6. Dolore

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CORRETTO

«Buongiorno ragazzi, sono contento di vedervi entrambi rispettare la punizione che vi ho dato. Come procede?» chiede il preside una volta arrivato al nostro tavolo.

Dylan ignora completamente la sua presenza tanto da non degnarlo nemmeno di uno sguardo. Continua a giocherellare con le dita e a muovere convulsamente la gamba destra.

«In realtà stavamo per iniziare, non è così Dylan?» abbozzo un sorriso di circostanza mentre sposto la mia attenzione sul ragazzo in questione.

Adesso è il mio turno di essere ignorata in quanto Dylan non risponde alla mia domanda ma si volta di scatto verso il preside, con l'espressione totalmente indurita dal nervosismo: «Scusi ma questo non lo accetto. Quando ho accettato la condanna non ci aveva avvertito di questa clausola» la mano poggiata sul tavolo si chiude subito in un pugno.

Trattieni la rabbia, Collins, potresti cacciarci in guai più seri.

«Credo tu abbia ragione Collins e credo anche di aver dimenticato di precisare che, dopo questi mesi di recupero, dovrai sostenere un esame per dimostrare che sei migliorato davvero. Credo di aver dimenticato di dire che se non lo superi, verrai espulso da questa scuola. La MIA scuola» tuona ad una manciata di centimetri dalla faccia di Dylan, il quale serra la mascella e assottiglia gli occhi a tal punto da nascondere il colore cristallino dei suoi occhi.

Il preside non demorde e continua: «Sembra proprio che io non ne abbia parlato durante il colloquio, che sbadato. Che dici, sarà l'età?»

Conclude così il suo monologo: tornando in posizione eretta e avviandosi verso l'uscita con un sorriso vittorioso stampato in volto, mentre con le mani passa ad aggiustarsi la giacca nel punto preciso in cui due bottoni uniscono le due parti.

«Buon lavoro signor Collins e non si scordi il test finale» lo canzona mentre supera la porta e se la richiude alle spalle. Io non riesco a distogliere lo sguardo dal punto in cui il preside si trovava due secondi prima, ma i miei sensi mi avvertono di uno sguardo pungente addosso.

«Se mi trovo in questa situazione è solo colpa tua» la voce bassa di Dylan mi risveglia dallo stato di trance e non appena mi volto verso di lui, i suoi occhi rabbiosi incatenano i miei trafiggendoli con migliaia di fiamme roventi.

«Colpa mia? Dici sul serio? Non sono di certo io la responsabile della tua "quasi espulsione"! Dovevi pensarci prima a non fare tutte quelle cavolate solo per sembrare un duro agli occhi degli altri!» sussurrai con veemenza.

Ringrazia il cielo che siamo in biblioteca Collins, perché non ci avrei pensato un attimo ad urlarti in faccia con tutta la forza che nascondo dentro.

Faccio un grande sospiro prima di chiudermi in un silenzio momentaneo per sbollire la rabbia.

«Avrei voluto rispondergli per le rime» mormora Dylan nel vano tentativo di smorzare la tensione.

«Già, sarebbe stata una cosa molto da Collins» controbatto acida senza degnarlo di uno sguardo.

«Ho detto che avrei "voluto", non "dovuto": so benissimo che avrei peggiorato la situazione. Sono duro, non stupido e i tuoi sono solo pregiudizi, Anderson» continua lasciando comparire sul suo volto un sorriso involontario.

«Senti Collins, - mi sistemo meglio sulla sedia di legno che mi ospita da almeno dieci minuti- tu non piaci a me e io chiaramente non piaccio a te. Siccome dobbiamo passare insieme molto tempo ti chiedo solo di collaborare, dammi tregua almeno tra queste mura. Un bel sorriso non basta, dovrai impegnarti un po' di più» dico tutto d'un fiato.

«E sentiamo, come fai a sapere che non mi piaci, ragazzina?» mi chiede inclinando il capo da un alto e indossando uno sguardo ammiccante. Nel tentativo vano di nascondere quel maledetto sorriso, intrappola il labbro inferiore in una morsa stretta.

Non fissare quelle labbra peccaminose Bianca, finirai col farti scoprire e Dylan ti prenderebbe in giro a vita per questo.

Tum.Tum.Tum.

Cos'era quello? Il mio cuore che perdeva un battito? Impossibile Bianca, te lo sarai immaginato. Quelle labbra ti stanno mandando in confusione il cervello.

«Ma smettila Collins, a quelli come te non piacciono quelle come me: è una legge» rispondo cercando di allontanare il suo viso dal mio, che nel frattempo si è avvicinato pericolosamente. Sono io che sento caldo o è questa stanza ad avere i riscaldamenti troppo alti? Qualunque sia la risposta, le mie guance arrossiscono violentemente.

«E dimmi, che genere di persona sarei io?» mi stuzzica, riportandosi vicino al mio volto e iniziando a fissare le mie labbra.

