello baciare quelle labbra carnose e rosee di natura, mi costringo a fermarmi per leggere nei suoi occhi la sicurezza di cui ho bisogno come ad accertarmi di non aver fatto una brutta figura.

<<Perché ti sei fermata?>> chiede col fiatone.

<<Io... io>> ci penso bene prima di parlare ma suoi occhi curiosi mi spingono a farlo <<Pensavo alle parole che mi hai detto in palestra, sul fatto di essere amici>>

Dylan abbassa lo sguardo mentre serra le labbra in un linea dritta. Poi mi guarda di nuovo e quegli occhi color ghiaccio mi lasciano senza parole, senza respiro, senza sicurezze.

<<Le ho dette solo perché pensavo che così ti avrei tolta definitivamente dalla testa>> il cuore accelera di battiti e uno strano calore comincia a diffondersi per tutto il petto <<Ma mi sbagliavo perché ti sei appropriata di qualcosa di più complicato>> sento quella caloria raggiungere le guance e scommetto la qualsiasi che sono totalmente rossa in viso.

<<Mi hai rubato il cuore Bianca>> il mio, di cuore, invece fa una capriola per poi riprendere la corsa tanto che per un secondo credo mi stia per uscire dalla gabbia toracica.

Non mi trattengo ancora per via delle sue parole,per via della forte attrazione che provo nei suoi confronti, per via di quei suoi occhioni che per la prima volta vedo sinceri con la sua anima e i suoi sentimenti.

Lo bacio ancora e lui non si tira certo indietro, anzi, intensifica sempre di più il nostro bacio proibito. Mi sento scoppiare di felicità e per adesso preferisco pensare solo a questo.

Ma la mattina dopo non è questo quello che penso, al contrario, sono un fascio di rimpianti e nervi a mille. Mi rotolo tra le coperte nella speranza di spazzare via i pensieri ma non ci vuole tanto per accorgermi che non funziona. Salto scuola solo per dedicare del tempo a me stessa e a riordinare le idee, capire ciò che sento.

Dylan mi manda dei messaggi, a cui ovviamente non rispondo, ma che comunque mi fanno nascere un sorriso. Non andrò a lavoro oggi, mi darò per malata.

All'improvviso mi torna in mente qualcosa che dovevo fare qualche giorno fa ma che per ovvi motivo ho dimenticato di controllare. Faccio una giravolta sul letto e apro il cassetto del comodino in legno bianco accanto al mio letto. Estraggo il telefono di Dylan e controllo la rubrica rimasta immutata dal giorno in cui l'ho "preso in prestito".

Il cuore salta un battito quando, scorrendo col dito, trovo il nome. Clicco sull'icona dei messaggi e la chat si apre. Mi sento tremare le gambe e, nonostante io sia seduta, credo di cadere da un momento all'altro.

Sono i messaggi che ci siamo scambiati io e quel numero sconosciuto. Tutte quelle frasi, tutte quelle parole tanto lontane dalla persona che conosco io, ma forse tanto vicine, tanto intime, alla persona che è veramente.

I pezzi cominciano a combaciare, collegamenti si vengono a creare nella mia mente: le sue parole alla festa "...nemmeno una bella ragazza come lei riesce a togliermi dalla testa quella che già ho", me lo ha detto tanto tempo fa ed io non sono riuscita a capire di chi si trattasse ma, evidentemente, sono io.

Mi aveva in testa già da tempo e, probabilmente, usava i messaggi per portarmi nella parte più profonda di lui ma, allo stesso tempo, per non mostrare il difuori di quell'anima normale come tante ma profonda come poche.

Metto una mano sul cuore per cercare di calmare il battito ma sembra tutto inutile, poi inizio a sorridere come una bambina a cui hanno detto che presto andrà al parco giochi.

Ma la mia favola ad occhi aperti finisce con l'infrangersi per via del campanello che suona e rimbomba per tutta la casa. Sobbalzo un po' prima di correre alla finestra e cercare di spiare chi sia: è Matt. Mi poggio al muro e stringo forte il telefono al petto, sperando che mio fratello risponda al posto mio. Gli ho detto esplicitamente di dire che non sono in casa a chiunque fosse venuto oggi a cercarmi.

Dopo qualche minuto, controllo dalla finestra e vedo Matt grattarsi la nuca e allontanarsi da casa mia. Tiro un sospiro di sollievo.

Alex bussa alla porta.

