7. Scoperte

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CORRETTO

Non avrei mai pensato che rivederlo mi avrebbe fatto così male, anche se solo da dietro a un vetro. Oltre l'arco che fa accedere alla cucina, s'intravede il salotto rustico con un divano rosso scuro al centro e una poltrona del medesimo colore posta accanto. Il tutto perfettamente intonato al tappeto che copre gran parte del parquet e la tenda che copre l'altra finestra da cui filtrano gli ultimi raggi di luce.

Entrambe le loro figure, quella di mio padre e della sua nuova compagna, sono ferme in mezzo alla stanza mentre vengono illuminate dalle fiamme scoppiettanti del fuoco proveniente dal caminetto in pietra dietro.

Si sorridono, gli occhi gli si velano di lacrime e i loro sguardi sono così carichi d'amore che inevitabilmente provocano una lacerazione del mio torace, come pugnalate che mi vengono inferte una dopo l'altra. Senza tregua, senza pietà.

Fermati ti prego, non sopporto questo dolore straziante. Mi fa male il petto papà, smettila di farmi così male. Non farmi questo, ti supplico.

Adesso sono i miei occhi a non riuscire a vedere perfettamente per via delle lacrime, mentre una mano va a posarsi sopra al petto proprio dove si trova la cicatrice appena riaperta. Il mio corpo però non è stato in grado di reagire.

Lo senti questo, Bianca? E' il vuoto che lui ha lasciato e che sta a te riempirlo con qualcos'altro, perché lui non è più disposto a farlo. Niente pietà, niente emozioni, niente ricordi, cancella la sua esistenza dalla tua vita e allontanati da questa casa.

La sua nuova fidanzata regge tra le mani quello che sembra un test di gravidanza, ma la mia posizione dove mi trovo adesso non mi permette di capire chiaramente se quello strano bastoncino sia ciò che penso. Il sorriso di lei diventa smagliante mentre il suo torace viene scosso da un singhiozzo. D'altrocanto, lui si accascia a terra e le abbraccia il ventre, prima di posarle un dolce bacio. È incinta, lo sento.

Lui ha già due figli, che ha abbandonato senza rimorsi e rancori, perché dovrebbe essere felice di averne un terzo? Li lascerà proprio come ha fatto con noi? Cos'ha quella donna che mia madre non ha? Perché non pensa a noi?

Un milione di domande mi frullano in testa.

Si alza di scatto, la stringe per interminabili secondi e poi, prendendola per mano, la fa volteggiare fino a che la riprende tra le braccia e la bacia appassionatamente.

Perchè non pensi a noi papà? Lei è a conoscenza della famiglia che hai lasciato in un passato che non tornerà più?

Quelle immagini, quella felicità che aleggia per l'intera stanza, sono troppe da sostenere in una sola volta. La vista è completamente annebbiata mentre boccheggio alla ricerca di ossigeno.

Ossigeno, è questo quello di cui ho bisogno. Raccogli le ultime energie che ti restano e vattene da qui, Bianca. Torna a respirare.

Ma mi viene impossibile perché lo stomaco si ribalta e a stento riesco a trattenere un conato di vomito, le gambe sono così molli da non sopportare più il peso del mio intero corpo che da qualche minuto viene scombussolato da tremori mai provati prima. All'improvviso appoggiarsi al muro mi sembra l'unica cosa da fare per restare in equilibrio.

Scivolo involontariamente contro la parete rugosa fino a quando, seduta ormai a terra, inizio a piangere silenziosamente. Vorrei urlare, tirare fuori tutto il dolore che ho dentro, ma non ho più voce in gola e stringere forte in un pugno la maglia al centro del petto sembra l'unica soluzione per tamponare la ferita aperta.

Devo andarmene, mi dico alla fine, sentendomi totalmente fuori posto vicino a quella casa. Faccio appella a tutta la forza che mi è rimasta, quando velocemente mi alzo e comincio a correre.

Corro, corro più forte che posso anche se mi manca il fiato e gli occhi non smettono di lacrimare. Vado a sbattere contro qualcuno, ma non mi fermo, non proferisco parola.

