01. Numero sconosciuto

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Dal tramonto all'alba – MACE, Venerus & Gemitaiz

Con gli anfibi a sbattere sul marciapiede a tempo di musica e le mani cacciate in fondo alle tasche, Zaira camminava. Il fiato affannato si condensava davanti alle labbra in quella mattina invernale che, vista dal caldo della camera da letto, per un attimo non le era parsa tale: il cielo era di un azzurro terso e il sole, nonostante apparisse più pallido del suo io estivo, faceva sognare una primavera ancora lontana – testimoni gli alberi spogli che costeggiavano le vie di Città Studi.

"Certo che fa proprio un freddo cane" pensò Zaira con un brivido, andandosi a fermare sugli scalini dell'ingresso del dipartimento di Scienze della Terra. Fece vagare per un attimo lo sguardo sulla strada vuota, nella speranza di veder comparire da lontano la testa bionda della sua amica, ma ci volle poco per capire che l'altra non era ancora arrivata; anche il telefono non segnava la notifica di alcun messaggio da parte di Ginevra.

La ragazza valutò per un attimo la possibilità di andare subito in aula studio, così da piazzarsi vicino al calorifero e scaldarsi, ma il richiamo della prima sigaretta del giorno le fece presto dimenticare simili pensieri. Se ne rollò una con calma, seduta sui gradini, e rimase ad attendere l'altra con la sola compagnia della musica che le martellava nelle orecchie e del fumo a scorrerle nei polmoni.

Senza capire come fosse possibile, la sua testa volò subito alla stramba conversazione avuta fuori dall'Hemingway col ragazzo misterioso. Erano già passati undici giorni di silenzio, un lasso di tempo fin troppo grande per credere che dall'altra parte ci fosse un qualche interesse, eppure non poté fare a meno di ripercorrere con la mente i tratti sfocati del volto lontano dello sconosciuto, nel tentativo di ricomporlo nel migliore dei modi. C'era una parte di lei che le dava la sgradevole sensazione di essere tornata allo stadio di tredicenne in preda agli ormoni, svenevole e con la testa tra le nuvole davanti al primo ragazzetto capace di sorriderle; l'altra metà, per fortuna, riusciva a veder col giusto occhio critico la situazione, nonostante anche lei si crogiolasse nell'idea che esisteva in effetti qualcuno a cui potesse interessare. Non era più di tanto abituata alle attenzioni maschili, in fondo. Dopo tutto ciò che le era successo, oltretutto, capiva fin troppo bene che chiunque arrivasse a conoscerla appena più del necessario desiderasse solo scappare da lei il più in fretta possibile.

"Ehi, Rà!"

L'esclamazione di Ginevra, pronunciata con un tono di voce talmente acuto da eludere la barriera creata dalle cuffie, fece sobbalzare Zaira e scappare la sigaretta dalle dita.

"Ma cazzo."

Recuperò la paglia e, dopo aver fatto una rapida valutazione, stabilì che sarebbe stata una pessima idea continuare a fumarla.

Ginevra, intanto, si sedette al suo fianco e le diede un buffetto sulla guancia. "Visto che brava?"

"A me pari in ritardo come al solito" rispose Zaira, infilando la cicca nel piccolo posacenere portatile dove le accumulava durante il giorno. "E mi hai pure fatto cadere la sigaretta."

"Infatti era di quello che parlavo!" L'altra incrociò le braccia davanti al petto con un'espressione soddisfatta a illuminarle l'ovale del viso. "Riuscirò a far smettere sia te che Dave."

"Credo sia solo un'ottima tecnica per portarci entrambi all'esasperazione" disse lei, alzando lo sguardo al cielo. Prima che Ginevra potesse replicare si alzò in piedi. "Andiamo in aula studio, cosa ne dici?"

"Dobbiamo proprio?" chiese l'amica, piegando le folte sopracciglia e gli occhi scuri per sottolineare il tono lamentoso usato. "È una giornata così bella... potremmo fare un giretto."

"E geologia tecnica quando la ripassiamo?"

Ginevra si lasciò sfuggire un grugnito infastidito e alzò le mani verso di lei in una muta richiesta di aiuto per alzarsi; Zaira l'accolse e, dopo ulteriori e piccole proteste, entrarono entrambe nel dipartimento, salendo la rampa di scale fino al primo piano.