Dì qualcosa Bianca, non permettergli di avere tale potenza su di te. Parla adesso e fai in modo che si allontani da te: è pericoloso per te e il tuo cuore.

«Sei arrogante, presuntuoso, vanitoso, egocentrico e non so mai cosa ti passa per la testa» ammetto spavalda.

Gli occhi di ghiaccio del ragazzo davanti a me vengono attraversati da un invisibile lampo di amarezza e quel sorrisetto muore all'istante.

Ti ho ferito, Dylan? Ti hanno fatto così male le mie parole? Se così fosse, mi dispiace tanto Collins, ti giuro che io non sono questa.

Perché mi sto scusando? Non dovrei, eppure mi sento in dovere di farlo. Ma quelle scuse sono rivolte a lui o al riflesso di me che vedo dentro ai suoi occhi di ghiaccio, cercando di convincermi che io sono altro?

Dylan torna composto sulla sedia prima di tirare fuori il libro. È ora di iniziare a lavorare se vogliamo uscire di qui il prima possibile.

~~~~

Dopo quello scambio di frasi pungenti, la lezione è proseguita senza troppi intoppi e questo devo ammettere che ha ribaltato completamente le aspettative che avevo prima di iniziare. Nonostante Dylan non avesse voglia, mi ha ascoltato attentamente e l'ho beccato qualche volta ad esultare come un bambino quando gli riusciva un esercizio di matematica.

Potrei averlo giudicato male? Questo potrebbe essere uno di quei casi in cui il vero Dylan Collins non è quello che mostra agli altri? Non lo so, ma proverò a scoprirlo. La curiosità è troppa da mantenere chiusa dentro lo stomaco e lasciare che questa lo divori lentamente.

Mancano ormai cinque minuti alla fine della lezione e il mio compagno non la smette di picchiettare rumorosamente la penna che ha in mano sul tavolo della biblioteca.

«Qualcosa non va? Sei nervoso?» chiedo senza pensare, mentre scrivo il risultato dell'ultimo esercizio di matematica che abbiamo fatto.

«No, devo solo fare una cosa e non posso arrivare in ritardo» risponde distratto e osserva insistentemente l'orologio posto sulla porta d'uscita.

«La tua ragazza non può attendere qualche minuto fuori dalla scuola?» lo canzono, scherzosamente.

«Chi ti ha detto che sono fidanzato?» domanda in bilico tra l'allibito e il divertito.

«Voci di corridoio» rispondo secca.

«Cara Bianca, sei solo una ragazzina ingenua. Ci sono cose molto più serie di una stupida fidanzata» esclama senza peli sulla lingua.

«Stai scherzando vero?»

Si alza di scatto dalla sedia, facendo perno sulle mani spalmate sulla superficie lignea del tavolo. Afferra lo zaino poco distante da lui in un movimento veloce.

«Ti sembra che io stia scherzando?- si blocca dal conservare i libri per indicare con un dito il suo volto assolutamente serio- Mettiamo le cose in chiaro ragazzina; per prima cosa non abbiamo una confidenza tale per poterci raccontare qualsiasi cosa e in secondo luogo io odio gli interrogatori» riprende.

«Hai ragione ma...»

Iniziò, ma lui non mi lascia finire: «Ma niente. Smettila. La curiosità uccise il gatto, ragazzina» mi guarda con un sorrisetto strafottente e poi esce dalla sala, lasciandomi lì da sola.

Ti sbagli se pensi di potermi lasciare da sola e con un discorso sospeso a metà, Collins.

In fretta e furia metto il materiale nella borsa e inizio a correre per il corridoio principale, ma di lui non c'è più traccia. Devo sapere che cosa sta combinando, magari riuscirò a farlo ragionare se dovesse trattarsi di qualcosa di losco.

Non appena spalanco il portone della scuola, il venticello fresco di un qualunque pomeriggio di fine settembre si schianta contro il mio volto facendomi trasalire un po'. Con lo sguardo cerco disperatamente quello di Dylan e fortunatamente ci impiego solo qualche secondo per trovarlo. Si trova dall'altra parte della strada che è coperta da un manto di ombre prodotte dagli alberi prorompenti dietro, mentre è intento a parlare con un uomo vestito di scuro e che al naso porta dei grandi occhiali scuri, i quali non mi permettono di cogliere nessun particolare del viso.

D'istinto stringo la borsa e senza accorgermene trattengo il respiro temendo il peggio.

Chi sono quegli uomini, Dylan? Ti stai mettendo in pericolo?

Si guardano in modo serio, quasi come fossero infastiditi di vedersi ma che cause più grandi li hanno costretti ad incontrarsi qui, oggi. Si scambiano qualche parola, poi una stretta di mani suggella un accordo segreto e i cui testimoni sono solo gli alberi. Dopodiché si dividono dirigendosi in direzioni opposte, mentre l'uomo infila qualcosa nella tasca interna del suo giubbotto.

Che gesto strano.