<<Un attimo>> gli grido da dentro la stanza mentre corro a nascondere il telefono di Dylan poi, con un colpo di reni, mi alzo dal letto e vado ad aprire la porta.

<<Che c'è?>>

<<Era Matt, ti cercava>> si poggia allo stipite della porta e mi osserva con sguardo accusatorio <<Che combini?>>

<<Nulla perché?>>

<<Perché hai tutta l'aria di qualcuno che nasconde qualcosa>> mi incalza.

<<Allora siamo in due... Hai qualcosa da dirmi?>> incrocio le braccia al petto e sorrido sicura. Le sue sicurezze vacillano ma si riprende con stile.

<<E va bene, mi hai scoperto>> alza le mani in segno di resa, sembra stia per parlarmi del college ma il suo tono tende al sarcastico <<Sono stato io a mangiare l'ultimo pacco dei tuoi biscotti preferiti>> posa una mano sul cuore e mi rivolge uno sguardo dispiaciuto.

Gli tiro un colpetto sul braccio e lui scoppia a ridere.

<<Sei uno stronzo>> dico indignata <<...E patetico, uno stronzo patetico>>

Lui cerca di allontanarsi probabilmente perché non vuole affrontare la discussione, capendo la direzione dei miei pensieri.

<<Alex, sono seria>> la mia voce lo fa bloccare nel bel mezzo del corridoio <<Hai provato a fare domanda alla Columbia?>> si volta di scatto e mi guarda stupito.

<<Hai spiato il mio computer, vero?>> sorride della mia infinita curiosità. Io, invece, faccio spallucce e sorrido a disagio.

Alex avanza verso di me continuando a ridere e scuotendo nel frattempo la testa fino ad arrivare faccia a faccia.

<<Non so se voglio andarci, in fin dei conti ci sono molte altre università qui vicino e molto meno costose>>

<<E' per i soldi, non è così?>>

Alex sembra essere improvvisamente interessato alle sue scarpe che trova più attraenti della mia faccia. Si stritola le mani, poi passa a massaggiarsi il collo in un tic nervoso.

Alla fine posa gli occhi nei miei, quei bellissimi occhi verdi mi sorridono insieme alle sue labbra curve verso l'alto. Si avvicina di un passo e posa le mani sulle mie spalle.

<<Non fa nulla Bianca e poi non so se mi sentirei a mio agio in mezzo a tutti quei figli di papà>>

<<Ma- >> mi interrompe subito perché sa perfettamente che non lo lascerei più andare <<Niente "ma" Bianca, va benissimo così>> mi lascia un bacio delicato sulla fronte e poi se ne va ma solo dopo avermi dedicato un sorriso.

Sospiro.

Il giorno dopo vado a scuola da sola, anzi, in compagnia delle mie fidate cuffiette. Mi sono accertata che Matt uscisse prima stamattina, ma non dopo essere passato davanti casa mia e cercato con lo sguardo il mio affacciato dalla finestra per una bella boccata d'aria mattutina.

Arrivo a scuola quasi in ritardo ma non gli do molto peso. Mi dirigo a passo svelto verso il mio armadietto, camminando per il corridoio in controcorrente. Comincio ad estrarre i libri che ho portato poiché in prossimità della mia meta ma quando alzo gli occhi incrocio subito lo sguardo del ragazzo che si è impossessato dei miei pensieri. Il cuore fa una capriola.

Dylan è fermo in mezzo al corridoio, alla fine, con la mano destra che tiene la manica del suo zaino su una sola spalla e che punta i suoi occhioni azzurri nei miei fregandosene di tutti quegli studenti che passano davanti a lui.

Continuo a mantenere lo sguardo fisso finchè qull'orda di studenti non diminuisce sempre di più fino a rimanere meno di una dozzina. Rimaniamo solo io e lui in quell'immenso corridoio, ora che è libero. Comincia ad avanzare. Ansia, è questa la prima cosa che sento.

Il cuore aumenta ancora, ancora e ancora ad ogni passo che compie e ad ogni centimetro che dimezza la nostra distanza. Sento le gambe molli, le guance andare in fiamme per via di quello sguardo penetrante ma gelido allo stesso tempo e che mi manda nella più totale confusione, o forse sto solo immaginando tutto.

Ancora qualche metro.