"Ma Davide dov'è?" chiese Zaira, avvicinandosi alla porta dell'aula studio. L'aprì e si infilò al suo interno, dirigendosi verso il fondo del lungo tavolo in legno che occupava la metà destra della stanza; all'altro capo erano seduti tre studenti di medicina – degli habitué del luogo – intenti a leggere ad alta voce qualcosa riguardo al sistemo nervoso. Gli altri due tavolini vicini alle vetrine contenenti i fossili, invece, erano al momento vuoti.

"A fare analisi XRD per la tesi" rispose Ginevra, occupando la sedia a capotavola. "Mi ha detto che ci raggiunge per pranzo, però."

Zaira, seduta alla sua sinistra, tirò fuori dallo zaino il portatile e il quaderno degli appunti. "Allora possiamo iniziare subito."

"Ma cos'hai stamattina?" domandò l'altra, portandosi le mani in faccia per poi osservarla dagli spiragli creati dalle lunghe dita. Visto che Zaira non sembrava intenzionata a darle corda, sospirò e recuperò il materiale, non senza borbottare qualche altro commento sottovoce.

Cosa aveva? Zaira cercò di scacciare dalla mente tutti i pensieri che avevano cercato di soffocarla, diramazioni della riflessione nata sugli scalini del dipartimento, e si concentrò sullo schermo del portatile che, un pixel alla volta, provava ad accendersi.

"Ehi..." Ginevra le afferrò la mano, costringendola ad alzare lo sguardo su di lei. "Guarda che scherzo. Senza di te starei ancora provando a dare l'esame di matematica del primo anno."

Zaira increspò le labbra in un piccolo sorriso, osservando il volto dell'amica. Lunghi capelli biondi, occhi grandi, naso piccolo, bocca carnosa... le ricordava certe attrici d'altri tempi, dalla bellezza al contempo semplice e sofisticata. Se poi al suo aspetto si univano la dolcezza e l'allegria che la contraddistinguevano fin da quando l'aveva conosciuta, si capiva fin troppo bene perché Davide fosse innamorato di lei ormai da quasi sei anni – tanto da farli sembrare i protagonisti di una chanson de geste.

"Non dirmi che stai ancora pensando al tipo dell'altra sera!" esclamò Ginevra all'improvviso, sbattendo la borraccia sul tavolo con un tonfo che richiamò anche l'attenzione del terzetto di futuri medici. Zaira riservò loro un'occhiata imbarazzata, nella speranza perdonassero l'esuberanza dell'altra.

"Sul serio" continuò intanto l'amica. "Non dirmi che è per quello."

Zaira sospirò. "È che... Dio, sono stata così stupida" disse. Scosse la testa, cercando di non pensare ancora una volta a ciò che era successo. "Come si fa a non chiedere neppure il nome? Come si fa?" aggiunse, alzando le mani in aria. "Ci vuole del talento a essere così idioti."

Ginevra si lasciò sfuggire una risatina, per poi allungare una mano e accarezzarle una guancia. "Dovesti smetterla di pensarci, sai? Non ha senso inseguire un'ombra."

L'altra annuì appena, nel tentativo di ignorare il leggero groppo risalitole in gola. "Grazie..." disse, sforzandosi di sorridere. "Ripassiamo, quindi?"

Ginevra sfoderò gli occhiali da vista e, dopo averli indossati, le lanciò un'occhiata incoraggiante. "Siamo qui per questo, no?"

Due ore dopo, con la testa che sembrava in procinto di scoppiare, Zaira si accasciò sul tavolo con un gesto teatrale, seguita da una risatina di Ginevra e da qualche occhiata curiosa degli altri occupanti dell'aula studio.

"Pranziamo?" chiese, sempre appoggiata con la testa sui libri aperti davanti a lei. "Penso di non poter continuare con questo ritmo se prima non ingerisco qualcosa."

Ginevra diede un'occhiata rapida al cellulare. "Dave arriva tra poco" disse con un sorriso furbo. "Mandiamo lui a fare la fila ai microonde?"

"Ovvio."

Si drizzò allungando le braccia, per poi ruotare la testa nel tentativo di far scroccare il collo; si sentiva tutta indolenzita dopo essere stata seduta così a lungo e il leggero languorino che l'aveva accompagnata per l'ultima mezzora si stava trasformando in una fame atavica. "Cos'hai da mangiare?" chiese a Ginevra, che nel frattempo aveva rimosso gli appunti dal tavolo e tolto gli occhiali.

"Avanzo di pasta da ieri" replicò l'altra, appoggiando un frigoverre pieno fino all'orlo davanti a lei. "E della frutta..." Tirò fuori quattro mandarini. "E pure un dolcino" concluse, ponendo vicino al tutto un incartamento che, dalla forma, pareva contenere almeno un paio di muffin.