~~~~

Cammino per le strade di Los Angeles da alcuni minuti ormai e per evitare di pensare alla scena a cui avevo assistito poco prima, ho deciso di concentrarmi sulle persone. Volgo l'attenzione su un padre che tiene per mano la figlia piccola da un lato, mentre dall'altro le sue dita erano intrecciate con quelle della moglie. Li guardo a lungo fino a quando le lacrime minacciano di uscire, sono proprio una stupida.

Perché nonostante il tempo passato questa ferita stenta a rimarginarsi del tutto? E perché ogni cosa che mi circonda, mi ricorda solo lui? Vorrei che questo dolore al petto smettesse anche solo per un secondo di fare male, l'unica sensazione che mi suggerisce di essere ancora viva.

Continuo a camminare con lo sguardo basso finché vado a sbattere contro qualcuno.

«Mi scusi tanto, non guardavo dove andavo» dico in preda al panico mentre mi chino sul marciapiede a raccogliere la spesa che gli è caduta dalle mani.

«Ciao Bianca! Sta tranquilla, non è successo nulla» alzo lo sguardo incuriosita dalla voce familiare.

«Sophia! Ciao! Scusami tanto» dico mortificata, ma un sorriso mi increspa le labbra dopo aver incontrato un volto familiare.

«Capita a tutti, non preoccuparti. Piuttosto, che ci fai qui?» chiede lei un po' stordita, mentre allunga varie volte le braccia per raccogliere la spesa sparsa per terra.

«Ho appena finito di fare ripetizioni a Dylan e nulla, mi andava di fare una passeggiata» finisco di mettere a posto le ultime arance nella busta e ci alziamo insieme.

«Dylan? Dylan Collins?» chiede lei con una scintilla negli occhi.

«Sì lui, apprendo con stupore che le voci girano in fretta. Vuoi che ti aiuti a portare le buste della spesa fino a casa?» chiedo pentendomene immediatamente, sono pesantissime. Cerco di nascondere comunque lo sforzo e mantenere in dosso un sorriso gentile.

«Mi faresti un grandissimo favore, davvero, sono pesantissime. La strada sarà breve, promesso, abito qui vicino» mi guarda divertita. Anche lei nasconde la fatica nel sorreggere la busta tra le braccia, tenendole strette al ventre leggermente spinto verso in avanti per distribuire meglio il peso.

Ed è in quel momento che lo riconosco: quartiere che evito come la peste da anni, che faccio finta di non vedere nelle cartine della città, che preferirei dimenticare persino il nome per convincermi che in realtà questo quartiere non esiste. Il quartiere dove abita mio padre e la sua nuova compagna.

Crack. E questo cos'era invece? Era il tuo cuore che si spezzava per l'ennesima volta, Bianca.

Il sorriso mi muore all'istante ma è in quel momento che mi rendo conto di non aver risposto a Sophia.

«Mi fido. Io abito dall'altra parte della città, quindi sbrighiamoci» mento mentre agitata passo accanto a un giardino che non mi resta del tutto indifferente: il giardino perfettamente curato della casa di mio padre. Cammino a passo sostenuto dietro Sophia per sorpassare quella casa il più velocemente possibile.

Sento i battiti del cuore aumentare e le mani iniziano a sudare, non so che mi stia prendendo ma l'emozione di poterlo rivedere si è impossessata del mio corpo.

Lascio le buste a Sophia, la saluto e mi dirigo verso quella casa.

Vattene via da qui, sai perfettamente che ti farà male vederlo.

Passo dopo passo, la casa color latte si fa sempre più vicina.

Stai per commettere uno degli errori più grandi della tua vita. Gira i tacchi e scappa il più lontano da qui prima che sia troppo tardi per te e il tuo cuore.

La ghiaia scricchiola sotto il peso dei miei passi, il vento mi accarezza dolcemente il viso pallido mentre il cuore non smette di rimbombare tra le pareti della gabbia toracica. Il mio sguardo viene attratto subito da una finestra coperta da una tenda trasparente di un color giallo spento. E' la cucina quella che si trova oltre quel vetro.

E se avessi bisogno di questo per mettere l'anima in pace? E se avessi bisogno di scottarmi ancora una volta prima di capire definitivamente di chiudere questo capitolo della mia vita, in cui lui fa ancora parte?

E nonostante il mio cervello mi gridasse di fermarmi, i miei muscoli non gli hanno dato ascolto e hanno continuato a muoversi verso quella finestra per spiare un momento di vita di mio padre, di cui io non facevo più parte. Il fiato i muore in gola. 

Spazio autrice
Ringrazio sempre la preziosissima othersense17 per i suoi consigli ❤️
Tra l'altro, vi avviso che da qualche giorno ha aperto un servizio di revisioni.
Andate a leggere il regolamento se siete scrittori in cerca di revisione  ❤️

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