«Bianca?» sento qualcuno urlare il mio nome, ma non mi volto e continuo il mio percorso. Devo arrivare a casa il prima possibile.

«Bianca ti prego fermati!» urla ancora mentre sento i suoi passi pesanti avvicinarsi a me. Mi sta raggiungendo.

Una mano mi stringe il braccio sinistro e con uno strattone mi obbliga a fermarmi e a girarmi verso di lui: «Bianca, che ti succede? Perchè stai piangendo?» conosco quella voce e riconosco quegli occhi meravigliosi.

«Dylan, lasciami ti prego» lo supplico piagnucolante. Lui non dice niente mentre mi scruta con lo sguardo per alcuni secondi fino a quando, con un gesto delicato, molla la presa su di me e io ricomincio a correre senza guardarmi indietro.

Varcare la porta di casa non è mai stato così confortante come in questo momento e non ho mai avuto così bisogno di crogiolarmi tra le lenzuola come ora. Abbraccio il cuscino e mi lascio andare a un disperato pianto consolatorio. Sono distrutta, il cuore è lacerato e ciò che provo in questo momento non riesco a descriverlo, non posso superare tutto questo.

I dubbi e le domande mi divorano l'anima e la stanchezza mi consuma il corpo e la mente, ma non riesco a chiudere occhio. Ho bisogno di camminare e respirare aria fresca.

~~~~

Sono le undici e mezza di notte e il freddo pungente mi obbliga a tenere ben saldo il cappuccio sulla testa, ma sento ugualmente l'aria tagliarmi il viso. Le mani congelate sono nascoste nella grande tasca anteriore della felpa e, nonostante questo, non riesco a smettere di pensare.

Cammino tra le strade deserte di Los Angeles senza una meta, fino a quando non mi ritrovo nello stesso maledetto parco in cui passavo pomeriggi felici in compagnia della mia famiglia. In compagnia di mio padre.

Mi siedo su una panchina e sorrido al ricordo dei momenti passati mentre una lacrima riga il mio volto. Devo smetterla di pensare, ormai appartiene tutto al passato.

A risvegliarmi dalla memoria è un rumore che giunge alle mie orecchie. È così forte da sovrastare la musica che, da quando sono uscita, attraversa le cuffie. Le tolgo per sentire meglio.

Il vociare di molte persone rimbomba in tutto il vicolo e mi obbliga ad alzarmi per capire di che cosa si tratta. Cammino veloce verso le mille voci che mi attirano come la luce fa con gli insetti.

In pochi secondi arrivo in uno dei quartieri più malfamati di Los Angeles e la scena che mi si presenta davanti è aberrante: un'orda di ragazzi disposti a semicerchio che incita due di loro posti nel mezzo.

Vattene via di qua, potresti immischiarti in qualcosa di molto pericoloso.

La curiosità ha ancora una volta la meglio su di me, così cerco di farmi spazio tra la folla per vedere meglio ciò che sta succedendo e quando finalmente riesco ad essere abbastanza vicina da vedere qualcosa, rimango sconvolta da ciò che sta succedendo. Ai lati del cerchio ci sono uomini loschi che contano la grande quantità di denaro che hanno tra le mani mentre due ragazzi al centro si prendono a pugni.

Sento il mio corpo paralizzarsi all'istante, non avevo mai assistito a nulla del genere. Sono spaventata e non riesco a capire come sia possibile che cose del genere possano accadere vicino al quartiere in cui abito. Non riesco a vedere il volto dei due contendenti ma sono sicura che domani avranno entrambi grossi lividi su tutto il corpo.

La mia mente vorrebbe fare qualcosa, forse cercare di fermarli, ma il mio esile fisico non mi permette alcun movimento. Faccio quello che ultimamente è diventata un'abitudine: corro via, spingendo forse con un po' troppa forza gli uomini che gridano a gran voce, vado il più lontano possibile da quel luogo infernale.

Ancora una volta casa mia sembra il luogo più sicuro in assoluto e così tento di raggiungerlo. Il respiro è corto, la confusione si è fatta ancora più intensa e le immagini che ho appena visto si ripetono nella mia mente come un disco rotto.

Come mi è venuto in mente di camminare da sola di notte e per giunta in quel quartiere? Quante probabilità c'erano di assistere a una rissa?

Mi butto a letto per la seconda volta in questa serata strana e ambigua. Non è stata per niente una bella esperienza e se prima non riuscivo a dormire ora sono certa che non lo farò per tutte le ore che mi dividono dal suono della campanella scolastica.