Zaira la squadrò con un sopracciglio alzato, a cui l'altra rispose sbuffando e alzando le mani al cielo. "Cosa ci posso fare se la sessione mi fa venire fame?"

"Niente" replicò lei. Si chinò a recuperare il pranzo dallo zaino – una fetta di torta salata e una mela – e aggiunse: "Invidio solo il tuo metabolismo."

"Se ti può consolare, Dave l'altro giorno mi ha detto che gli sembro ingrassata."

Zaira si mise a ridacchiare. "Che stronzo."

"Ho valutato di staccargli le braccia e mangiarle" aggiunse l'amica. "Giusto perché avevo ancora un po' fame."

"Sei prop..."

Il commento di Zaira venne interrotto dallo spalancarsi della porta, seguito da una risata profonda e un saluto rivolto a qualcuno nel corridoio. Entrambe le ragazze si voltarono a osservare il nuovo arrivato che, con un sorriso enorme a illuminargli il viso squadrato, si avvicinò a loro e si chinò su Ginevra, lasciandole un leggero bacio a fior di labbra.

"Ma ciao" mormorò quest'ultima. "Stavamo proprio parlando di te, sai?"

Davide si passò una mano tra i folti capelli neri, facendo rimbalzare lo sguardo tra entrambe. "Sono nei guai?"

Zaira si lasciò sfuggire un sorriso malizioso, mentre Ginevra gli allungava il contenitore del pranzo. "Hai vinto la possibilità di fare la fila al microonde" disse, sventolandoglielo sotto il naso.

Lui fece una smorfia. "Ma se non devo neppure usarlo!" esclamò, per poi spostare i suoi supplicanti occhi ambrati su Zaira. "Non vorrai dirmi che pure tu sei d'accordo?"

Lei spinse in avanti il suo pranzo, senza dire alcuna parola e continuando a sorridere.

L'altro fece saltare ancora una volta lo sguardo tra l'una e l'altra e, dopo essersi lasciato sfuggire un sospiro teatrale, afferrò entrambi i contenitori. "Io però sarei per la parità dei sessi..." borbottò, beccandosi in tutta risposta uno scappellotto sul braccio da parte di Ginevra.

Il gesto fu seguito dalla risata di Zaira che, oltretutto, notò con la coda dell'occhio come pure l'altro terzetto stesse sogghignando, mentre Davide si massaggiava il bicipite con fare esagerato e smorfie di vario genere a comparire sotto l'accenno di barba che gli copriva le mascelle.

"Almeno potresti riempirmi la borraccia?" chiese infine alla sua ragazza.

L'altra annuì e, dopo, si voltò verso Zaira. "Ne hai bisogno anche tu?"

"Nope" replicò lei. "Però se vuoi vado io."

Ginevra fece un cenno di diniego e afferrò le due borracce, per poi uscire dall'aula con Davide parlandogli fitto e a bassa voce, tanto che l'altro dovette chinare il capo per riuscire a sentire che cosa gli stesse dicendo.

Zaira li guardò sparire con un leggero sorriso ad aleggiarle sulle labbra, mentre il solito vecchio pensiero tornava a bussare alle porte del cervello: a una parte di lei sarebbe piaciuto trovarsi nella situazione dei suoi amici. Ginevra aveva conosciuto Davide quando ancora era iscritta in terza superiore e, dopo svariate figuracce e tentativi impacciati di avvicinamento, aveva iniziato a frequentare quel bel ragazzo del quinto; ci era voluto poco perché trovassero un loro equilibrio e la leggera attrazione, mese dopo mese, era diventata qualcosa di più profondo e importante, tanto che ormai stavano per festeggiare il sesto anno assieme. Come fosse possibile stare così a lungo con una persona Zaira proprio non lo sapeva; le sue poche relazioni erano durate qualche mese, un annetto massimo, ma erano tutte finite in modo brusco e privo di lacrime. Oltretutto, era difficile tenere accanto qualcuno quando, in certi momenti, era così faticoso stare con se stessi.

Sbloccò il cellulare e si mise a scorrere sulla home di Instagram, nel tentativo di anestetizzare il cervello. La notifica di un messaggio da parte di un numero sconosciuto, però, le fece rizzare i peli delle braccia e le tagliò il respiro, scombinando il filo già contorto dei suoi pensieri.

"Non è possibile" si disse, aprendo la chat. "Geologia mi ha fuso il cervello."