Vorrei sorridergli, corrergli incontro o strillare dalla felicità di rivederlo dopo due giorni. Mi è mancato vedere i suoi profondi occhi, il suo naso perfetto, le sue labbra carnose e quei capelli scompigliati come sempre e dove immagino ogni volta di sprofondare con le mie mani.

La distanza è minima adesso, ma sono ancora in tempo per scappare ed evitare il problema. I miei muscoli, però, non sono dalla mia parte e mi costringono a rimanere immobilizzata davanti alla sua figura sicura e decisa.

Alzo la testa per poter continuare quel gioco di sguardi e rimango in quella posizione perché è già arrivato davanti al mio viso.

Il suo profumo di bagnoschiuma al mango, mischiato ad una sigaretta fumata sicuramente stamattina prima di entrare a scuola e al profumo che è solito mettersi, mi stuzzica dolcemente le narici e non mi aiuta col mio autocontrollo.

<<Ieri non sei venuta a scuola e nemmeno a lavoro... è per via di quello che è successo l'altra sera?>> mi domanda, un po' intimorito dalla mia possibile risposta.

Io mi guardo intorno per accertarmi che non ci sia nessuno e dico nessuno che ci possa vedere.

<<Avevo solo bisogno di riflettere, tutto qui>> scrollo le spalle in un gesto nervoso, poi mi rivolgo al mio armadietto che non riesco ad aprire subito. Dylan rimane ad osservarmi senza dire una parola.

Quando con uno strattone riesco ad aprire l'anta ecco che cadono come coriandoli mille bigliettini, o meglio, delle vere e proprie lettere. Faccio un passo indietro per non venir sommersa da quella marea di pezzi di carta mentre Dylan si accovaccia per prenderne uno e lo apre accuratamente.

<<Cosa sono tutte queste lettere?>>

<<"Le rose sono rosse, le viole sono blu, vuoi venir al ballo? Pensaci un po' su">> Dylan inizia a leggere con una smorfia mentre io ascolto attentamente <<Ma chi è che scrive ancora queste cose?>> dice quasi schifato. Gli tolgo la lettera di mano e la rileggo per conto mio. Sorriso per la tenerezza del gesto.

<<Ma smettila, è stato carino ed originale>>

Lui sospira e alza gli occhi al cielo, poi ne prende un altro ed io lo imito, ma nessuno dei due legge cosa c'è scritto.

<<A quanto pare sei stata invitata>> dice quasi in un sussurro mentre continua ad osservare ipnoticamente quel foglietto che ha tra le mani.

<<Dovrò solo decidere con chi andare>> gli tolgo dalle mani il biglietto e mi accovaccio per prendere tutti gli altri che sono a terra, lui mi aiuta. Li caccio in borsa e stasera deciderò.

Subito dopo corriamo ognuno verso la nostra classe, senza aggiungere nulla sul nostro bacio segreto. Per il resto della giornata, poi, cerco in ogni modo di evitare Sofy e fin lì è pure facile, dal momento che è ancora impegnata con le ultime decorazioni per il ballo di domani.

Ma evitare Matt non è affatto facile, sa i miei nascondigli, le persone con cui parlo e i soliti posti in cui passo le mie giornate quando non sono a lezione. Non è il mio stalker ma solo il mio migliore amico e so di non starmi comportando come tale nei suoi confronti.

Ma lui sa perfettamente decifrare i miei sguardi e sono sicura al cento per cento che riuscirà a capire cosa mi turba così tanto da arrivare ad ignorarlo. E ho paura di questo. La paura mi sta facendo scappare da tutti e restare senza nessuno. Sono solo una povera codarda che non riesce a guardare la sua amica negli occhi e dirle che ho baciato il suo ragazzo.

Il pomeriggio mi ritrovo sul mio letto, seduta a gambe incrociate e le braccia poggiate su di esse con entrambi i pugni che sprofondano nelle mie guance, ad osservare le lettere trovate dentro al mio armadietto. Non so con chi andare, la metà di questi non li conosco e non sono la tipica ragazza che si mette a suo agio con molta facilità con le persone che non conosce.

Così decido di andarci con l'unica persona che mi sembra sia più consona in questo contesto. Afferro il telefono e gli mando un messaggio.

Dopodiché mi preparo per andare a lavoro. Scendo velocemente le scale e, prima di andare, mi concedo del tempo per dare un bacio sulla guancia a mia madre. Ultimamente è più felice e se lei lo è, anch'io lo sono.