~~~~

La mattina successiva il mio aspetto è molto simile a quello di uno zombie e le profonde e scure occhiaie tradiscono il mio intento di sembrare una persona normale che ha dormito tutte le otto ore raccomandate dai dottori.

Alla vista del mio stato psico-fisico, mio fratello accetta di accompagnarmi a scuola in macchina senza fiatare, ma nonostante questo arrivo in ritardo. Non perdo un secondo per avviarmi al mio armadietto con una piccola corsetta e tenendo stretta tra le mani la mia borsa tracolla.

«Hai fatto after ieri sera?» sobbalzo al suono della voce di Matt al mio fianco. Il mio sguardo stanco, coronato da occhiaie e occhi rossi non deve essere sfuggito nemmeno a lui che non si cura mai troppo dei dettagli.

«Quando hai intenzione di arrivare all'improvviso, sei pregato di annunciare forte e chiaro le tue intenzioni» rispondo acida sviando la domanda del mio migliore amico che si poggia agli armadietti a braccia incrociate.

«Se ti avvisassi non riuscirei nell'intento di farti spaventare» dice con un sorrisetto malizioso, ma non ricevendo risposta continua: «Perchè sei così stanca?»

«Non ho dormito molto» minimizzo senza guardarlo negli occhi e continuando a tirre fuori e posare libri.

Ma la mia risposta non lo soddisfa, così continua col suo terzo grado: «Ti conosco così bene da sapere che tu, Bianca Anderson, dormi sempre la notte. Quindi cosa è successo?» domanda con tono divertito.

«Solo perché sei il mio migliore amico non vuol dire che tu debba per forza sapere tutto quello che accade nella mia vita» mi volto di scatto verso di lui facendo si che i nostri occhi si potessero incontrare.

Matt, notando sicuramente lo stato pietoso in cui mi trovo, perde il suo solito sorriso mattutino così come il colore rosato delle guance che lascia solo un pallore impercettibile e rimane immobile ad osservarmi.

Non guardarmi con quegli occhi, Matt, ti prego. Ho bisogno di due braccia in cui sprofondare, non di uno sguardo che mi faccia ricordare la pessima giornata di ieri.

«Scusami. Mi preoccupo solo per te» sussurra mentre non riesce a smettere di squadrarmi dalla testa ai piedi.

Scusami se ho usato questo tono con te, è solo che sono stanca e non solo perché non ho dormito ieri notte ma perché le immagini di mio padre continuano a schiantarsi sul mio volto, come uno schiaffo invisibile.

Poi si stacca dalla fila di armadietti rossi, scioglie il nodo di braccia e sistema lo zaino in spalla. E' pronto a voltarsi ed allontanarsi da me ma la mia voce lo blocca prima che possa fare anche solo un passo.

«La colpa è mia, non dovevo attaccarti così. Ieri sera è stata una pessima serata» ammetto esausta mentre con la mano chiudo l'anta del mio armadietto.

Matt torna a guardarmi e con tono più serio riapre bocca: «Che è successo?» chiede incuriosito.

«Avevo bisogno di uscire di casa per respirare un po' d'aria e ho scoperto che nel quartiere vicino al mio organizzano risse clandestine. Hai presente tanti ragazzi in cerchio, scommesse e nel mezzo due che si picchiano? Questa è la descrizione di quello che ho vissuto ieri» rispondo mentre iniziamo a camminare per il corridoio della scuola verso l'aula della prima lezione.

«Oddio! Che figo!» esclama entusiasta senza neanche accorgersene «Cioè no, scusa. È terribile! Da quanto va avanti questa cosa?»

Matt non sa proprio mentire. So perfettamente della sua passione per i film ricchi di cattivi ragazzi che fanno cose illegali e che passa quasi interi pomeriggi a vederli, ma non è questo il momento di rimproverarlo.