Le considerazioni vennero messe a tacere nel momento in cui le apparve davanti agli occhi il suo stesso volto baciato dall'illuminazione interna all'Hemingway e da quella fredda dei lampioni. Si perse a osservare come la macchina fotografica fosse riuscita a catturare le piccole lentiggini che le coprivano il viso dalla pelle caffelatte, cristallizzato in una posa di profilo che ne mostrava la regolarità dei tratti definiti e il piccolo naso, così come le labbra carnose piegate in un sorriso assorto. Gli occhi, però, furono quelli che la colpirono di più: piccoli, dal taglio allungato e scuri come la notte, erano stati immortalati quando ancora erano immersi in una sfumatura dolcissima, carica di un sottile velo di tristezza che riconobbe essere suo. Era lei, in tutto e per tutto, tanto da lasciarla senza fiato.

Fece scorrere il dito per guardare la foto successiva, in un cui era stata catturata mentre aspirava un tiro dalla sigaretta, e sentì il cuore batterle ancor più forte; l'evidenza che il ragazzo sconosciuto fosse riuscito a coglierla in modo così preciso nei pochi minuti passati insieme le fece girare la testa.

"Ehi, cosa succede? Sei pallidissima."

La voce di Ginevra, sedutasi di nuovo al suo fianco con le borracce piene, la fece ritornare alla rumorosa realtà. Incapace di rispondere, le allungò il cellulare e lasciò che l'amica spiasse il breve attimo immortalato dall'obiettivo; la vide spalancare gli occhi e mormorare qualcosa mentre faceva avanti e indietro da una foto all'altra.

"Ma sono splendide" disse alla fine, tornandola a guardare. "Quindi questo è...?"

"Il ragazzo dell'altra sera" concluse lei, passandosi una mano in faccia. Si sentiva un disastro, con l'anima che strepitava dalla felicità davanti al risvolto improvviso e il cervello che tremava ancora al pensiero delle foto – fragile, la facevano sentire fragile.

"Uh, ma ti ha pure inviato un messaggio!" esclamò Ginevra, per poi mettersi a leggere ad alta voce. "Dunque... Ciao! Scusami se non ti ho scritto prima, ma volevo aver qualcosa da mostrarti. Spero l'attesa sia valsa la pena." L'amica le tirò uno schiaffetto sul braccio, per costringerla ad ascoltarla. "Se hai voglia, uno di questi giorni potrei portarti le foto stampate... no vabbè, che carino." Si voltò a guardarla e, notando il suo umore ballerino, aggrottò le sopracciglia. "Ma com'è possibile sia più su di giri io di te?"

Zaira la guardò con un sorriso mesto, cercando di trovare l'entusiasmo mostrato dall'altra che, nel frattempo, era tornata a smanettare col cellulare. La sentì fare un verso di approvazione e si ritrovò schiaffato davanti al naso lo schermo su cui capeggiava il viso del ragazzo, ritratto nella foto profilo della chat.

"Non mi avevi detto che era così bello!" aggiunse, mentre nel frattempo Davide si sedeva al tavolo e depositava i due contenitori del pranzo con aria soddisfatta.

"Spero stiate parlando di me" disse quest'ultimo con un sorrisetto divertito. Ginevra gli fece una linguaccia e gli passò il cellulare, sussurrandogli che era il famoso ragazzo dato ormai per disperso.

Davide fece schioccare la lingua. "Sono più bello io" sentenziò, per poi scorrere a guardare le due foto. Alzò le sopracciglia con aria sorpresa, lanciandole una rapida occhiata che lei evitò.

"Bum!" fece Ginevra ad alta voce, spalancando le braccia e catalizzando tutta l'attenzione su di sé. Zaira si ritrovò a sorridere, mentre l'amica tornava a punzecchiare il suo ragazzo. "Ma se è più bello di te pure Michi."

"Ma non è vero."

Ginevra le lanciò uno sguardo malizioso, per poi tornare a concentrarsi su Davide. "Almeno lui è fisicato e senza pancetta o maniglie dell'amore."

Zaira scoppiò a ridere di gusto e, mentre gli altri due si lanciavano frecciatine, recuperò il cellulare e tornò a guardare la chat sentendosi appena più leggera, nonostante sapesse che parte del malessere provato si fosse solo nascosto sottopelle in attesa di tornare a farle visita. Lesse un paio di volte i messaggi e, senza troppi rimpianti, decise che avrebbe pensato dopo a cosa rispondergli. 

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