Arrivo al ristorante puntuale come un orologio svizzero, mi cambio nei camerini e sono pronta per lavorare. Dopo poco arriva pure Dylan, con cui non scambio nemmeno una parola per essere professionale, e con lui anche il rumore lontano e rimbombante dei tuoni che squarciano il manto blu.

Facciamo ciò che ci è di dovere finché l'orario prestabilito non arriva e il ristorante chiude. Stavolta aiuto a mettere a posto la sala principale così da poter tornare a casa prima.

Una volta finito il tutto sento già l'odore di libertà che proviene dall'uscita di questo ristorante, ma una volta aperta la porta noto che sta diluviando. Dannazione, non ci voleva. Ognuno dei miei colleghi se ne va via da lì ma non prima di avermi chiesto del perché mi fossi bloccata davanti all'entrata. Mi limito a dire che aspetto mio fratello.

Sento una risata dietro le mie spalle. Mi volto di scatto e trovo Dylan dietro di me che se la ride per le mie bugie. Quel sorriso mi fa venire un giramento di testa improvviso e un battito mancato. Rimango pietrificata davanti alla sua figura. Poi avanza.

<<Si dà il caso che neanche io ho la macchina, quindi vuoi che rimaniamo qui finché non smetterà di piovere?>>

<<Si?>> odio il bagnato ed è pazzo se pensa che io mi butterò sotto la pioggia.

Lui mi guarda divertito, come se ridesse già della mia reazione a qualcosa che sta per fare. Si morde il labbro inferiore mentre un accenno di sorriso gli illumina il volto.

All'improvviso scatta in avanti, verso la porta d'uscita, e la spalanca senza importarsene di far danno.

<<Ma che fai?>> gli grido io.

Comincia a correre sotto la pioggia e, con la testa rivolta verso il cielo, apre la bocca dando il permesso alle gocce di pioggia bagnargli la lingua. Spalanca le braccia, comincia a girare su se stesso in modo molto lento, respira a pieni polmoni l'aria fresca della serata insolita. La maglietta bianca gli si incolla alla pelle, si vedono quasi perfettamente tutti i muscoli allenati dell'addome ma lui sembra fregarsene.

Si ferma davanti a me e riapre gli occhi che aveva chiuso. I capelli gli ricadono sugli occhi, gocciolano dalle punte delle ciocche delle grosse gocce di pioggia, altre invece colano dalle sue guance fino a schiantarsi sul suo petto e altre ancora cadono dalla punta del naso.

<<Ti giuro che è più divertente se vieni qui>> mi dice con lo stesso sorriso eccitato di prima, consapevole di star facendo una pazzia.

E lo raggiungerei solo perché è lui a chiedermelo, sono curiosa di provare ancora quella sensazione che mi fa sentire viva, riprovare quella leggerezza tipica del suo lato da spirito libero. Mi aspetta lì, perché è sicuro che io verrò. E così faccio. Mando al diavolo quella razionalità che mi caratterizza, abbandono ogni pensiero razionale che mi sembra urlare all'orecchio e corro verso di lui ridendo come una bambina.

Lui ride insieme, poi mi prende per mano ed iniziamo a correre per le strade. Non so dove mi stia portando ma mi fido di lui. Corriamo, corriamo così tanto che i polmoni me li sento esplodere, i muscoli delle gambe bruciare per lo sforzo eccessivo, ma la sua mano che stringe la mia mi da la forza necessaria per andare avanti, per continuare a fare questa pazzia a cui non sono abituata.

Prendiamo la metro e riprendiamo fiato mentre gli occhi di tutti i passeggeri sono puntati su di noi, alcuni col sorriso compiaciuto e altri con espressione sprezzante. Io e Dylan ridiamo della nostra brutta figura.

Al momento opportuno scendiamo ad una fermata e iniziamo a correre di nuovo sotto la pioggia. Arriviamo al parco e passiamo per l'entrata segreta che Dylan conosce. Col fiatone mi informa di una casetta in legno dove ci tenevano gli attrezzi ma che noi utilizzeremo per ripararci finché non finisce la pioggia.

Dylan si china sui cespugli e cerca qualcosa tra essi mentre io aspetto in disparte. Dopo pochi minuti si alza e in mano regge una chiave che, subito dopo, utilizza per aprire la porta. Entriamo senza aspettare oltre. E' piena di polvere, ragnatele, e non posso non notare delle coperte sparse per terra come se fossero lì pronte all'uso nel caso di bisogno.

Che venga qui spesso? 

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