«Non lo so, l'ho scoperto solo ieri. Tra l'altro non ho visto neanche chi fossero i due al centro» ammetto mentre io e il mio migliore amico, spalla contro spalla voltiamo l'angolo. Il cuore salta un battito.

Matt continua a parlare in commento a ciò che gli ho rivelato, ma non riesco ad ascoltare nessuna di quelle parole perché i miei occhi sono attratti dalla figura che ci viene in contro: Dylan. Cammina col capo chino, coperto dal cappuccio della felpa nera che indossa e da cui fuoriescono le ciocche castane ancora arruffate.

La nostra presenza deve attirare la sua attenzione perché alza lo sguardo lo stretto necessario per spiare chi siano quegli studenti che camminano a passo spedito nel corridoio, mentre tutte le lezioni sono già iniziate. I nostri occhi si attraggono come due poli opposti di una calamita, senza che lo volessimo davvero.

Tum.Tum.Tum. Sono i battiti del mio cuore che hai fatto accelerare tu con quei tuoi occhi magnetici. Lo fai apposta Collins? Perché se è così smettila subito, odio questa sensazione.

Solo allora riesco a notare per bene il suo volto ricoperto da qualche livido ancora viola sullo zigomo e sulla tempia, l'occhio gonfio e il suo attraente labbro inferiore visibilmente spaccato. Il sangue ormai secco ricopre l'ematoma sullo zigomo, segno che la ferita non è stata pulita a dovere quando la pelle era ancora squarciata a metà.

Che hai fatto, Collins? Chi ti ha ridotto così?

La distanza si azzera sempre di più, finché i nostri corpi passano l'uno accanto all'altro beandosi solamente di uno stupido tocco. Mi volto appena per seguire ancora la sua corsa verso chissà quale classe o parte della scuola.

«Mi stai ascoltando, Bianca?» la voce di Matt riesce finalmente a trovare la strada per raggiungere le mie orecchie e riesce a riportarmi su questo pianeta.

«Si, si. Dicevi?» faccio finta di niente.

«Nulla di importante, tu piuttosto che guardavi?» si guarda intorno nella speranza di capire il motivo della mia assenza momentanea. Ma una volta visto il soggetto della mia distrazione, Dylan che continua a camminare per il corridoio con la testa bassa, si rabbuia e in pochi secondi i suoi pugni stretti iniziano a tremare visibilmente.

«Ti ha fatto qualcosa?» chiede all'improvviso senza specificare il soggetto della sua domanda.

«No Matt, non mi ha fatto nulla. E poi che vorresti fare, batterti con lui?» mi volto verso di lui solo per sorridergli. Nonostante lo voglia nascondere, so che sta per sorridermi di rimando.

«La mia Bianca è più acida del solito. La vicinanza di Collins ti sta cambiando oppure ti sei resa conto di conversare con uno sfigato?» ride con me. I suoi muscoli si sono sciolti e la tensione del suo corpo si è completamente dissolta.

«Smettila di dire stupidaggini, Matt, non sei sfigato. E tornando al discorso di prima, lui non c'entra con quello che ho passato ieri sera» sospiro affranta.

«Se lui non è la causa del tuo malumore, forse stiamo parlando di tuo padre?» ipotizza cercando di captare ogni mio movimento. Io non rispondo, mi limito ad asserire mentre Matt circonda il mio esile corpo con le braccia.

Rispondo con forza al suo abbraccio mentre una lacrima mi riga il volto. Le immagini tornano vivide nella mia mente, così mi aggrappo con più forza alle spalle di Matt come se servisse a non farmi sprofondare nel mare di ricordi.

Tienimi stretta, Matt, non lasciarmi sprofondare in quel buio.

Ancora una volta però, nonostante il momento di tristezza, il mio sguardo ricade su Dylan che si è fermato nel bel mezzo del corridoio e ha preso a fissarci. Per la seconda volta, quando i miei occhi incontrano i suoi, lui si volta e se ne va. 

Spazio autrice:
Ringrazio othersense17 per i aiutarmi con i suoi preziosi consigli ❤️

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